Report di Federico Orano
Fotografie di Florian Hille
Foto Copertina di Oliver Barth
Mese di Ottobre, Germania, Wurzburg: la versione autunnale del Keep It True è diventato ormai un appuntamento fisso, denominato ‘Rising’, che arriva così alla sua terza edizione.
Nessun pre-party, stavolta, ma due giorni infuocati e ricchi di tante band ovviamente collocabili all’interno della scena classic metal, con qualche eccezione. Il solito Posthalle, comodo ed ampio locale situato a pochi passi dalla stazione dei treni della piccola ed accogliente cittadina tedesca nella bassa Franconia.
Il festival è ormai da tempo un incontro per tutti i metalhead europei, diventando così una vera e propria festa: da mezzogiorno del venerdì le casse vengono accese e le chitarre possono affondare i loro colpi di acciaio fino alle mezzanotte e oltre, per poi continuare fino a notte inoltrata con i dj-set (solo per i più audaci e giovani!). Insomma, dodici ore continuative di heavy metal infuocato con dieci gruppi al giorno pronti a scatenare l’inferno.
Come di consueto, all’esterno della venue vengono collocati gli stand delle cibarie, mentre all’interno, oltre alle due postazioni birra (come sempre venduta a prezzo abbordabile, dopotutto siamo in Franconia, la terra dei migliori birrifici in Germania – il viaggio in auto dall’Italia è consigliato anche per virare verso Bamberga e fare tappa in qualcuno di essi) e tanti negozi di vendita merchandising con le sempre presenti etichette No Remorse (dalla Grecia!), la nostrana Cruz Del Sur e molto altro.
Un’organizzazione precisa con dei suoni sempre molto buoni che hanno reso ancora una volta l’esperienza molto appagante. E quest’anno forse più che mai, la delegazione italiana tra il pubblico era decisamente imponente e ciò non può che farci piacere. Se amate l’heavy metal fate in modo di vivere almeno una volta l’esperienza di questo eroico festival musicale!
VENERDI’ 6 OTTOBRE
Ad aprire le danze di questa terza edizione del Keep It True Rising ci pensa una band certamente interessante anche se un poco acerba: gli AMETHYST, act svizzero che ha debuttato lo scorso anno con l’EP “Rock Knights”. Il gruppo probabilmente si rifà fin troppo all’heavy metal classico ottantiano, senza metterci molto di suo, ma ha dalla sua una dedizione che è palese anche sul palco. Inoltre i pezzi possiedono un buon tiro, soprattutto dal punto di vista strumentale, con riff sempre sostenuti che viaggiano decisi e compatti fin da subito con l’opener “Into The Black”, per proseguire subito dopo con “Stand Up And Fight”.
Rispetto a ciò che si è ascoltato su disco, dal vivo il sound è decisamente più potente e riesce a trasmettere una buona carica e non a caso il pubblico, nonostante l’orario – inizio fissato a mezzogiorno in punto! – è già sotto il palco numeroso e caloroso.
La coppia d’asce formata da Ramon e Yves non si ferma un attimo alternando riff e assoli, mentre il basso di Miguel è scoppiettante. A non convincere del tutto è la voce del cantante Fredric, che si muove su tonalità sempre costanti e risulta anche un po’ freddina, scaldandosi solamente un po’ con l’andare della setlist. “Nightranger”, con chiari echi di Maiden e Praying Mantis, e l’ottantiana “Chasing Shadows”, mettono in mostra il lato più melodico, più sulle vie dei recenti High Spirits, per poi finire con la più compatta “Stormchild”.
Uno show diretto e ricco di passione, la stessa che hanno mostrato i presenti verso gli Amethyst, band da tenere d’occhio. Il ghiaccio è stato rotto ma, ovviamente, il meglio deve ancora venire!
Non serve attendere molto per un deciso innalzamento della qualità: avevamo incontrato i ragazzi dei WITCHUNTER prima dello show e la loro tensione era risultata evidente, dovendo esibirsi in un appuntamento così importante davanti ad oltre duemila appassionati. Ma quando è arrivato il momento di salire sul palco, la band abruzzese non solo ha svolto alla grande il proprio compito, ma addirittura è stata per molti dei presenti uno dei migliori act visti sul palco durante tutta la durata del festival.
La carica che riesce a trasmettere la band italiana è davvero incontrollabile: questo grazie a brani come “Metal Dream”, title-track del nuovo album, capace di colpire con riff irrefrenabili, accompagnati dalla batteria furiosa di Luca Cetroni, e con il sound più classico e retrò di “Crystal Demons”.
