22/11/2012 - KATATONIA + ALCEST + JUNIUS @ Magazzini Generali - Milano

Pubblicato il 24/11/2012 da

A cura di Marco Gallarati

Prosegue l’incredibile concatenazione di eventi live di questa seconda parte di novembre in quel di Milano: nella stessa data in cui all’Alcatraz si esibiscono i Sonata Arctica, ai Magazzini Generali di via Pietrasanta va in onda una serata in grado di inneggiare, in egual misura, alla depressione e alla magia di una musica intimista e riflessiva, senza per questo scordare che le coordinate del concerto restano assolutamente e indefessamente metal. I Katatonia vengono a promuovere il loro ultimo capolavoro, “Dead End Kings”, e ritroviamo la band svedese nel capoluogo lombardo dopo ben due anni e mezzo, tempo in cui gli scandinavi hanno avuto modo di rinsaldare e rinforzare – e si è visto! – una stabilità di line-up all’epoca un po’ persa. I Magazzini hanno risposto bene, perlomeno a livello di riempimento, al richiamo del metallo oscuro e introspettivo, con un quasi pienone che avrà sicuramente gasato i compassati ragazzi di Stoccolma e, oltre a loro, i francesi Alcest e gli americani Junius, support-act che ben hanno calzato in uno show dalle siffatte sonorità. Piacevole anche constatare come, per una volta, gli orari di esibizione all’interno del comune di Milano siano stati decisamente tardivi, con l’inizio concerto avvenuto alle 20.15 e la conclusione addirittura a mezzanotte! Che sia finito il coprifuoco serale, finalmente? Ma ora entriamo nel locale e vediamo cos’è successo…

Nota: approfittiamo dell’introduzione per segnalare come, ancora una volta e sempre in questa venue, le band abbiano scelto di non esporre all’interno il proprio merchandise, in quanto una forte percentuale del ricavato non sarebbe entrata nelle loro tasche. A fine spettacolo, quindi, siamo stati costretti ad assistere a scene inverosimili, con un camion della crew posizionato all’entrata dei Magazzini Generali ed utilizzato quale espositore di magliette e felpe, mentre a cinque metri i soliti magliettari, simpaticissimi e dallo spiccato accento svedese, cercavano di procacciare il loro scadente materiale illegale. Vergogna all’amatriciana.

JUNIUS
Aprono le danze i bostoniani Junius, post-rock-metal band che l’anno scorso ha pubblicato il proprio secondo album “Reports From The Threshold Of Death”. Se strumentalmente i ragazzi ci sono sembrati più che validi, sebbene con vigorosi rimandi a svariate entità di maggior prestigio e bravura in campo post- e alternative, fra le quali la somiglianza con i Deftones ci è parsa la più evidente, a livello vocale la formazione yankee si affloscia impietosamente e perde forma venendo inglobata da un mare di miele e metriche stucchevoli e lagnanti, che solo in contate occasioni trovano il giusto e cercato input positivo. Il tentativo di Joseph E. Martinez, l’incappucciato cantante/chitarrista dei Junius, di elevare i propri vocalizzi verso un empireo d’estasi e benessere noto solo a gente come Chino Moreno – per citare un nome a caso – non è esattamente andato a buon fine, vuoi per la ripetitività delle soluzioni, anche metriche e melodiche, vuoi per un timbro che alla lunga è risultato stancante, soprattutto in assenza di variazioni di registro. Peccato, in fin dei conti, perché lo stile dei Nostri resta sì standard, ma anche vincente e certo meritorio di un miglior accompagnamento vocale. “All Shall Float” ci ha proprio annoiato, mentre, dopo un preoccupante stop per un problema tecnico, la conclusiva “The Antediluvian Fire” ha risollevato un po’ le sorti del gruppo, che certamente ha qualcosa da rivedere in termini di songwriting.

ALCEST
Il cambio palco tra Junius e Alcest occupa un po’ più tempo del previsto ed il quartetto transalpino inizia il proprio set con una decina di minuti di ritardo. Se in occasione dell’opening band i proverbiali suoni claudicanti dei Magazzini avevano cozzato con le basi usate dai Junius creando un sound portato a far prevaricare i bassi e la voce, gli Alcest si trovano alle prese con una sporcizia più diffusa che, nonostante sia andata scemando nel corso dell’esibizione, non ha certo aiutato a far esaltare le delicate e molteplici trame insite nel post-black metal intriso di shoegaze della band. Chi scrive se li era persi praticamente per intero al tempo dell’ultimo Summer Breeze festival, in quanto i Sepultura suonavano in contemporanea su un altro palco, ma l’atmosfera chiusa e buia che gli Alcest necessitano per ricreare al meglio i soundscape sognanti e nostalgici, fulcro della loro proposta, certo ha fatto sì che il pubblico abbia potuto apprezzare appieno la setlist eseguita e quindi infine risolversi in un’esibizione migliore rispetto a quella tedesca. Pubblico, fra l’altro, che si è mostrato discretamente preparato sul combo francese, tributando applausi e battimani – regolarmente fuoritempo – in diverse occasioni. Pacato e pacifico nell’esecuzione, anche nell’unico vero momento tirato, la sfuriata blackish di “Là Où Naissent Les Couleurs Nouvelles”, il quartetto capitanato da Neige ha concesso poche parole all’audience, facendo parlare e sussurrare gli incedere crepuscolari di “Percées De Lumière” e della conclusiva, estatica, “Summer’s Glory”. Un concerto che ha soddisfatto sicuramente i più ansiosi di vedere questa formazione in rapido crescendo di popolarità, solo in parte rovinato dall’acustica non ottimale, ma che comunque ha denotato anche notevoli margini di miglioramento in termini di presenza scenica e vigoria on stage, giusto per non far passare il loro liveset alla stregua di una terapia ipnotica…

