ELVENKING
A fare da supporto a Jon Oliva troviamo i bravi Elvenking: ci scusiamo di non poter dare un giudizio sufficientemente dettagliato della loro performance ma chi vi scrive, per i soliti problemi legati all’orario di inizio dello show, è riuscito ad arrivare solo verso la fine della loro performance. Da quello che abbiamo potuto vedere, comunque, la band nostrana si è comportata degnamente, riscaldando al punto giusto i presenti con il suo metal dalle atmosfere celtiche. Il pubblico sembra apprezzare e i ragazzi trascinano e coinvolgono i presenti. Ottimo lavoro! E speriamo di poterli rivedere al più presto in uno spazio tutto loro.
JON OLIVA’S PAIN
Arriva il momento di Jon Oliva, che sta girando l’Europa in questi giorni per promuovere il suo “Tage Mahal”. Il palco del Rainbow non è certo immenso e quindi non c’è spazio per nessun tipo di scenografia particolare, giusto un telone dietro la batteria che riproduce la fiammeggiante copertina del primo album della band. L’inizio del concerto è assolutamente perfetto, dato che i musicisti si catapultano sul palco per una potentissima “Jesus Saves”, una delle canzoni più belle dei Savatage, che si presta perfettamente al ruolo di apertura. I suoni inizialmente sono piuttosto confusi, con il tecnico del suono un po’ nel pallone, ma presto tutto si sistema. Big Jon è sempre più immenso (fisicamente e artisticamente) e riesce a comunicare perfettamente con il pubblico. Dopo aver ricordato ancora una volta le sue origini italiane e il suo rapporto intimo con il nostro Paese, il cantante ci introduce ad “Agony And Ecstasy”, con tutta la sua energia travolgente. Il sottoscritto era un po’ timoroso riguardo alle condizioni vocali di Oliva, da sempre molto altalenante in quanto a performance, ma fortunatamente tutto sembra andare per il meglio, complice anche l’aiuto dato dalla tecnologia con un abbondante uso di delay ed effetti. Si continua con “Tonight He Grins Again” che chiude il trittico iniziale dedicato a “Streets”, vero e proprio capolavoro all’interno della discografia dei Savatage: il pezzo viene riprodotto in maniera eccelsa, con grande partecipazione da parte del pubblico e di Jon. Naturalmente non possono mancare i brani tratti da “Tage Mahal” e, infatti, la band ci propone di fila “The Dark”, intensa e cupa, e “People Say – Gimme Some Hell”, un divertente collage dei titoli più famosi dei Savatage, che permette a Jon di far giocare e cantare il pubblico. Con “Thorazine Shuffle” la band torna indietro nel tempo, per un inaspettato ripescaggio; mentre la successiva “Hounds” diventa un pretesto per ricordare il mai troppo compianto Criss Oliva, che puntualmente viene omaggiato dal fratello e da tutti i presenti. Il concerto continua sempre su livelli altissimi, complice anche l’apporto di una band davvero superlativa, soprattutto per quanto riguarda il bravo Matt LaPorte, che non ha davvero niente da invidiare a Chris Caffery. Si susseguono la splendida “Gutter Ballet”; “Father, Son, Holy Ghost”, il terzo ed ultimo estratto dei Pain; una bellissima versione di “New York City Don’t Mean Nothing”, in cui la parte iniziale, originariamente suonata da una chitarra acustica, qui viene riproposta con il pianoforte di Jon. Uno degli highlight assoluti della serata, comunque, è senza dubbio la commovente “Believe”, un vero e proprio inno di speranza che tutti, ripeto tutti, hanno cantato a squarciagola con un pizzico di commozione. Il concerto, non eccessivamente lungo, anche per non affaticare troppo le corde vocali di Jon, si avvia verso la conclusione, che viene affidata ad un trittico di capolavori dei primissimi Savatage: si tratta di “City Beneath The Surface”, il primissimo brano registrato dalla band a nome Savatage (prima si chiamavano Avatar), “The Dungeons Are Calling” e la potentissima “Sirens”. Il pubblico in visibilio salta, canta e si agita guidato da un Jon Oliva che si dimostra fenomenale intrattenitore ed interprete, capace di impersonare alla perfezione le storie e le sensazioni della musica. Si arriva alla fine e c’è giusto spazio per un altro brano e, naturalmente, non poteva che trattarsi di “Hall Of The Mountain King”, un brano monumentale che suggella una serata memorabile. Chissà, forse non ci sarà più un altro album a nome Savatage ma almeno, stando a quanto abbiamo visto questa sera, possiamo dire senza dubbio che il trono non è rimasto vacante, perché il Re Della Montagna è ancora tra noi. Lunga vita al Re!