Ad incendiare lo scenario ci pensa uno scatenato Steve Di Leo, cantante di razza, come si suol dire, e autentico animale da palco: l’esaltazione che riesce a trasmettere è elevatissima ed arricchisce il tutto con vari travestimenti, dando anche un ottimo impatto scenico – come durante l’heavy metal occulto ed indemoniato di “Lucifer’s Blade”, dove il frontman si traveste da Lucifero per poi lanciare urla diaboliche e sputare sangue.
La possente “Witchunter”, estratta dall’omonimo demo del 2008, lascia i solchi sul terreno con i riff incisivi di Federico e Silvio, mentre la chiusura è affidata ai ritmi più controllati ed alle melodie più catchy di “Hold Back The Flame”.
I Witchunter han dato anima e corpo per quarantacinque minuti incendiari, e noi non possiamo che essere orgogliosi di questa band arrivata a suonare AL festival – per quanto riguarda questo genere – per eccellenza.
I TRIUMPHER sono una della new entry più importanti nella scena heavy metal, avendo debuttato quest’anno con “Storming The Walls”, disco che ha sorpreso tutti in termini di potenza, teatralità ed epicità.
L’attesa di vedere il combo greco in sede live era elevata: qualche secondo di ritardo per gli ultimi ritocchi al soundcheck ed ecco salire sul palco i cinque valorosi musici ellenici. Una lunga intro per catapultarsi nell’atmosfera epica del disco, e lo show parte con prima “The Thunderer” e subito dopo con l’eccelsa “Storming The Walls”.
Nonostante però il sound che esce dalle casse sia imponente e pian piano il gruppo sembri prendere confidenza con la situazione, la sensazione è che la poca esperienza live si faccia sentire: qualche pausa tra un brano e l’altro, per una giovane band che deve dare tutto in quarantacinque minuti, non è il massimo, oltre a qualche piccola indecisione qua e là.
C’è però da dire che la tecnica ai musicisti non manca affatto, ed in particolare a colpire tutti è la prestazione favolosa di Mars Triumph, davvero eccelso con il suo cantato pieno e potente ma capace anche di salire su note altissime.
Il pubblico sembra inizialmente rispondere in maniera fredda, per scatenarsi solamente durante la cover di “Blood Of My Enemies” firmata Manowar, band alla quale i Triumpher si ispirano in maniera evidente. E a dire il vero questo calore improvviso mostrato dal pubblico sembra tutto d’un tratto trasmettere fiducia ai Nostri, che da lì in poi viaggeranno più sciolti con la diretta “Mediterranean Wrath” e sulle note oscure ed avvolgenti di “The Blazing Circle”, brano che conquista con un bel coro possente.
Alla fine, lo show dei Triumpher non è stato male, e la prestazione enorme del loro frontman ha mitigato le frizioni di qualche meccanismo ancora da oliare.
Suoni pieni e ritmi sostenuti sono le caratteristiche fondamentali nell’heavy metal – che sfiora talune volte sonorità thrash – degli storici DESTRUCTOR, cult band americana portata avanti dal cantante e chitarrista Dave Overkill, che guida i suoi con la propria solita estrema personalità.
Un cantato diretto e assoli infuocati che scorrono lungo i brani sempre compatti e ‘in your face’ con ritmi elevati, grazie alla batteria di Matt Flammable che spinge come un forsennato e la chitarra solista tagliente di Mark Hellhound.
Si pesca molto dallo storico disco pubblicato negli anni Ottanta, “Maximum Destruction”, ma qualcosa anche dalle pubblicazioni più recenti come “Tear Down The Heavens”, posta in apertura di show a testa bassa con riff massacranti. “Iron Clad” è un bel pezzo 100% heavy metal, contenuto nel nuovo disco “Blood, Bone, And Fire” che vedrà la luce a novembre (ma che era già disponibile nello shop durante il festival!), mentre dal passato vengono ripescate la portentosa e battagliera “Destructor” e i propri giri spediti di chitarre.
Dave tiene il palco alla grande (una passione, la sua, che coinvolge chiunque!) per poi dare spazio Tim Hammer e al suo basso, perno della possente “Iron Courtain”, chiudendo poco dopo con le atmosfere aggressive ed oscure di “Pounding Evil”. Uno show compatto e ricco di carica metallica secondo a pochi: i Destructor fanno ancora scuola a tante giovani leve!
