Report di Federico Orano
Fotografie di Florian Hille
Anche lo storico ed inossidabile festival tedesco Keep It True – nato nel lontano 2003 – ha dovuto posare le armi durante questi due anni di pandemia, trovandosi costretto a posticipare l’edizione del 2020 fino al prossimo Aprile 2023. Ma Oliver e gli altri stoici organizzatori non si sono certo dati per vinti e nel frattempo hanno dato vita ad un evento parallelo: il Keep It True Rising! Lo scorso anno, durante la prima edizione, si sono esibiti sul palco del Posthalle di Wurzburg band del calibro di Blind Guardian, Candlemass, Demon, Praying Mantis e Atlantean Kodex, ottenendo un successo che ha spinto lo staff a puntare ad una seconda edizione. Ed è così che nel weekend a cavallo tra fine Settembre ed inizio Ottobre, approfittando del lunedì di festa nazionale in Germania – il 3 Ottobre si festeggia l’unificazione tedesca – ha potuto aver luogo il Rising 2, una tre giorni dedicata in modo massiccio alla scena NWOBHM, quello storico movimento musicale di fine anni Settanta e proseguito durante la decade successiva in Gran Bretagna. Una line-up di assoluto valore, che ha riunito moltissime delle band che in quegli anni hanno reso gloriosa la scena britannica, ha reso questo festival un appuntamento quindi imperdibile per ogni amante delle sonorità più classiche, potendo rivivere i fasti di un passato che ancora lega tantissimi appassionati. Un weekend dove tutto ha funzionato al meglio, grazie ad una macchina organizzativa impeccabile: esibizioni che spaccavano il minuto, suoni pressochè perfetti, servizi all’interno dell’area coperta molto efficienti con tre punti birra (4,50 euro la media, ma attenti che il bicchiere d’acqua costa caro: 3,50 euro!) e molti banchetti per l’acquisto di dischi e merchandising. La sensazione è che le stesse band abbiano trascorso dei momenti indimenticabili riunendosi davanti ad un pubblico sempre caldo e partecipe anche durante le prime ore quando, a mezzogiorno in punto, le prime note cominciavano ad uscire dalle casse. E l’intero festival è stato trasmesso in diretta ed è ancora visibile dal canale YouTube ufficiale del Keep It Tue.
Insomma la regione della Franconia, tra Wurzburg e Lauda-Königshofen, dove ha luogo negli ultimi anni il Keep It True vero e proprio, si conferma ancora una volta la capitale mondiale dell’heavy metal più classico!
VENERDI’ 30 SETTEMBRE
WITCH CROSS
Sono le 17:30 esatte quando i danesi Witch Cross salgono sul palco con il peso sulle spalle di dover rompere il ghiaccio ed aprire il cartello del festival. La titletrack del nuovo disco “Angel Of Death” apre le danze con riff oscuri e rocciosi, presentando l’ugola ruvida del bravo Key Moore che alza le note sul ritornello, semplice e canticchiabile. La band però è attesa con i suoi pezzi più storici, in particolare quelli pescati dal loro debutto “Fit For Fight” del 1984, recentemente ristampato. Ed ecco che proprio da quel disco vengono pescate “Nightflight To Tokyo”, con il suo riff classic metal che conduce un brano frizzante e melodico, e poi l’inno “Fight The Fire”, in grado di esaltare tutti grazie ad un refrain forgiato nel metallo più puro. Nonostante gli anni che passano il quintetto danese mette in atto uno show ricco di energia, grazie al lavoro dei veterani Little John Field al basso e Mike Wlad alla chitarra. Il rock più puro e spassoso di “Are You There”, pescato da un singolo del 1983, non può che divertire prima della conclusiva “Face Of A Clown”, dove le due chitarre si intrecciano creando belle trame. Buona partenza grazie ai Witch Cross.
MYTHRA
I Mythra sono un’autentica cult band che, nonostante abbia mosso i primi passi nel 1976, non è mai riuscita a pubblicare un vero e proprio full-length fino al 2017 con “Still Burning”. L’Ep del 1979, “Death And Destiny” è rimasto però nella storia per tutti i seguaci più incalliti di queste sonorità. Il gruppo sfoggia il proprio classic metal dalle tinte rock’n’roll con ritmi spesso sostenuti e canzoni ricche di carica esplosiva, come la titletrack dell’ultimo lavoro sopra menzionato: questa apre la scaletta mostrando una band ancora molto attiva sul palco, grazie anche all’innesto del buon cantante Kev McGuire, non certo un fuoriclasse ma un frontman capace di tenere bene il palco. I riff scorrono rapidi durante la possente “Ride The Storm”, ma è con la classica “Killer”, spinta da riff scoppiettanti, che si alza il livello di adrenalina. Il drumming vivace e vigoroso di Phil Davies colpisce forte, prima con la scrosciante “A Call To All” e poi con i ritmi sostenuti di “Overlord”, dagli assoli precisi degli storici axemen John Roach e Alex Perry. Le note finali arrivano con un super classico per la band inglese, ovvero “Death And Destiny”, rocciosa e vibrante.
