Report a cura di Simone Vavalà
Doveva essere il giorno della grande nevicata, a Milano; ma chissà se sono solo saltate le previsioni del tempo, o se l’arrivo di John Garcia da Palm Desert ci ha messo lo zampino: fatto sta che la serata del Santeria si annuncia (e si confermerà…) calda, come una folata di vento rovente mentre si attraversa Sky Valley. E come potrebbe essere altrimenti? Se l’altra metà compositiva dei Kyuss ha ormai chiuso definitivamente con il suo passato, proiettandosi ai vertici mondiali del rock alternativo (parliamo chiaramente di Josh Homme e dei suoi Queens Of The Stone Age), il vessillo dello stoner primevo resta saldamente in mano a Garcia, che negli anni non ha mai mancato di portare avanti con gli altri suoi progetti un certo tipo di sonorità. Anche con un pizzico di furba nostalgia, a voler essere onesti: non a caso la scaletta di questa occasione sarà incentrata per più della metà dei brani su pezzi dei Kyuss stessi; ma c’è forse qualcuno pronto a lamentarsi? Le circa quattrocento persone presenti ed entusiaste paiono confermare di no.
DEAD QUIET
Sono una scoperta complessivamente piacevole i cinque canadesi rispondenti al nome Dead Quiet: di Vancouver, come ci tiene a specificare almeno due volte il cantante durante il concerto. La formula pesca a mani basse dalla lezione dei Monster Magnet meno psichedelici, un pizzico di Corrosion Of Conformity nel rude riffing che si interscambiano le due chitarre, e un cantato interessante e abrasivo – tutto sommato molto più da hard rock anni Settanta che non da puro stoner, il che non guasta mai. Altro tentativo di richiamo a quel nobile decennio si ha nell’uso dell’Hammond; ma, complice forse il fatto di avere una tastierista di recente ingresso (o forse proprio una turnista, sicuramente non abbiamo sul palco Justin Hamberg dei 3 Inches Of Blood, presente invece sul loro album più recente), i pochi passaggi di tastiera che si riescono a cogliere sono decisamente poco incisivi. Poco male: per scaldare gli animi i loro 4/4 sono trascinanti e accattivanti, decisamente un buon antipasto prima della portata principale.
JOHN GARCIA AND THE BAND OF GOLD
Con la puntualità che da sempre contraddistingue il Santeria Social Club, sono passate da pochissimo le 21:30 quando The Band Of Gold fa il suo ingresso in scena, immergendoci subito in un’atmosfera avvolgente e liquida sulle note della strumentale “Space Vato”, perfetta apertura dell’esibizione, così come lo è sul recente parto discografico di John Garcia e soci. Il Coyote del Deserto fa il suo ingresso poco dopo, sfrontato e carismatico anche nella postura, pronto a intonare un paio di brani del recente ed eponimo disco, prima di iniziare una cavalcata da applausi attraverso la Storia dei Kyuss, come accennato. La prima sequenza di cover pesca a mani basse da “Welcome To Sky Valley” e, anche se di tempo ne è passato, il risultato è clemente ed esaltante per il pubblico; Ehren Groban non sarà Josh Homme, ma rende al meglio le ruvide e insieme acide trame di chitarra che hanno segnato un’epoca, la sezione ritmica è da applausi, e John – anche se non tocca più certe tonalità – mostra mestiere e un approccio comunque suadente. Qualcuno vicino a noi nel pubblico definisce nel corso della serata la sua interpretazione come ‘la voce da piano bar di una crociera di alto livello’, e per quanto faccia sorridere ci pare renda efficacemente quello che è oggi John Garcia: un grande interprete, innanzitutto, che sa sopperire bene ai segni del tempo, e che passa con tranquillità dai momenti più cadenzati (“Thumb”) al mood da crooner dei suoi brani più recenti, senza rinunciare a rivestire i panni del puro rocker su “Green Machine” e altri passaggi più graffianti. Il tutto con una certa dose di autoironia, come quando mostra la t-shirt Desert Shit sotto il giubbotto anni Cinquanta, o quando sembra accompagnare con le sue movenze i momenti in cui va sugli scudi l’esibizione dei suoi compagni di viaggio. Mirabile in tal senso la restituzione di “Supa Scoopa And Mighty Scoop”, che apre i bis seguita da “Cheyletiella”, tra i pezzi più riusciti e granitici del nuovo album, prima della chiusura affidata a “Whitewater”. Lo stesso brano che chiudeva “Welcome To Sky Valley” (se si esclude il divertissement di “Lick Doo”) e in qualche modo un’epoca; che evidentemente è passata e irripetibile, ma se le operazioni di ripescaggio fossero tutte trascinanti come il concerto di questa sera…be’, ci metteremmo la firma!
Setlist:
Space Vato
Jim’s Whiskers
Kentucky II
Conan Troutman (Kyuss cover)
Gardenia (Kyuss cover)
One Inch Man (Kyuss cover)
Chicken Delight
My Everything
Thumb (Kyuss cover)
Don’t Even Think About It
El Rodeo (Kyuss cover)
Molten Universe (Kyuss cover)
Hurricane (Kyuss cover)
Gloria Lewis (Kyuss cover)
Green Machine (Kyuss cover)
Supa Scoopa And Mighty Scoop (Kyuss cover)
Cheyletiella
Whitewater (Kyuss cover)