Introduzione a cura di William Crippa
Report a cura di Maurizio Borghi e William Crippa
Fotografie di Francesco Castaldo
Tornano in Italia dopo tre anni di assenza le leggende assolute del Metallo, i Judas Priest, a supporto di un nuovo album, “Redeemer Of Souls”, che non ha colpito particolarmente i fan. A supporto dei metal gods, per questo tour ci sono i più moderni Five Finger Death Punch, sempre più amati soprattutto dai più giovani. Non ci aspettiamo molti presenti, previsione dovuta anche al passaggio nell’area milanese di molte band quotate nel mese di giugno, ma al nostro arrivo davanti ai cancelli ancora chiusi non troviamo che poche centinaia di persone. L’apertura delle porte slitta dalle 18.30 alle 19.15, con parecchie lamentele all’indirizzo della società organizzatrice; abbiamo tutto il tempo per osservare chi ci sta attorno e l’umanità che ci aspetta a questo evento, e scopriamo sorpresi molti ragazzi giovani affiancare i classici ‘cinghiali’ ingrigiti e sfoggianti fieri magliette comperate nel 1982, ormai ridotte davvero male, e giubbetti di jeans che stanno assieme solamente per le toppe cucite tra loro. Massimo rispetto per un gruppo di ragazzi in chiodo con 30 gradi, mentre ci innamoriamo all’istante di una bellissima castana inguainata in una girlie di “British Steel” che passa il tempo a farsi selfie, bevendo birra e ruttando alla fotocamera dello smartphone… Si notano, infine, anche molti ragazzini in piena pubertà con la maglietta dei supporting act. Il tempo per fortuna alla fine scorre ed è quindi l’ora proprio dei Five Finger Death Punch!
FIVE FINGER DEATH PUNCH
Uno dei gruppi che sta lavorando in maniera più incessante per raggiungere il proprio obiettivo sono sicuramente i Five Finger Death Punch, che dal 2005, senza break importanti, sforzano il motore sia sul mercato US sia su quello europeo per arrivare allo status di ‘arena headliner’. Eccoli dunque inginocchiarsi ai metal gods Judas Priest per guadagnare nuovi fan nel Vecchio Continente, come già fatto in passato nel tour con gli Avenged Sevenfold, ed esibirsi su un palco spoglio col sole in faccia. Dal minuto zero la band appare su di giri, a partire dal frontman Ivan Moody, che fa di tutto per attirare l’attenzione e le simpatie del pubblico occasionale, sbracciandosi, caricando ogni mossa e cercando il coinvolgimento. Più di una volta, inoltre, ruba intere manciate di plettri ai compagni, per lanciarle in maniera maldestra alle prime file – già composte da veri fan – con un’età media dimezzata rispetto alle retrovie. Nelle tempistiche ridotte i 5FDP si esibiscono nell’intero repertorio di scena: le truppe sono subito individuate e, oltre al saluto militare, lo show viene interrotto per firmare un cartellone a loro dedicato. Stesso trattamento per la bandiera italiana lanciata dal fan club tricolore. Arriva poi il ragazzino sulle note di “Burn MF” e sul finale Ivan scende dal palco per cantare in faccia ai presenti “Here To Die”. L’intera band, carica tanto da rischiare la fusione, mostra però il meglio nel trittico iniziale “Under And Over It”, “Hard To See” e “Lift Me Up”: potentissima, precisa e carica di charme nelle caratteristiche jersey personalizzate, molto caratterizzata nei più minimi dettagli, muscolosa ma controllata, e soprattutto orientata e devota al rapporto con il pubblico. Chi li conosce li sorregge per l’intera esibizione, il resto del pubblico è diviso tra entusiasmo e scetticismo. Li aspettiamo a novembre!