Arriva il momento di una delle band più attese, e non solo per chi scrive, visto che il pubblico sembra caldissimo in attesa della salita sul palco degli storici Q5, rimasti nel cuore di molti grazie a due dischi leggendari pubblicati negli anni Ottanta ed in particolare all’indimenticabile “Steel The Light”, autentico capolavoro hard’n’heavy.
L’unico membro originale rimasto è il cantante Jonathan Scott K., questo è vero, ma il gruppo è comunque coeso e carico, pronto per regalare cinquanta minuti scarsi di ottima musica: i nuovi arrivati sanno il fatto loro, in particolare con la coppia alle chitarre formata da Duffy Delgado e Chris Eger; il cantante americano ha comunque ancora benzina per interpretare più che bene brano storici come “Let Go”, che apre con la grinta necessaria, e subito dopo con la possente “Pull The Trigger” cantando su note affilate. Che partenza!
L’attesissima “Missing In Action”, opener di quell’immortale disco menzionato poco fa, coinvolge tutti i presenti: dai veterani che hanno vissuto in prima persona gli anni d’oro della nostra musica fino ai più giovani che hanno scoperto col tempo questa band.
La raffinata “Lonely Lady” è la ciliegina sulla torta di uno show da pelle d’oca: sale infatti sul palco anche Amy Lee Carlson – cantante dei Sölicitör ed ospite dell’intero festival – a dar man forte a Jonathan durante il ritornello, che si lancia su note altissime. L’inaspettata ballata “Come And Gone” ha fatto emozionare qualche metallaro romanticone presente, ma quando il riff iniziale di “Steel The Light” prende il via, il boato è enorme. Tutti cantano sulle note irrefrenabili di un pezzo leggendario e i Q5 ci salutano con le marce altissime dopo uno show davvero perfetto per tutti i nostalgici e non solo!
Gli EVIL INVADERS hanno una reputazione da difendere ogni volta che salgono su un palco: il loro speed-thrash metal è infuocato e i loro show sono da sempre considerati tra i più cazzuti di tutta la scena metal odierna. E così è stato anche a Wurzburg!
Quaranta minuti senza pause, costruiti su ritmi forsennati che la band belga ha messo in atto fin dalla partenza con l’incandescente “Feed Me Violence” ed una sessione ritmica furiosa.
La setlist punta soprattutto sui brani più recenti, quelli contenuti nell’ultimo lavoro in studio, il terzo, intitolato “Shattering Reflection”, ma non manca qualche estratto dal passato, come appunto l’apertura e la rabbiosa “Mental Penitentiary”. Il cantato di Joe è tagliente e malato di rabbia, mentre si dà da fare anche alla chitarra, dando man forte al compagno Max durante i furibondi assoli sparati a mille da quest’ultimo.
Il lato più rilassato della band viene fuori con la controllata “In Deepest Black”, ma si torna presto a colpire con sciabolate di speed metal e le note dirompenti di “Sledgehammer Justice” e, dopo la coinvolgente “Die for Me”, hit del disco pubblicato lo scorso anno, si continua con l’accoppiata “As Life Slowly Fades” e “Raising Hell” estratta dall’EP del 2016 “In For The Kill”.
Insomma, il classico show indiavolato del quartetto belga che lascia tutti senza fiato e con tanto bisogno di abbeverarsi con una birra fresca.
La storia dell’epic/heavy metal passa dagli OMEN, band di Los Angeles che, insieme a Manowar, Virgin Steele ed ovviamente Cirith Ungol, ha gettato le basi per questo filone musicale.
I tanti problemi di line-up durante la carriera della band, in particolare per quanto riguarda la voce, sono da sempre un grosso e quasi insormontabile ostacolo per il gruppo capitanato dal chitarrista e leader Kenny Powell. Ma con il nuovo arrivato, il cantante cretese Nikos Migus A., gli Omen promettono di tornare a riproporre i loro classici nella maniera più idonea.
Lo show del gruppo californiano non è stato impeccabile, anche se il nuovo frontman si è dimostrato sicuramente valido: pur essendo i brani proposti – molti dei quali pescati dallo splendido debutto “Battle Cry” e dal secondo disco “Warning Of Danger” – enormemente coinvolgenti, il sound uscito dalle casse non è stato perfetto, e un paio di imprecisioni si sono notate osservando la prestazione della band.
