Introduzione a cura di Dario Cattaneo
Live report a cura di Dario Cattaneo e Alessandro Corno
Foto a cura di Bianca Saviane
Serata che si preannuncia quanto meno speciale per tutti i presenti al Live di Trezzo: il leggendario e mastodontico Jon Oliva torna sui palchi dopo la scomparsa dell’amico e chitarrista Matt La Porte con una gustosa sorpresa, rappresentata dalla riproposizione completa del masterpiece “Hall Of The Mountain King”, quel capolavoro di metallo elegante e raffinato che nel 1986 aveva scosso orecchie e cuore di ogni metallaro amante di certe sonorità. Primo vero spartiacque della carriera dei Savatage, “Hall Of The Mountain King” rappresenta uno degli album più amati in assoluto dai fan, piccolo scrigno di a malapena quaranta minuti contenente alcuni tra i riff e assoli più belli della storia del metal classico. Dinanzi ad un simile pezzo di storia è difficile rimanere indifferenti… A condire la serata ci pensa un singolare confronto tra vecchio e nuovo: gli storici White Skull preparano una poderosa setlist incentrata su vecchi avalli di battaglia, pronti ad affrontare con il loro power metal le nuove leve Clairvoyants, forti invece dell’heavy classico e rockeggiante del loro secondo album “Shape Of Things To Come”, uscito quest’inverno. Aprono infine la serata le sonorità più progressive dei modernisti Kingcrow e dello strano combo belga Max Pie, a cavallo tra prog, metal e power. Insomma, ce ne è veramente per tutti i gusti, potete starne certi!
MAX PIE
Puntuali alle 19.30 si presentano sul palco i Max Pie, gruppo belga con un solo disco all’attivo, ma formato da membri anche di una certa età. La lineup ci sorprende, sia perché solo quattro elementi sono presenti sul palco, sia perché i tre quinti della formazione presente sui crediti dell’album “Initial Process” è effettivamente assente, rimpiazzata da un batterista e un chitarrista diversi. La musica dei Max Pie potrebbe anche essere interessante e adatta alla serata ma a causa dei pochi minuti a disposizione e soprattutto della scarsità di gente presente sotto al palco e in tutto il locale, di questa esibizione ci rimarrà nella mente abbastanza poco. La musica stessa, che potremmo descrivere come un metal elegante con frequenti virate nel power, non risulta immediatamente fruibile al primo ascolto, e a parte qualche assolo di pregevole fattura e i vocalizzi notevoli del cantante di origini italiane Tony, sembra colpire scarsamente l’attenzione dei pochi presenti. Qualche accelerazione fa scuotere la testa a qualche fan, e alcune timide mani battono il ritmo seguendo i fiacchi tentativi del cantante di incitare il pubblico, ma l’impressione generale di questi poco più di venti minuti rimane quella di una buona potenzialità su disco ma di una occasione sprecata per farsi conoscere dai fan all’esterno del loro paese di origine.
(Dario Cattaneo)
KINGCROW
I Kingcrow, autori nel 2010 del buonissimo “Phlegethon”, hanno l’occasione di mettere in evidenza le proprie doti come seconda band di spalla della serata. Bastano poche note per consentire al sestetto romano di dimostrare qualità compositive ed esecutive di ottimo livello. Piuttosto tranquilli e impegnati sullo strumento come attitudine, il loro progressive metal convince grazie a brani vari, atmosferici, ricchi di cambi di umore, molto ben interpretati dal cantante Diego Marchesi, supportato in modo convincente dalle seconde voci. Lo show, inizialmente penalizzato da suoni non ottimali, col passare dei minuti cattura l’attenzione anche dei più distratti e culmina una con “Fading Out Part 3” decisamente apprezzata dal pubblico, che a fine pezzo non fa mancare i propri applausi. Conclude questa breve ma appagante prova la stessa variegata titletrack dell’ultimo lavoro. Il set di mezz’ora non consente al gruppo di andare oltre i quattro brani, visto il notevole minutaggio degli stessi, ma questo nulla toglie al giudizio positivo che possiamo dare circa questa band che tutti gli amanti del progressive dovrebbero tenere d’occhio.