(Maurizio Borghi)
Tra il set dei Five Finger Death Punch e quello degli headliner, un enorme telo sul quale compare maestoso il logo dei Judas Priest viene steso a proteggere la privacy di coloro che stanno allestendo il palco. Alle 21.15 le note di “War Pigs” dei Black Sabbath accompagnano lo spegnimento delle luci e l’attesa dei poco più di 4000 presenti si fa fremente. Una breve intro porta a “Dragonaut”, opener dell’ultimo album “Redeemer Of Souls”, con la caduta del telo che mostra uno stage completamente ricoperto da maxischermi sui quali durante la serata verranno proiettate le copertine degli album relative al brano in corso, oppure video a tema con i testi delle canzoni; Rob Halford entra lentamente in scena brandendo un bastone da passeggio e coperto di borchie dalla testa ai piedi, sfoderando da subito una voce decisamente in forma. Si fa sul serio immediatamente, con il cantante che inizia a marciare sulla ritmica di “Metal Gods”, imitando le immagini che arrivano dagli schermi mostranti un esercito di androidi in movimento, accompagnato dal canto di tutto il pubblico. ‘Milan, the priest is back!’, strilla Halford nel microfono, annunciando “Devil’s Child”, prima che Richie Faulkner e Glenn Tipton si riuniscano a centro palco per dare il via ad una maestosa “Victim Of Changes”, che manda il pubblico in visibilio. Richie stasera è esplosivo ed inarrestabile, sempre a bordo palco intrattenendo i fan con pose e mosse di repertorio, in aperto contrasto con Tipton e Hill, immobili ed in secondo piano a fianco della postazione di Scott Travis. Grandi i suoni, per un pubblico coinvolto che canta e si lascia trasportare; fa molto piacere vedere molti ragazzini divertiti che seguono con interesse accompagnati da genitori giovani. Si torna a “Redeemer Of Souls”, con “Halls Of Valhalla”, che dal vivo acquista una potenza ed una credibilità maggiore; Halford esce dallo stage e rientra mascherato per “Love Bites”, accompagnata dalle immagini del Nosferatu di Friedrich Murnau, mentre scioccherelle e fatte non benissimo sono quelle di non morti che supportano “March Of The Damned”. L’intro di “Turbo Lover” è accompagnato da un boato da parte dell’audience, boato che a sorpresa accoglie anche “Redeemer Of Souls”. È ora il momento della magnifica ed intensa “Beyond The Realms Of Death”, che ammalia e colpisce tutti i presenti, grazie ad una prestazione di Rob Halford davvero perfetta, da brividi. “Jawbreaker” e “Breaking The Law” accoppiate sono una mazzata tremenda e, al termine di questa grande doppia dose di adrenalina, ecco il rombo di una moto e Rob che sale sul palco a bordo di una scintillante Harley Davidson, per una clamorosa “Hell Bent For Leather” cantata direttamente dalla sella del bolide cromato. Si va per la pausa, ma questa dura meno di un minuto, interrotta da “The Hellion”, che introduce a “Electric Eye”, cantata a squarciagola da chiunque sia presente nell’arena. Halford comincia a camminare avanti ed indietro emettendo vocalizzi rimarcati immediatamente dai fan, scena questa che più volte abbiamo visto introdurre “Painkiller”, ma è “You’ve Got Another Thing Comin’” a seguire, completata da un lungo solo di Richie Faulkner che strappa applausi a profusione. Scott Travis si alza dalla pedana della batteria e chiede al pubblico quale canzone vuole ascoltare per chiudere lo show, e la risposta è scontata, tanto che il batterista si siede immediatamente e dà il via al massacro sonoro che risponde al nome “Painkiller”; una “Living After Midnight” cantata in coro da tutti i presenti chiude in trionfo il concerto. Grandissimi i suoni e davvero in forma la band, Richie su tutti, che ha regalato pose ed ha scherzato con i fan oltre a suonare magnificamente; Halford è sempre il dio del metallo, anche se con il passare degli anni è sempre più immobile e lento sul palco, ma il carisma e la voce non risentono per fortuna dell’età che avanza. Un tantino troppo invecchiati ci sono apparsi invece Glenn e Ian, che hanno saggiamente lasciato la prima linea a Faulkner limitandosi a suonare magnificamente e tralasciando l’extra. Il pubblico si è divertito, ha cantato ed ha gioito della presenza dei metal gods sulle assi di questa arena ed può tornarsene a casa davvero soddisfatto. Concerto ottimo.
(William Crippa)