Ma poco importa, visto che la possanza di composizioni come “Death Rider”, “Last Rites” e “Warning Of Danger” non lasciano scampo. E poi, l’epico incedere di “Teeth Of The Hydra” e della leggendaria “Ruby Eyes (Of The Serpent)” scorrono via con grinta e passione, fino ad un refrain tutto da cantare. Le chitarre di Kenny disegnano melodie vigorose ed intense, e si lasciano andare su un arpeggio che apre la via alla battagliera “In The Arena”.
Tutti col pugno alzato o la testa che si agita ad accompagnare le energiche note dell’accoppiata formata da “Termination” e “Red Horizon”, prima del gran finale dove si scagliano con irruenza “The Axeman” e le magiche note della guerrigliera “Battle Cry”. Anche se non impeccabile, è sempre un’enorme soddisfazione poter presenziare ad uno show degli storici Omen!
Nessuna sosta, la proposta sonora del Keep It True è fin troppo ghiotta e non c’è un attimo di pausa.
L’eredità dei Thin Lizzy è ancora presente nella scena musicale, ma è al contempo un’eredità pesante da portare avanti. Brian Downey, storico batterista della band, ci riesce alla grande: dopo aver fondato i suoi ALIVE AND DANGEROUS, è pronto a riproporre fedelmente i grandi classici della rock band irlandese quasi come più di quarant’anni fa.
Il fatto incredibile è che la musica dei Thin Lizzy mette d’accordo tutti, probabilmente anche il black metaller abituato ad ascoltare solamente musica estrema, e così è stato anche in questa occasione, forti di una prestazione davvero perfetta dove il meccanismo Alive And Dangerous ha girato alla perfezione.
Il leggendario batterista, come un maestro d’orchestra, guida i suoi attraverso brani indelebili, entrati di diritto nella storia della musica hard rock, canzoni che sono state di ispirazione per tantissime band: dopo la partenza con “Are You Ready”, si continua a rockeggiare con la storica “Jailbreak” e con “Suicide”, con la coppia di chitarre formata da Michal Kulbaka e Joe Merriman che si concede qualche divagazione strumentale, sempre nel rispetto della musica concepita dalla storica band irlandese.
Da “Bad Reputation” viene estratto il rock dalle tinte jazz di “Dancing In The Moonlight (It’s Caught Me in Its Spotlight)”, per poi viaggiare sulle atmosfere lente e malinconiche di stampo blues della favolosa “Still In Love With You”. La voce di Matt Wilso: e la sua capacità di stare sul palco con disinvoltura fanno davvero la differenza, tanto che l’espressione di tutti è quasi sorpresa nell’osservare un talento capace quasi di far dimenticare almeno per un attimo un artista immenso come il compianto Philip Lynott, cantante originario dei Thin Lizzy.
Intanto la setlist prosegue senza soste, e “The Boys Are Back In Town” è un pezzo immortale che ci catapulta negli anni Settanta in un batter d’occhio, contenuto in quel meraviglioso disco intitolato “Jailbreak” del 1976. Le chitarre esplodono forte con riff ben presenti sui quali Matt può viaggiare con la sua voce espressiva.
La massiccia e ruvida “Cold Sweat” pescata dal disco “Thunder And Lighting” scalda gli animi prima della gran chiusura, affidata al riff leggendario di “Whiskey In The Jar”, attesa e gustata da tutti i presenti.
Un viaggio davvero intenso nel passato glorioso dei Thin Lizzy, con quella che è senza dubbi la miglior band al mondo che possa riproporre questi brani: gli Alive And Dangerous!
Il ritorno dei thrasher americani FLOTSAM AND JETSAM è già di per sé una grande occasione, ma il fatto che durante questo show riproporranno una setlist speciale incentrata sui loro due capolavori, “Doomsday For The Deceiver” e “No Place For Disgrace ”, è ancora più eccitante ed imperdibile.
Cinquanta minuti infuocati che partono a testa bassa con la tortuosa “Hammerhead” e gli assoli inarrestabili che escono dalla chitarra dello storico Michael Gilbert.
La band è carica a molla, ed il riff massacrante di “Dreams Of Death” fa agitare le teste dei presenti con ritmi thrash che prendono il sopravvento e continuano con la vigorosa “Desecrator”.
L’ugola di Eric A.K. è infuocata e si lancia in acuti taglienti, colpendo con l’heavy-thrash martellante di “No Place For Disgrace”, mentre l’elegante “Doomsday For The Deceiver” mostra tutta la classe di questa band con arpeggi e melodie vocali che esplodono poi in passaggi aggressivi, mostrando forti legami con la scena classica americana di un tempo e di band come Metal Church, Savatage e Fifth Angel.