KEV RIDDLE’S BAPHOMET
Kev Riddles’ Baphomet è la nuova band messa assieme dall’ex bassista degli Angel Witch con lo scopo di rivisitare e suonare in sede live alcuni dei classici della storica band inglese, pescati dagli anni della sua militanza che vanno dal 1978 al 1981. Con lui alcuni membri della sua altra creazione, i Tytan, come il dotato cantante Peter Welsh che con la sua voce profonda e vibrante ha elettrizzato la performance della band. Le danze vengono aperte sulle note di “Sweet Danger”, prima di tuffarsi a capofitto sull’accoppiata “Baphomet” e “Sorceress”. Il suono che esce dalle casse è pulito e potente, ed il tutto pare funzionare abbastanza bene. Dopotutto alcuni di questi brani sono autentiche leggende per gli appassionati di queste sonorità e basta poco per accendere la fiamma, ad esempio le rapide incursioni di “Gordon” e le melodie canticchiabili di “White Whtch”. La voce pulita di Peter piace eccome, e viene messa in risalto dalle note epiche della favolosa “Free Man”, che pian piano cresce nella sua possenza fino al bellissimo refrain, intonato dal pubblico assieme al cantante inglese. Inutile specificare che a chiudere lo show ci ha pensato quell’immortale brano che risponde al nome di “Angel Witch”, ovviamente cantata da tutti a oltranza, fino ai saluti finali. Bello show firmato Kev Riddle’s Baphomet: una band che è parsa coesa e unita sul palco divertendosi nell’interpretare questi storici brani firmati Angel Witch.
SARACEN
La classe del gruppo inglese è cristallina anche se i risultati ottenuti in termini di notorietà sono sempre stati al di sotto di ciò che avrebbe meritato, ma i Saracen in terra tedesca godono di un nutrito seguito, che anche in data odierna si è riversato a Wurzburg per supportare i propri beniamini. Il loro sound elegante, spinto dalle tastiere e dall’hammond di Paul Bradder, viene reso protagonista anche dalla chitarra dinamica, suonata del leader Rob Bendelow, e dalla voce squillante di Steve Bettney, che come sempre si muove come un grillo sul palco correndo e saltando tra un acuto e l’altro. “Crusader” apre le danze con il suo incedere epico, lasciando spazio alla più classica “Rock Of Ages”. Ma è con la meravigliosa “Horsemen Of The Apocalypse” che il pubblico esplode con tutta la propria carica, cantando ed agitandosi: tappeti di tastiere, riff di matrice classica, cambi di tempo ed atmosfera e melodie tutte da cantare sono le caratteristiche di questo brano dal flavour epico e settantiano. Dopo i ritmi alti di “Meet Me At Midnight” ci pensa l’altra mastodontica hit, “Heroes, Saints & Fools”, titletrack dello storico disco pubblicato nel 1981, ad elargire classe da vendere. Il pubblico tedesco, come detto, ha un debole per i Saracen e anche stavolta lo dimostra, lasciandosi coinvolgere durante la corposa “Swords Of Damascus” e sulle note finali di “Ready to Fly”, salutando poi i cinque inglesi tra una montagna di applausi.
HOLOCAUST
E’ una proposta certamente più rock’n’roll quella degli Holocaust, una delle tante cult band che si presentano a Wurzburg con una scaletta speciale. I nostri suoneranno per intero il loro disco più brillante, quel “The Nightcomers”, debutto del 1981, evocatore di un sound più lento ed oscuro rispetto a molte altre band che abbiamo incontrato e incontreremo durante questo weekend. Zero fronzoli, brani compatti e basati su riff crudi, dove la voce ruvida del leader ha buon gioco e anche chitarrista John Mortimer può muoversi con disinvoltura. “Smokin’ Valves” attacca con il basso scoppiettante di Mark McGrath a dettare i ritmi, e lo show continua con i riff potenti e le atmosfere dark di “Mavrock” per proseguire con la massiccia “Death Or Glory”, storico brano coverizzato in passato da band come Voivod e Gamma Ray. Le chitarre costruiscono un muro sonoro invalicabile, sui quali John può poi erigere il suo assolo di chiara scuola settantiana. Il pubblico si agita spinto dal groove, capace di continuare ad avvolgere i presenti prima con la spigolosa “The Nightcomers” e infine con “Heavy Metal Mania”, dedicata a Steve Grimmett.
Un sound compatto durante la prestazione essenziale del quartetto scozzese.
