A cura di Andrea Raffaldini
Il Palabam di Mantova per una notte si tinge dei colori della bandiera inglese, grazie alla calata di due delle band più amate della scena rock britannica. Una coppia storica e altrettanto insolita, UFO e Judas Priest, tanto diversi per stile, ma accomunati per aver scritto pagine importanti della storia della musica. Anche se l’evento richiama molti fan da tutta Italia, il sold out non viene raggiunto; poco male, perché gli astanti potranno muoversi tranquillamente senza dover passare ore e ore soffocati tra la calca. Va detto che l’ottima acustica del posto ha permesso ai presenti di godersi suoni di qualità e di assistere ad un concerto con una marcia in più!
UFO
Sono circa le 19.30 ed il Sole è ancora alto quando gli UFO danno inizio al loro spettacolo. La band inglese appare sin da subito in gran forma, con un Phil Mogg giocherellone ed un Vinnie Moore gioviale, ispirato alla chitarra ed impegnato ad intrattenere i presenti biascicando qualche parola in italiano. Durante la prima parte del concerto vengono proposti i brani più nuovi tratti dall’ultimo disco, pezzi quali “Fight Night” e “Wonderland”, apprezzati senza troppo entusiasmo dai presenti. Nel momento in cui partono i classici, il pubblico si scalda ed inizia a cantare. Da “Mother Mary” a “Let It Roll”, passando per le immortali “Lights Out” e “Rock Bottom”, gli UFO non lesinano energie e Vinnie Moore offre una superba prova di classe con la sua sei corde, veramente da pelle d’oca. Visto il poco tempo a disposizione, Mogg non si perde in chiacchiere con il pubblico, scusandosi per la non conoscenza dell’italiano, bensì preferisce che sia la musica a parlare. Unico neo dello show, la mancanza in scaletta della sempreverde “Doctor Doctor”. A parte questo particolare, abbiamo assistito ad un concerto energico, che ha confermato la buona salute di una band capace di convivere degnamente con il passare degli anni. Hard rock di classe per un breve show all’insegna dell’adrenalina. Quale miglior modo di scaldarsi, prima dell’arrivo degli headliner?
JUDAS PRIEST
Precisi come un orologio, alle 21 i Judas Priest danno inizio alla battaglia. Suoni potenti, compressi e distorti creano un muro sonoro devastante che rende l’opener “Rapid Fire” solida come un macigno. La band appare in grande spolvero: insieme al carismatico Rob Halford, il vero mattatore della serata è a sorpresa il nuovo arrivato, Richie Faulkner. Il biondo axe-man ha suonato col cuore, mostrando un talento innato e una predisposizione da vero animale da palcoscenico. Glenn Tipton, inoltre, ha “regalato” al giovane chitarrista gran parte dei suoi assoli, tenendosi per sé soltanto quelli dei brani più classici. “Metal Gods” e “Heading Out To The Highway” vengono eseguite con l’apporto dei cori del pubblico, che non manca nemmeno una nota di questi cavalli di battaglia. Un breve calo di intensità con “Judas Rising” e “Starbreaker”, poi “Victim Of Changes” torna a far ribollire il sangue nelle vene. Fino ad ora la voce di Halford regge alla grande e viene aiutata dal carisma e dalla forte vena interpretativa del cantante inglese. Il fido compagno Scott Travis si rivela la solita macchina dietro le pelli: preciso come un metronomo, l’americano non sbaglia un colpo. Va detto che la produzione gli dà un forte aiuto, in quanto al minimo tocco di bacchette sembrano partire vere cannonate. Tempo di sogni al Palabam: le note inconfondibili di “Diamonds & Rust” avvolgono il pubblico, che si lancia in un coro passionale. Halford trasmette forti emozioni grazie ad una performance stellare. Lo stesso accade per “Nightcrawler”, poderoso estratto da “Painkiller”, epico e maestoso. I padri dell’heavy metal inglese proseguono la loro marcia di distruzione con una convincente versione di “Turbo Lover”, che permette al buon Rob di riprendere fiato. Altro classico in arrivo: “The Sentinel” assesta un duro colpo all’ugola del Metal God, che fa davvero fatica a sforzare le sue corde vocali per rincorrere senza troppo successo le alte tonalità del brano. Da questo momento in poi, le vocals diverranno l’elemento più ostico dello show, anche se il mestiere è riuscito egregiamente ad evitare cali di intensità. Persino il ‘trucco’ di far cantare interamente “Breaking The Law” al pubblico serve sostanzialmente a far ricaricare Halford, prima di cimentarsi nella distruttiva “Painkiller”. Il giro iniziale di batteria ed i riff di chitarra sono ormai entrati nella storia dell’heavy metal, i fan vanno in delirio e si scatenano in un furioso headbanging. Mentre ci avviciniamo sempre più alla conclusione, i Judas Priest raccolgono le ultime energie e danno l’anima nel suonare gli ultimi cavalli di battaglia: “Electric Eye”, “Hell Bent For Leather”, fino alla conclusiva “Living After Midnight”, con cui si congedano definitivamente. Un concerto devastante per una formazione ancora in grado di reggere bene la prova live. Se volessimo trovare a tutti i costi un neo, segnaliamo che la scaletta è rimasta immutata dallo scorso anno; una sorpresa in più non avrebbe guastato.
Setlist:
Rapid Fire
Metal Gods
Heading Out To The Highway
Judas Rising
Starbreaker
Victim Of Changes
Never Satisfied
Diamonds & Rust
Dawn Of Creation
Prophecy
Night Crawler
Turbo Lover
Beyond The Realms Of Death
The Sentinel
Blood Red Skies
The Green Manalishi (With The Two Pronged Crown)
Breaking The Law
Painkiller
The Hellion
Electric Eye
Hell Bent For Leather
You’ve Got Another Thing Comin’
Living After Midnight