(Alessandro Corno)
CLAIRVOYANTS
Scrivere un report sui Clairvoyants non è cosa nuova nè per noi che scriviamo nè per le pagine di Metalitalia.com… se mettessimo assieme le date eseguite dalla band lombarda fin dai tempi della tribute band degli Iron Maiden ad adesso, forse otterremmo più date suonate che nella carriera di molte band ben più quotate! Facile ironia a parte, è impossibile non notare come, anche dopo due buone prove in studio come “Words To The Wise” e “Shape Of The Things To Come”, lo stage rimanga il posto preferito dalla band. La presenza sul palco, la simpatia del frontman Gabriele Bernasconi e la scioltezza con cui la band tutta tiene i suoi trenta minuti di show, sono impressionanti. Il gruppo si mostra quanto mai rodato dalle apparizioni come quella al Gods Of Metal di meno di tre settimane fa. Con una corta setilist di sei pezzi che pescano prevalentemente dall’ultimo album, i Clairvoyants colpiscono il pubblico con un buon mix di sonorità che mai passeranno di moda. I ritmi e i cori da concerto debitoridei già citati Iron fanno cantare il pubblico presente già in maniera più massiccia, mentre la valanga di suoni metallici debitori della NWOBHM e di un approccio più rockeggiante delle buone “I Don’t Believe Their Lies” e “No Need To Surrender” saziano la fame di metal classico dei presenti, accontentando metallari giovani e anche più anzianotti. Oramai questi ragazzi sono una certezza del panorama metal italiano e la loro competenza sul palco è frutto di tantissimi anni di gavetta. Da citare l’importante apporto del sempre bravo bassista Turcatti, vero motore ritmico della band, sempre impegnato a cantare seppur lontano dai microfoni, mentre suona con un piede appoggiato al monitor in una posizione di ‘Harrisiana’ memoria. Un plauso a tutta la band, comunque, che dimostra sempre di poter essere una ottima opener in quasi tutte le situazioni e con headliner anche molto diversi.
(Dario Cattaneo)
WHITE SKULL
Se i Clairvoyants questa sera rappresentano il nuovo, i giovani che ce la stanno facendo e che con orgoglio portano avanti una parte della bandiera delle nuove leve del metal; i White Skull rappresentano a pieno diritto quella frangia di metallari attivi da quasi un ventennio che non hanno mai gettato la spugna, pur essendo passati attraverso periodi (e dischi) magari non esaltantissimi. Come per il corpulento headliner della serata, anche per la formazione veneta in cui è rientrata Federica ‘Sister’ De Boni, quella di questa sera è l’occasione giusta per una sorta di personale ‘mini revival’, con una scaletta che si concentrerà solamente sulla produzione firmata dalla sola De Boni, tralasciando il periodo di attività sotto le voci di Gus Gabarrò (tre album dal 2002 al 2006) e di Elisa ‘Over’ De Palma. La scelta risulta azzeccata poiché i primi due album “I Won’t Burn Alone” e “Embittered” sono e rimangono piccole gemme del power europeo nel suo periodo di maggior diffusione (metà anni ’90), mentre i due dischi successivi targati Nuclear Blast (“Tales From The North” e ”Public Glory, Secret Agony”) rappresentano ancora il top delle preferenze dai fan presenti. Così, con suoni che si fanno sempre più alti (ma anche sempre più impastati) il quintetto veneto guida l’ormai numeroso popolo metallaro del Live di Trezzo attraverso una disamina di vecchie glorie, condendo il tutto con tanta energia e simpatia e con momenti di vero coinvolgimento metallico grazie soprattutto ai due anthem “Roman Empire” e “Asgard”, entrambi tra i pezzi meglio riusciti dell’intera serata. Il singolo del fortunato “Tales From The North”, tra l’altro, si dimostra da sempre uno die migliori cavalli di battaglia della band, sicuramente la migliore scelta per chiudere un concerto, grazie alla sua epicità, potenza e orecchiabilità. Particolare infine si rivela la serata per la band stessa, non solo per questa setlist un po’ rimaneggiata e incentrata sul passato, ma anche a causa del compleanno del leader storico Tony ‘Mad’ Fontò, che con i vecchi compagni Mantiero (batteria) e appunto Federica ‘Sister’ festeggia con gioia l’essere ancora sui palchi italiani, proprio con quella band che fondò quasi venti anni fa. Un traguardo, quello di ‘Mad’, che auguriamo a tutti i musicisti.