GRIM REAPER TRIBUTE
La morte di Steve Grimmett lo scorso 16 Agosto ha lasciato tutti di stucco e senza parole. Il cantante inglese doveva esibirsi con i suoi Grim Reaper come headliner del primo giorno di questa edizione del Keep It True Rising, ma la sua scomparsa ha ovviamente avuto un proprio ulteriore peso nelle scelte dell’organizzazione. La decisione di suonare comunque, dedicando la serata allo storico frontman britannico è stata sicuramente la migliore: a chiudere la serata inaugurale del festival troviamo quindi gli attuali Grim Reaper con alcuni ospiti ad omaggiare una delle voci più speciali che la musica metal abbia mai conosciuto. Arrivato per l’occasione direttamente dagli Stati Uniti, dove attualmente vive, Nick Bowcott, fondatore e chitarrista storico della band, ha aperto lo show con un breve discorso durante il quale il livello emotivo è subito salito fino a toccare la commozione, ricordando a tutti il senso della serata – ovvero il ricordo di Steve. magari in ascolto da chissà dove. Ed è proprio suo figlio Russ a salire sul palco, con enorme dedizione, per riproporre alcuni grandi classici firmati Grim Reaper, a partire da “Rock You To Hell” e passando per “Night Of The Vampire” e “Lust For Freedom”. Il buon Russ non possiede certo le doti canore del padre e per salire in alto con la voce ha dovuto forzare molto, ma ha fatto del suo meglio perchè la serata si svolgesse nel migliore dei modi. La musica è certamente cambiata quando a salire sul palco è stato il grandissimo Harry Conklin (Jag Panzer, Titan Force): se esiste sulla faccia della terra un cantante in grado di muoversi con disinvoltura sulle complesse note vocali che raggiungeva l’indimenticabile Steve, questo è proprio il cantante proveniente dal Colorado, ed infatti con lui al microfono l’esaltazione è salita alle stelle. Dopo qualche breve parola, raccontando della sua ammirazione quando, da giovane cantante, accompagnò i Grim Reaper in alcune date negli States prendendo Steve come autentico idolo, Harry ha cominciato a far vibrare la venue con la sua voce tonante durante la spassosa “Suck It And See” e la possente “Call Me In The Morning”. Trova spazio anche l’atipica ballata “The Show Must Go On” prima che sia Olof Wikstrand degli Enforcer a prendere il comando dello scenario. Il giovane cantante nordico spende anche lui parole di stima e ammirazione su Grimmett, col quale ha condiviso il palco durante alcuni show nel Sud America, omaggiando con la propria ugola tagliente “Liar” e proseguendo poi con “Fear No Evil”. Prima dell’encore finale sale sul palco Millie Grimmetts, moglie del compianto artista che, tra l’emozione generale, parla a cuore aperto del marito e ringraziando tutti per aver reso possibile una serata come questa, il modo migliore per rendergli omaggio. Le lacrime sono visibili – e non solo sul viso di Millie. Con tutti e tre i cantanti sul palco il gran finale è apparecchiato: “Final Scream” e l’indimenticabile “See You in Hell” sono due inni classic metal da cantare dall’inizio alla fine e così è stato. Una serata difficile da scordare, la celebrazione di un artista che è stato protagonista – pur senza mai raggiungere il successo meritato – di una scena metal alla quale ha contribuito tantissimo. Gli applausi continuano a rimbombarci nelle orecchie anche mentre ci dirigiamo verso l’albergo, a mo’ di eco di una serata leggendaria.
SABATO 1 OTTOBRE
KONQUEST
Gli unici a rappresentare la nostra penisola in quel di Wurzburg sono stati i Konquest, act salito alla ribalta dopo un disco ben riuscito e dal buon tiro come “The Night Goes On”, dato alle stampe lo scorso anno. Il quartetto toscano è già pronto a rimettersi in gioco visto che l’uscita del nuovo disco “Time And Tyranny” è imminente, ed è proprio con la titletrack che inizia a girare il motore del mastermind Alex Rossi, voce e chitarra del combo, affiancato per l’occasione da altri musicisti. Il suono non è dei migliori e forse peccano un po’ di affiatamento i quattro protagonisti sul palco – dopotutto il fatto di non essere una vera e propria band si fa sentire – ma i brani funzionano e i numerosi presenti in sala, nonostante sia presto, apprezzano. “Keep Me Alive” tira dritta e colpisce con un bel solo di chitarra, mentre riesce a coinvolgere tutti la più canticchiabile “The Night Goes On”, che grazie proprio all’aiuto del pubblico si trasforma nel momento migliore dello show. L’altra anteprima risponde al nome di “Something In The Dark”, pezzo di chiara scuola NWOBHM, con le chitarre che costruiscono trame dall’andatura esaltante prima di lasciar spazio ad un refrain che convince fin da subito. Alex non è certo un fuoriclasse al microfono ma svolge con passione il proprio lavoro e porta a casa una buona prestazione – anche se un po’ troppo corta, visto che è durata non più di mezz’ora – per lui ed i Konquest, chiudendo con la grintosa e possente “Heavy Heart”.
RIOT CITY
L’attesa per i canadesi Riot City era a livelli elevatissimi: vuoi perchè essendo un gruppo d’oltreocano non è così facile assistere ad un loro show nel vecchio continente, vuoi perchè il loro disco di debutto, “Burn The Night” (del 2019) è stato davvero stellare, ma soprattutto perchè il concerto di questa giornata funge anche da presentazione del nuovo “Electric Elite”, già disponibile tra i banchetti della No Remorse, loro casa discografica. Il loro è un furioso speed metal con riff indiavolati e l’ugola tagliente dell’ottimo Jordan Jacobs a rendere ciascun brano ancora più spigoloso; ne esce uno show spettacolare e ricco di adrenalina dove la band alterna alcune spettacolari esplosioni sonore pescate dall’esordio, come “The Hunter” e “Burn The Night”, ad un paio di anticipazioni del nuovo disco, la fumante “Beyond The Stars” e il midtempo melodico “Tyrant”, entrambe in grado di funzionare alla grande. Insomma, la band canadese si dimostra tanto valida su disco che in sede live, riuscendo a confezionare uno show infuocato con brani che scorrono rapidissimi, grinta e tecnica da vendere ed un cantato che è fedelissimo a ciò che si può ascoltare su disco. “Steel Rider” colpisce con fervore, per poi chiudere, sulle note di “In The Dark” e “329”, uno show energico e perfetto sotto ogni punto vista: suoni, prestazione dei singoli musicisti e coinvolgimento del pubblico.