A chiudere uno show ricco di adrenalina ci pensa l’aggressiva “Der Führer” e mentre i titoli di coda partono, gli applausi che arrivano dalla platea sono scroscianti. Più carichi che mai, i Flotsam hanno dimostrato di essere ancora una band di alto livello.
La stanchezza si fa sentire ma non si può certo mollare quando la regina dell’heavy metal è pronta a salire sul palco!
C’era attesa per rivedere dal vivo la storica cantante tedesca Doro Pesch, che per l’occasione riproporrà una setlist dedicata ai suoi Warlock suonando nella sua interezza (o quasi) il loro disco più famoso, “Triumph And Agony”.
Insomma, l’idea di DORO PESCH WARLOCK come headliner era perfetta per chiudere la prima serata del festival ma, come sospettavamo, un’ora e quarantacinque minuti di durata per il suo show è davvero troppo tempo per le possibilità attuali di Doro; certo, la cantante si è data da fare dimostrando di essere ancora in gran forma e la sua prestazione vocale è stata praticamente perfetta, ma per poter portare a casa l’intera performance le pause sono state davvero eccessive.
Lunghi assoli di batteria e di chitarra non sono il massimo per tenere alta l’adrenalina di un pubblico che, arrivato a quell’ora e dopo dodici ore intense di musica, cominciava ad essere in riserva di energie.
Peccato, perchè siamo sicuri che limitando a circa settanta minuti la durata dello show, il risultato sarebbe stato ottimo proprio perchè, lo ripetiamo, la bionda e storica musicista tedesca ha ancora molto da dire.
“I Rule The Ruins” apre lo show coinvolgendo tutti e le grandi hit firmate Warlock si susseguono una dopo l’altra, partendo dalla grintosa “Earthshaker Rock” e passando per l’inno “East Meets West”, tutto da cantare.
Doro è attiva e si muove sul palco trasmettendo carica, la stessa che esce decisa sulle note corpose della sempre apprezzata “Burning The Witches” e con la massiccia e robusta “Hellbound”. I musicisti che ala accompagnano sul palco svolgono bene il loro compito, anche se la loro è una presenza alla quale manca un po’ di personalità.
Poco importa, con “Für Immer” non si scherza e la storica ballata dei Warlock emoziona tutti i presenti, che la cantano accompagnando la voce di Doro. Si torna a pestare sull’acceleratore con l’infuocata “Metal Racer” e trova spazio anche “Breaking The Law” storico pezzo firmato Judas Priest – ma, ci chiediamo, era necessaria una cover?.
Con “All We Are” c’è poco da fare se non cantare il coro catchy e diretto, ripetuto all’infinito.
In effetti ci stiamo avvicinando ai titoli di coda e “Metal Tango” è l’ultimo brano scelto prima dei saluti, che arrivano sulle note registrate e sparate dalle casse di “Living After Midnight” – ancora dei Priest! – mentre la band si prende i meritati applausi.
Uno show positivo nel complesso, ma si poteva fare meglio in termini di resa. Tanti e scrosciati applausi, in ogni caso, per la grande Doro Pesch!
SABATO 7 OTTOBRE
Se il buongiorno si vede dal mattino, la giornata si prospetta indimenticabile già dal primo gruppo!
Come dovrebbe suonare una giovane band che vuole mettersi in mostra e dar subito un impatto deciso davanti a tanti appassionati? Come hanno fatto i giovani TAILGUNNER, che hanno seguito il manuale alla virgola con uno show intenso senza alcuna pausa: pezzi tiratissimi e quarantacinque minuti esplosivi, capaci di sprigionare un’energia ad alto voltaggio.
In apertura, la vorticosa “Guns For Hire” fa subito capire di che pasta sia fatta la band inglese dedita ad un mix tra heavy classico e power metal stile primi Helloween. Dal vivo ci è sembrato che il giro del motore fosse ancora più alto, riproponendo alcuni pezzi contenuti nello splendido debutto uscito quest’anno – e intitolato appunto “Guns For Hire” – con una velocità ancora maggiore.
Le chitarre gemelle di Zach Salvini e della giovanissima Rhea Thompson corrono come un fiume in piena sulle note galoppanti di “White Death” e “Warhead”, aiutati da un drumming esplosivo da parte di Sammy Starwood. Qualche siparietto, con le chitarre ed il basso a muoversi in sincronia, denota come la band sia già scafata e sappia come gestire il palco in maniera impeccabile come se avesse vent’anni di concerti alle spalle. Ma non è così: il gruppo inglese è giovanissimo e con tanta voglia di riportare in alto la scena britannica.