(Dario Cattaneo)
JON OLIVA’S PAIN
Lo spazio sotto al palco comincia ad essere veramente poco, e la causa di tanta curiosità e affetto da parte dei fan è evidente già durante il soundcheck. Un elegante case a forma di pianoforte bianco, così atipico per un concerto metal, in cui è alloggiata la tastiera di Jon Oliva troneggia infatti a centro palco, e una monumentale batteria, finalmente rialzata sopra il muro dei crate e dei Marshall domina sull’intero set. La fedeltà del popolo metallaro in questa occasione è più che visibile, con volti ansiosi ma felici che aspettano la comparsa sul palco del mastodontico ‘Re Della Montagna’, continuando a ripetersi che il fatto di sentire adesso, nel 2012, ancora un concerto incentrato sulle vecchie canzoni dei Savatage è in se un piccolo miracolo… L’attesa viene spezzata dalla comparsa dei prodi compagni del grande vocalist, mentre una vera e propria esplosione accompagna l’ingresso di lui, Jon Oliva, come sempre enorme ed impacciato, ma che non ha perso un minimo della sua simpatia e del suo carisma. Cominciamo subito chiarendo che chi, come il sottoscritto, ha più di una trentina d’anni, avrà visto negli anni Novanta concerti dei Savatage molto migliori (a livello vocale e sonoro) di questo, ma chiariamo anche che, visto il tema della serata che comportava una buona dose di nostalgia, questo ha importato decisamente poco. Jon ha cantato per come poteva, in alcuni casi anche decisamente male a voler essere completamente sinceri, e il microfono gli si è spento in mano diverse volte, mentre fin troppo alti risultavano i volumi dei due bravissimi chiarristi; ma nemmeno questi elementi, che non avrebbero mancato di farci infuriare in un altro concerto, sono riusciti a raffreddare gli spiriti dei fan, veramente infiammati dalla sola presenza della leggenda Jon sul palco. La setlist, ovviamente, ha un forte zampino in tutto ciò… iniziare un concerto con il trittico “Gutter Ballet”, “Edge Of Thorns” e “Sirens” vuol dire proprio voler vedere i fan in visibilio! E infatti tale è stata la risposta dei presenti, con mani battute fino all’arrossamento e sguardi increduli. Pazienza dunque per il fallimentare attacco iniziale di “Gutter Ballet” (microfono malfunzionante) e per le frasi di “Edge of Thorns” dimenticate dal cantante, siamo al cospetto di capolavori di due decenni fa, e la gente sembra esserne ben conscia. “Power Of The Night” e un paio di estratti dalle band JOP e Dr. Butcher caricano ancora di più il pubblico, prima di una introspezione nel periodo del capolavoro “Streets”: la toccante “Tonight He Grins Again” ammanta temporaneamente il locale con la sua malinconia, mentre la seminale “Ghost In The Ruins”, spezzata da una lunga parte solista dei due esorbitanti chitarristi, ci fa spuntare qualche lacrima, anche perché dedicata agli scomparsi Matt la Porte e Criss Oliva. Il tempo delle presentazioni finisce poco prima di mezzanotte, è ora di iniziare con l’ospite d’onore della serata, il capolavoro “Hall of The Mountain King”. Il bollente riff di “24 Hours Ago” piove sul pubblico, e alcuni tra i presenti non capiscono davvero più niente! E questa incredibile esplosione di potenza è solo bissata dalla successiva “Beyond The Doors Of The Dark”, ulteriore colpo sotto la cintura a tutti i presenti. Gli assoli di “Legions” ci massacrano prima della bellissima “Strange Wings”, come sempre tra gli highlight del concerto. La fine dell’album scorre rapida con l’energia di “White Witch” e “Devastation”, prima del momento da tutti aspettato. Dopo l’intro “Prelude To Madness”, il riff di “Hall Of The Mountain King” scuote la platea come uno tsunami, riportando con violenza nelle nostre orecchie uno dei pezzi di chitarra più belli ed importanti dell’intera storia del metal classico. “Believe” chiude, come sempre, tra le lacrime di commozione lo show, con tutto il pubblico a cantarne ogni singola parola. Un concerto perfetto? Dal punto di vista tecnico assolutamente no, ma se la domanda diventasse: ‘un concerto bello?’ la risposta è affermativa senza dubbio alcuno. Coinvolgente dalla prima all’ultima nota, questo show ci ha fatto rivivere una parte importante degli Anni ’80, e questo va più di tutti i problemi tecnici e vocali che si sono sentiti.
(Dario Cattaneo)
Scaletta:
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Gutter Ballet (Savatage cover)
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Edge of Thorns (Savatage cover)
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Sirens (Savatage cover)
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Don’t Talk to Me (Dr.Butcher cover)
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Power of the Night (Savatage cover)
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Festival
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Tonight He Grins Again (Savatage cover)
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Walk Upon the Water
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Ghost in the Ruins (Savatage cover)
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24 Hours Ago (Savatage cover)
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Beyond the Doors of the Dark (Savatage cover)
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Legions (Savatage cover)
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Strange Wings (Savatage cover)
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The Price You Pay (Savatage cover)
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White Witch (Savatage cover)
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Devastation (Savatage cover)
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Prelude to Madness (Savatage cover)
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Hall of the Mountain King (Savatage cover)
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Believe (Savatage cover)