WYTCH HAZEL
Qualche problemino tecnico alle chitarre ritarda la partenzadel gruppo inglese che già sul palco, pronto e nella ‘solita’ casacca bianca, attende che i tecnici facciano il loro lavoro, scambiando nel frattempo due parole coi presenti. Si parte con “He Is The Fight”, canzone che dimostra come si possa ancora suonare musica di qualità pescando dal passato (e soprattutto dal sound tipico settantiano) rendendolo attuale e riproponendo il tutto con sapienza. La raffinata “Still We Fight” fa cantare tutti i presenti e mostra come il quartetto da Lancaster possieda una classe da non sottovalutare. Il leader Colin Hendra non ha una voce indimenticabile, ma riesce a muoversi con disinvoltura tra le note invitanti dell’elegante “I Am Redeemed”, spinta dalle due chitarre che viaggiano all’unisono fino al caldo refrain. Il pubblico apprezza e applaude, esaltandosi con l’irresistibile ritornello ipermelodico della progressiva e aggraziata “Archangel”. Si torna su territori più metallici con “See My Demons”, che scorre sulle vie della NWOBHM con un ritmo trionfale, e “Spirit And Fire” che viene lasciata cantare ancora da tutti i presenti. L’epica “Wytch Hazel” ed il rock più classico di “Surrender” trovano spazio verso la fine prima dei saluti finali.
Nonostante qualche piccola pausa dovuta ai problemi tecnici sopra menzionati ed una scaletta leggermente ritoccata per questo motivo, la prestazione dei Wytch Hazel è stata davvero notevole e senza dubbio una di quelle che ricorderemo con maggior intensità alla fine del festival.
BLITZKRIEG
Grazie ad un disco come “A Time Of Changes”, i Blitzkrieg si sono meritati l’appellativo di ‘leggende della NWOBHM’, ed il gruppo inizia il proprio show lanciato dai riff scoppiettanti di “Armageddon” e “Hell To Pay”, due estratti da quella storica release del 1985. La band sembra in ottima forma, attorniata da atmosfere dark, e colpisce a suon di classic metal con le bordate di metallo condotte dalle chitarre di Alan Ross e Nick Jennison, con la possente ed oscura “A Time Of Changes”. Il protagonista sul palco è comunque Brian Ross, cantante di culto che conduce le danze con sapienza mostrando tutte le sue doti di frontman. Il pubblico si lascia conquistare dalla riproposizione di questi brani storici, tra i quali spicca anche la datata e classicissima “Buried Alive” oltre che “Pull The Trigger”, cover dei Satan ma presente nella tracklist di “A Time Of Changes”. Il basso sostenuto e preciso accompagna la lanciata “Struck By Lightning”, e a chiudere ci pensa l’immortale incedere di “Blitzkrieg”, che Brian vuole dedicare al compianto Cliff Burton. I Blitzkrieg si congedano dai loro fan tra gli applausi, dopo uno show massiccio e coinvolgente.
AVENGER
All’interno della scena inglese, due dischi come “Blood Sports” del 1984 e “Killer Elite” del 1985, sono due esempi di puro heavy metal fumante e diretto che in questi quarantacinque minuti di musica sono stati omaggiati a partire dalla rapida “Enforcer” e dal tocco quasi speed-thrash di “Run For Your Life”. Ian Swift al microfono fa un buon lavoro con la sua voce possente, che può salire di tono in alcuni passaggi, ma sono le chitarre di Liam Thompson e Sean Jefferies a dettare legge e spingere la rocciosa “Brand Of Torture” prima della roboante “M.M.85”, entrambe pescate dal grintoso “Killer Elite”. Le vorticose chitarre di “Death Race 2000” fanno muovere i presenti e trova spazio anche un estratto, “In Arcadia Go!”, dall’ultimo lavoro della band (quel “The Slaughter Never Stops” del 2017). Difficile resistere all’esplosiva “Revenge Attack”, grandissimo inno heavy condotto da un basso solerte ed alla conclusiva e sanguigna “Too Wild To Tame”.
Una prestazione massiccia per gli Avenger, formazione che non pare accusare troppo tutti gli anni trascorsi dai due dischi storici.
TYGERS OF PAN TANG
Se esiste una band romantica all’interno della scena NWOBHM che non si è mai data per vinta continuando a resistere nel cuore di molti ascoltatori, questa risponde al nome di Tygers Of Pan Tang. Il gruppo inglese può vantare molte pubblicazioni di assoluto livello, comprese alcune delle più recenti, ma è indubbio che siano i brani più storici a suscitare più calore verso tutti i presenti. Come “Fireclown” – da “Wild Cat”, debutto del 1980 – che apre la setlist con il suo riff scoppiettante: Jacopo Meille è un cantante di razza che sa come muoversi sul palco scaldando i presenti e svolge più che bene, anche vocalmente, il proprio lavoro. A far compagnia allo storico chitarrista Robb Weir troviamo l’italiano Francesco Marras (Screaming Shadows) che, forse un po’ timidamente, si muove alla perfezione sulle sei corde spingendo sui ritmi elettrizzanti di “Love Don’t Stay”, indimenticato brano di “Crazy Nights”. “Gangland” corre rapidissima facendo muovere la testa di tutti i presenti, colpiti imperterriti dalla carica metallica di questo pezzo. Senza soste trovano spazio prima la rockeggiante andatura di “Suzie Smiled” e subito dopo la rocciosa “Hellbound” che il pubblico canta senza sosta. I ritmi sostenuti e incontrollabili di “Don’t Touch Me There” sono un’iniezione di adrenalina pura e non indifferente, che anticipa la chiusura affidata alla sempre presente e spassosa “Love Potion No. 9”. Quarantacinque minuti di tempo per le tigri sono un po’ pochi, ma la ricca line-up del festival ha costretto a qualche rinuncia in termini di minutaggio, trovando dei compromessi. E i Tygers Of Pan Tang hanno graffiato come ci si aspettava, lasciando il segno all’interno di una giornata di altissimo livello artistico.