Setlist:
Autre Temps
Là Où Naissent Les Couleurs Nouvelles
Les Voyages De L’Ame
Souvenirs D’Un Autre Monde
Percées De Lumière
Summer’s Glory

KATATONIA
Finalmente giunge l’ora dei Katatonia, una formazione capace ormai di mettere d’accordo black, doom e gothic metaller, il popolo alternativo, quello dark e gente un po’ di tutte le età, grazie ad una proposta che ha nella riflessione e nell’intimismo, uniti però ad un dinamismo spesso sottovalutato e per nulla deprimente, il suo punto di maggior attrattiva. La band è però anche nota per fornire, dal vivo, prestazioni altalenanti e mai troppo perfette, si voglia per mera, minima vocazione professionale, oppure per eventi circostanziali, come ad esempio l’esibirsi estemporaneamente ad un festival. Durante i tour, difatti, quando i ragazzi riescono a prepararsi e rodarsi per bene, l’impatto del loro show è più spesso positivo e soddisfacente, come del resto è accaduto questa volta, ai Magazzini Generali di Milano, di fronte ad un pubblico in semi-adorazione ma educato e quasi mai sbracato. Per Eriksson e Niklas Sandin, il chitarrista e il bassista che hanno sostituito i fratelli Norrman all’indomani dell’uscita del precedente “Night Is The New Day”, sono parsi molto più coinvolti nella band rispetto alla volta scorsa con Swallow The Sun e Long Distance Calling; e ciò si riversa direttamente anche su Renkse, Nystrom e Liljekvist, che approcciano il palco con una maggiore dose di aggressività e movimento. Oddio, Jonas non sarà mai un frontman a proprio agio di fronte ad un’audience, così come probabilmente non riuscirà mai ad essere espressivo e toccante come su disco, ma almeno quest’oggi, oltre la cascata di capelli neri a coprirgli il viso e la sagoma da pupazzone di peluche, abbiamo potuto ammirare anche un metallaro con ancora tanta voglia di fare headbanging sul palco e di impegnarsi al meglio per rendere speciale l’esperienza Katatonia a chi li vedeva per la prima volta. Fiducia pienamente concessa dalla band a “Dead End Kings” – per chi scrive uno dei dischi dell’anno – omaggiato di una partenza col botto con “The Parting” e “Buildings” e poi altresì protagonista tramite altri estratti e soprattutto il primo dei bis concessi, la grandiosa “Dead Letters”. La setlist si è poi evoluta bene senza dimenticare nessun episodio della seconda parte di carriera dei Katatonia, diciamo quella alternativa e del cantato solo clean, con picchi di ovazioni raggiunti all’altezza di “Teargas”, “The Longest Year”, “Omerta” – presentata come fosse ‘una ballata melodica italiana’ – e la cantatissima “July”. Ottimo, inoltre, risentire un brano storico quale “Deadhouse” ed un masterpiece del calibro di “Burn The Remembrance”. Per i bis, devastante l’esecuzione di “Forsaker”, resa in modo violento dalla band, percepita benissimo dalla platea e finalmente eseguita in chiusura di spettacolo, quando si è all’apice dell’evento, e non in apertura, sprecandone tutte le potenzialità. E’ stato dunque un piacere, dopo almeno tre concerti dei Katatonia deludenti e/o poco soddisfacenti, goderseli in buona forma e quasi impeccabili. Un gruppo-simbolo, di attitudine e stile, la cui musica significa tanto per chi concepisce l’esistenza in un determinato modo. Da rivedere al più presto.

Setlist:
The Parting
Buildings
Deliberation
My Twin
Burn The Remembrance
The Racing Heart
Lethean
Teargas
Strained
The Longest Year
Soil’s Song
Omerta
Sweet Nurse
Deadhouse
Ghost Of The Sun
July
Day And Then The Shade

Encore:
Dead Letters
Forsaker
Leaders

 

12 commenti
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