PAUL DI ANNO
Trascorre giusto il tempo necessario per il soundcheck, ed ecco che l’atteso ed eccentrico cantante inglese fa pian piano il suo ingresso accompagnato da un addetto alla sicurezza. Paul infatti è costretto a svolgere lo show seduto sulla sua sedie a rotelle, vista la recente operazione alla gamba. Il frontman britannico ci mette poco a prendere il proscenio, scambiando prima due parole con i presenti e poco dopo iniziando a cantare dando sfoggio ancora una volta della sua meravigliosa voce. Una serata dedicata all’era Maiden, con Paul che ha selezionato per l’occasione una setlist speciale dedicata a tutti i fan di dischi come “Killers” e “Iron Maiden”. E nonostante la resa visiva sia stata un po’ condizionata dal fatto che Di Anno fosse costretto a rimanere fermo e seduto, bisogna ammettere che la sua prestazione vocale è stata davvero notevole: una voce piena e vibrante che esce con decisione dal microfono e nonostante qualche lamento (“scusate se non ricordo alla perfezione tutti i testi ma questo è il secondo concerto in sette anni” o “è stata una lunga giornata iniziata alle quattro di mattina“) e qualche chicca delle sue (“datemi della tequila, ne ho fottutamente bisogno!“), lo show procede senza grossi intoppi. Peccato che i suoi compagni di palco – seppur preparati tecnicamente – siano risultati un po’ troppo statici ma in effetti tutta l’attenzione era rivolta verso lo showman seduto sulla sedia. E poi basta davvero poco per accendere il pubblico: i pezzi proposti sono talmente grandiosi che tutti si ritrovano a cantare le note di “Purgatory”, “Wrathchild”, “Prowler” e “Charlotte The Harlot”. Il tempo a disposizione non è moltissimo e Paul, tra un pezzo e l’altro, a volte si perde parlando del più e del meno e affrontando anche qualche discorso più intimo (“Se dovessi morire mi piacerebbe farlo qui sul palco, mentre canto davanti ai miei fan. Dai abbiamo ancora una decina di minuti per farlo!“). Lo show prosegue con la grintosa “Killers” a cui fanno seguito la mastodontica “Phantom Of The Opera” ed in chiusura “Running Free”. Che voce il buon Paul, anche dopo così tanti anni duranti i quali non ha fatto molto per preservarla. Un dono della natura del quale siamo stati anche stavolta testimoni.
DIAMOND HEAD
Certamente tra le band più desiderate, i Diamond Head non hanno certo deluso le aspettative. Dopotutto ci si attendeva la riproposizione dell’intero “Lightning To The Nations” quindi non poteva che essere così. Ed il gruppo inglese, dopo aver scaldato i motori con la ruvida e solida “The Messenger” ed i ritmi sostenuti di “Belly Of The Beast”, è partito in quarta suonando una dopo l’altra tutte le canzoni del loro disco leggendario. Lanciati da un’altra ottima prestazione al microfono di Rasmus Bom Andersen, i Diamond Head non hanno sbagliato un colpo, con un unico piccolo appunto: a parte l’enorme energia che mette sul palco ogni sera il cantante inglese, il resto della band si è dimostrata un po’ statica. Pazienza, bastano i riff indimenticabili della titletrack a far agitare tutti i presenti, spinti dal lavoro dello storico chitarrista Brian Tatler, che non si ferma un attimo e riparte deciso sulle note esplosive dell’esaltante “The Prince”. Il drumming di Karl Wilcox è preciso e possente e continua a scorrere per tutto lo show. Il trittico posto in chiusura a partire da “It’s Electric” e passando attraverso l’incedere epico di “Helpless”, capolavoro senza tempo con i suoi riff massicci fino alla conclusiva “Am I Evil?” è leggendario; tanto che si arriva alla fine e si vorrebbe tornare indietro col nastro per rivivere almeno gli ultimi quindici, venti minuti all’infinito. Che pezzi leggendari e che precisione che ancora possono vantare sul palco i Diamond Head.
SAXON
Gli headliner della serata e dell’intero weekend non solo si apprestano a salire sul palco con il loro statuario leader Biff Byford pronti a mettere a ferro e fuoco l’intero Posthalle, ma essendo anche questa una tappa del loro tour dedicato ai quarant’anni di carriera, ci si aspetta una scaletta davvero infuocata, dedicata ai dischi storici firmati dai Saxon. La leggendaria band proveniente da Barnsley, nel South Yorkshire, parte subito con le marce alte ed il rock and roll di “Motorcycle Man” prima di passare alle classicissime “Wheels Of Steel”, “Heavy Metal Thunder” e “Strong Arm Of The Law” cantate a squarciagola da tutti i presenti: già una partenza così potrebbe bastare per meritare il prezzo del biglietto. Biff si concede qualche siparietto col pubblico, interrogando i presenti su quali brani vorrebbero ascoltare e li accontenta prima con “Denim And Leather” e poco dopo con la melodica “Broken Heroes”. Nel frattempo piove sul palco qualche giubbotto in jeans rivestito di toppe – diffusissimi in Germania, molto più che qui in Italia – lanciato da qualche caloroso fan. Il frontman inglese sta al gioco e ne indossa qualcuno prima di riconsegnarlo al proprietario. Nel frattempo lo show non si ferma: il sound è perfetto, così come l’atmosfera carica e rilassata che si respira all’interno del locale, pieno in ogni angolo. “Ride Like The Wind”- cover di Christopher Cross – rialza il livello di esaltazione prima di lasciar spazio all’inno “And The Bands Played On”. Il gruppo suona con una familiarità enorme sul palco: dopotutto l’affiatamento e l’intesa costruiti negli anni dal quintetto britannico hanno raggiunto livelli altissimi. Paul Quinn e Doug Scarratt alle chitarre non sbagliano un colpo ed i loro compagni alla sezione ritmica, Nigel Glockler alla batteria e Nibbs Carter al basso, sono altrettanto precisi e rodati. “Crusader” è un midtempo capace di far muovere la folta chioma di moltissimi presenti, prima che sia “747 (Strangers In The Night)” a prendere le luci della ribalta con la sua andatura raffinata e in movimento attraverso chiari territori ottantiani. L’encore vede prima la riproposizione di un nuovo pezzo, “The Pilgrimage”, contenuto nell’ultimo disco firmato Saxon, per poi chiudere con l’immortale classico “Princess Of The Night”. I maestri hanno concluso alla grande una giornata lunga e stancante, ma altrettanto ricca di soddisfazioni grazie alle ottime esibizioni a cui abbiamo assistito, tra le quali spicca certamente quella di Byford e soci.
DOMENICA 2 OTTOBRE
IRON FATE
A mezzogiorno in punto gli Iron Fate sono pronti a dare il buongiorno a tutti i presenti, ancora un po’ assonnati dopo le due impegnative serate precedenti, pregne di metallo intenso. La giovane band è l’orgoglio nazionale all’interno del weekend e forte dell’ultimo disco in studio, lo splendido “Crimson Messiah”, i quattro tedeschi ci accompagnano per quarantacinque minuti possenti attraverso un metal classico e sofisticato con cambi di tempo ed atmosfere, un mix tra Maiden e Queensryche, con il cantante Denis Brosowski autentico protagonista e non solo durante questa performance – ma probabilmente dell’arco dell’intero weekend. La sua voce possiede una grande estensione ed un vibrato che arriva fino all’anima, ai quali si aggiunge una forte presenza sul palco. Enorme partenza con la favolosa titletrack dell’ultima release, capace di colpire con bordate di esplosivo heavy metal alla Steel Prophet, spinta dall’ugola tagliente di Denis e poi via con la più classica ed oscura “Malleus Maleficarum”, con un coro tutto da cantare. Le chitarre si muovono con dinamicità tra riff e assoli che escono dalle sei corde degli axemen Harms Wendler e Oliver Von Daa trovando il giusto equilibrio. La più melodica “We Rule The Night” fa cantare i presenti, man mano più numerosi, e applaudono soddisfatti la performance dei ragazzi di casa. Spettacolare l’epicità che circonda “Mirage”, splendido e raffinato pezzo condotto inizialmente da un arpeggio, con la voce che prende chiaramente ispirazione dal migliore Geoff Tate. La lunga e sofisticata “Strangers (In My Mind)” convince anche in sede live tra cambi di tempo ed atmosfere, a testimoniare le influenze che arrivano dalla band di Seattle già qui più volte menzionata, la chiusura è affidata a “Walk In The Shadow”, classico brano dei Queensryche ben interpretato dai Nostri, che escono tra un boato di applausi dopo una prestazione davvero ottima.
TENTATION
La cult band francese è pronta a salire sul palco e a presentare i brani del loro valido disco di debutto “Le Berceau Des Dieux”. Il cantato in francese è una delle caratteristiche principali di un gruppo che inserisce sonorità esoteriche all’interno di un sound di stampo decisamente classico. Dopo la prestazione scintillante della compagine tedesca Iron Fate, c’era qualche dubbio sul fatto che i cugini d’oltralpe potessero uscirne altrettanto a testa alta, e invece il gruppo di Torreilles si dimostra validissimo anche dal vivo. Certo, la voce di Patrice ‘Darquos’ Rôhée non possiede la tecnica del suo collega precedente sullo stesso palco, ma svolge al meglio il proprio lavoro adattandosi pienamente alle sonorità più avvolgenti della sua band. Riff decisi aprono la strada di “Le Couvent” , stacchi e ripartenze sono fulminei durante la scrosciante “La Chute Des Titans”, uno dei pezzi più coinvolgenti della setlist, che continua a testa bassa con la chitarra di Guillaume Dousse, in viaggio spedita durante “L’Epreuve Du Sang” – proveniente dal primo EP della band datato 2015 – e poi ancora tra le note infernali di “Conquérants” accompagnata da un basso furioso che corre come un dannato. Il finale è tutto per l’inno “Heavy Metal”, grintoso ed esplosivo, ideale per dare il colpo di grazia ai presenti. I Tentation confermano alla grande le ottime sensazioni arrivate dal loro debutto aprendo così la strada, si spera, ad una gloriosa carriera all’interno delle sonorità più classiche
TYTAN
I Tytan sono un’altra vera cult band che ha alle spalle un disco storico del 1985 “Rough Justice” e un comeback più recente del 2017, “Justice: Served!”. Con loro ritroviamo sul palco Kevin ‘Skids’ Riddles al basso e voce ed il cantante Tony Coldham, già visti due sere prima con i Kevin Riddles’ Baphomet. Tastiere a mo’ di hammond e chitarre più heavy sono gli ingredienti che creano un sound melodico e potente al punto giusto, con la partenza affidata a “Money For Love”, pezzo dal refrain facile e immediato che fa cantare i presenti. Più possente la successiva “Fight The Fight”, compatta e quadrata, anch’essa pescata dallo storico disco di debutto. Kevin detta i ritmi al basso e si concede qualche coro mentre viene proposta la più recente “Cold Bitch”, dal buon impatto live. L’epico incedere di “Blind Men & Fools” si alterna alle sonorità più melodiche e alle influenze AOR di “Women On The Frontline”; quando si arriva alla fine dello show, Riddles si emoziona e con gli occhi lucidi ripensa al passato che non gli ha regalato molto successo, e ringrazia l’affetto che in quel momento il pubblico sta riservando a lui e ai suoi compagni sul palco. E’ tempo di saluti con “Ballad Of Edward Case” ed i suoi ritmi scoppiettanti, spinti dalla batteria e da assoli che viaggiano rapidissimi. Una buona prova per i Tytan.
TORCH
Possenti e vigorosi, i Torch si scagliano subito sui presenti con un impatto possente ed i riff infuocati di “Knuckle Duster”, estratta dal più recente “Reignited”. La band svedese – rispetto ai tanti colleghi che si alternano al Keep It True Rising 2 – possiede un sound decisamente più heavy (se pur con un chiaro tocco rock and roll), meno studiato e più diretto. Lo show del quintetto nordico non regala grosse emozioni, ma viaggia deciso per il suo percorso con brani possenti come “Mercenary”, “Sweet Desire” e “Battle Axe” dal debutto omonimo del 1983, disco che ancora rimane nella memoria di molti metallari. L’ugola ruvida di Lasse Gudmundsson, da poco entrato in formazione, ben si amalgama nel sound della band che continua imperterrita a macinare riff e a correre spedita sulle note esaltanti di “Watcher Of The Night” e “Warlock”, pezzo quest’ultimo che ha il compito di chiudere lo show. Brani compatti e classici, piuttosto lineari e senza fronzoli; niente di indimenticabile, ma una performance possente come ci si attendeva dalla band svedese.
CLOVEN HOOF
E’ certamente atteso lo show dei Cloven Hoof, band fin troppo sottovalutata all’interno della scena inglese degli anni Ottanta. Per l’occasione il gruppo concentrerà la propria setlist sui dischi di inizio carriera, dall’omonimo debutto del 1984 al bellissimo “A Sultan’s Ransom” del 1989. La formazione britannica è cambiata profondamente da quegli anni ma il leader Lee Payne è rimasto fermamente al suo posto. Attorno a lui dei musicisti altamente preparati e capaci di tenere bene il palco. Un muro sonoro infrangibile creato dalle due chitarre che sfornano riff possenti con il giovane chitarrista Luke Hatton che si cimenta in assoli esplosivi. E così prendono il via “Gates Of Gehenna” e la frizzante ed epica “The Fugitive”. Epica e dinamica risplende “Cloven Hoof”, brano che mostra tutta la classe che già possedeva la band ai tempi del debutto con repentini cambi di atmosfere e ripartenze affilate. Preciso e costante il lavoro dietro le pelli di Mark Bristow che si lascia andare lungo le coinvolgenti atmosfere di “Highlander”, brano che incendia la platea assieme alla compatta e decisa “Astral Rider”, entrambe pescate dal solido “A Sultan’s Ransom” per poi chiudere con le marce altissime di “Reach For The Sky”, autentica ed energica hit di “Dominator”. Ottimo lo show firmato dai Cloven Hoof, vere leggende della NWOBHM!
TYRANT
La reunion dei Tyrant, quelli tedeschi, attivi dal 1981 fino al 1990 ma tornati in circolazione da un paio di anni, è un’occasione per vedere all’opera la band. Il loro è un heavy massiccio che può ricordare qualcosa di Accept e Manowar, con però un tocco più grezzo. La formazione si riunisce per regalare ai fan del Keep It True un altro evento degno di nota: nonostante la lunga assenza dalle scene, il gruppo è carico e coeso, e spinge forte con riff decisi che delineano fin da subito le rocciose “Free For All” ed “I’m Crazy”. Un sound che si erge sull’ugola ruvida del cantante, in grado di spingere forte aizzando la folla prima durante la possente “Ruling The World” e subito dopo con “Fight for Your Life”. C’è spazio per un paio di nuovi brani come “Wham Bam” e “Spacetrain” che andranno a finire nell’imminente disco. Nessun effetto a sorpresa ma ‘solamente’ una vagonata di riff che vengono riversati sugli ascoltatori, aumentando i ritmi in qualche occasione, come con le conclusive “Metal Rules” e “ Wanna Make Love”, per sigillare uno show più che onesto.
SATAN
Attimi di ritardo per i Satan, che arrivano in fretta e furia per colpa di alcuni problemi con il volo aereo. Tempo di un breve soundcheck e la cult band inglese è pronta ad iniziare l’attesissimo show. Rinata dopo lo splendido e sottovalutato debutto “Court In The Act” per poi tornare solamente nel 2013, ottenendo un successo insperato con quattro release di assoluto valore – compresa la recente ed ultima “Earth Infernal”, di solamente qualche mese fa – la band capitanata da Brian Ross (già salito sul palco del Keep It True Rising 2 la sera prima con i suoi Blitzkrieg) è carica a molla; il frontman britannico, insieme ai suoi fidi compagni di avventura, parte con i ritmi infernali di “Trial By Fire”, pescata direttamente dal loro debutto: un turbine sonoro spinto dalle chitarre sempre in movimento di Steve Ramsey e Russ Tippins, che si intrecciano creando un muro di note dinamico e sempre in continua evoluzione. Si continua a correre con i riff rocciosi di “Blades Of Steel”, sostenuta dal drumming roccioso di Sean Taylor, mentre linee vocali esoteriche ed oscure corrono sulle note vorticose di “The Doomsday Clock”, pezzo contenuto in “Cuel Magic” (2018) e capace di trasmettere una carica assassina. I ritmi rimangono elevati con ”Break Free”, altro pezzo ripescato dal disco d’esordio, con i suoi assoli di chitarra che sfrecciano ai mille all’ora e poi con “Burning Portrait”, piatto forte dell’ultimo disco in studio. La possente “Into The Mouth Of Eternity” continua su territori intrisi di tecnica ed oscurità, mentre le battute finali arrivano con lo speed metal della tiratissima “Testimony” e con la leggendaria “Alone In The Dock”, intricato esempio di grande classic metal ricco di personalità. Che performance meravigliosa questa dei Satan, autentici eroi della NWOBHM.
RIOT V
Non pensiamo di esagerare nel definire i Riot V uno dei migliori act dal vivo attualmente in circolazione. I loro show sono precisi e ricchi di intensità, capaci di conquistare grazie ad una formazione che, seppur ovviamente orfana da alcuni anni del loro leader storico (il compianto Mark Reale), ha ritrovato stabilita grazie al talento di musicisti altamente preparati, dove spicca su tutti lo straordinario cantante Todd Michael Hall. La serata prevede la riproposizione dell’intero loro disco più leggendario, “Thundersteel”, ed il gruppo newyorkese è partito subito in quarta con la favolosa titletrack. Carica a mille per tutti, durante brani che uniscono potenza di chiaro stampo heavy metal a stelle e strisce a tecnica e raffinatezza di rara qualità. “Fight Or Fall” è un inno da cantare senza sosta, così come la power song “Flight Of The Warrior”. Il pubblico salta e alza i decibel durante la riproposizione di pezzi che uniscono diverse generazioni: si notano infatti tra le prime file sia alcuni fan dei primi tempi, quelli più attempati che hanno vissuto le pubblicazioni storiche della band, che ragazzi sì più giovani ma altrettanto legati a queste canzoni. “Johnny’s Back” esalta tutti con le chitarre di Mike Flyntz, mentre Nick Lee si muove con tempi perfetti. “Bloodstreets” ha una partenza che riesce sempre ad emozionare per poi continuare con un’andatura irresistibile, la grintosa “Run For Your Life” scorre che è un piacere prima che sia “Buried Alive (Tell Tale Heart)” a far partire i titoli di coda del leggendario “Thundersteel”. Ma c’è ancora tempo per qualche sorpresa – non troppo visto che anche i Riot, a causa del ritardo dei Satan, dovranno accorciare la scaletta di una decina di minuti: la recente “Victory” esplode con calore dalle casse prima che Michael chiami sul palco Harry Conklin. Il cantante dei Jag Panzer ha un breve trascorso nei Riot V (nel lontano 1986) e siamo tutti testimoni di una serata speciale durante la quale i due cantanti duettano sulle note di “Magic Maker”. Che emozione! La classicissima “Swords And Tequila” e l’ormai inno “Warrior” chiudono uno show esemplare, a riprova della loro immensa classe.
VENOM INC.
La brutale potenza dei Venom si abbatte sulla folla quando scoccano le 23.30 e le ultime energie rimaste dei presenti vengono portate a mo’ di vittima sacrificale davanti al terzetto inglese. Il loro è un altro degli appuntamenti speciali riservati al festival: il gruppo infatti riproporrà l’intero show del 1984 in un set chiamato “Return To Hammersmith”, un’occasione più unica che rara per ogni fan della band inglese, che si affida a “Witching Hour” per aprire le danze con sonorità cupe ed oscure, correndo subito dopo sui ritmi rapidi della grandiosa “Black Metal” a coinvolgere tutti i presenti. Con luci scure, fumo e fiamme che si alzano dal palco, prendono vita “Leave Me In Hell” e “Countess Bathory”, esplodendo come autentiche mazzate di metallo grezzo e fumante, riuscendo nell’intento di far alzare al cielo le pinte di birra dei presenti che affollano ancora i vari bar per gli ultimi drink. Tony ‘Demolition Man’ Dolan non perde colpi, e continua il suo percorso all’interno delle sonorità crude che delineano pezzi come “The Seven Gates Of Hell”, “Don’t Burn The Witch” e “In Nomine Satanas”. La dedica a Steve Grimmett (Grim Reaper) non poteva mancare anche da parte loro, mentre inizia “Stand Up (And Be Counted)”, ruvida e oscura, seguita a ruota dalla rapidissima “Rip Ride” e dalla demoniaca “Heaven’s on Fire”. “Sons Of Satan” e “Bloodlust” chiudono lo show conquistando la platea, che canta le ultime note con le ultime e residue forze rimaste. Il trio capitanato da Mantas decide di salutare gli eroici ed instancabili presenti distruggendo con forza chitarra e basso, chiudendo così al meglio un festival davvero riuscito sotto ogni punto di vista, un viaggio attraverso le sonorità della NWOBHM che non dimenticheremo per lungo tempo.