E lo ha dimostrato alla grande con uno show spettacolare ed un finale tritaossa grazie alle tiratissime “Futures Lost” e “New Horizons” e con la cover di “Exciter” firmata Judas Priest. Spettacolo assicurato.
Avevamo qualche dubbio sulla prestazione che i WIZZARD avrebbero messo in piedi, vista l’assenza dalle scene da tantissimi anni.
Il gruppo svedese, dedito ad un hard rock con qualche influenza metal ma con melodie piuttosto zuccherose – in stile scandinavo – non è mai riuscita a pubblicare un full-length fino a qualche tempo fa, visto che grazie all’etichetta greca No Remorse il gruppo ha raccolto alcuni pezzi registrati qua e là nella propria carriera, dando vita ad un vero e proprio disco.
Lo presentano qui al Keep It True e lo fanno in maniera sorprendente: non avranno l’esplosività di alcune band invitate alla kermesse ed il loro impatto è certamente più melodico rispetto alla media, ma il pubblico ha apprezzato non poco l’impatto di “Killer On The Loose”, aperta da un riff di tastiera che subito ci porta alla mente band come Europe, Treat e Bon Jovi e poi con l’altrettanto melodica “In My Dreams”.
Il sound manca forse di un pizzico di potenza, ma i musicisti sul palco mostrano una buona convinzione e riescono a trasmettere carica, in particolare con il lavoro del cantante Matti Norlin che si impegna anche alla chitarra, dando man forte al collega Hans-Erik ‘Hansa’ Jansson sulla più rocciosa “Let The Demon Fly”.
Ma è con le canzoni cult “Stormchild” – con un raffinato e tecnico assolo di chitarra – e soprattutto “Ninya Warrior”, quest’ultima titletrack dell’unico singolo pubblicato nel lontanissimo 1986, che il pubblico si scalda cantando a gran voce il ritornello altamente catchy.
Uno show che verrà ricordato per aver segnato il ritorno nelle scene della cult band Wizzard, gruppo che speriamo potrà rimettersi in pista per dar vita a nuova musica nei prossimi tempi.
PHANTOM SPELL è il progetto di Kyle McNeill, cantante, chitarrista e leader dei Seven Sisters, dedito a sonorità maggiormente progressive con influenze settantiane ma con una base hard and heavy comunque presente.
“Immortal’s Requiem”, disco di debutto pubblicato lo scorso anno, possiede degli spunti davvero notevoli, con brani articolati e ricchi di intense melodie strumentali e vocali, e questo primo concerto ha rispecchiato alla grande il mood intenso che si assapora su di esso. La raffinata “Dawn Of Mind” colpisce con coretti da cantare e passaggi strumentali che riportano alla scena settantiana, così come la successiva “Seven Sided Mirror” ed il suo splendido assolo di tastiere, da ascoltare sognando ad occhi chiusi.
I ritmi più classicheggianti arrivano su “Up The Tower”, con chitarre scoppiettanti che ci riportano alla scena NWOBHM in un batter d’occhio.
Il cantato di Kyle si accende regalando melodie di facile presa fino ad un bel ritornello, per poi gettarsi sulle note ariose di “Keep On Running”, a dimostrazione che questi pezzi più ricercati possiedono un ottimo tiro anche dal vivo.
Nota di merito anche per la strumentale “Black Spire Curse”, capace di mostrare tutte le influenze progressive di questa formazione. Musicisti preparati e brani raffinati; nonostante la proposta fosse un po’ fuori dai binari di molte band coinvolte, il tutto è riuscito al meglio confezionando uno show davvero interessante che si chiude tra gli applausi.
Tocca agli AMBUSH, loro sì a proprio agio al Keep It True con un sound che non ammette pietà, fuso nell’ heavy metal più classico e rovente.
La loro performance è tra le più infuocate dell’intero weekend: con una partenza subito micidiale, la superhit “Firestorm” esalta il folto pubblico, accorso per vedere all’opera questi ragazzi svedesi e la loro passione irrefrenabile.
I brani ricchi di energia si susseguono uno dopo l’altro: dai tre lavori fin qui pubblicati dalla band scandinava vengono estratti i momenti migliori come l’ottantiana “Possessed By Evil” con il suo coro coinvolgente e la diretta “Desecrator”. Le prime file si esaltano sulle note travolgenti di “Ambush”, spinta dai riff di chitarra di Olof Engkvist e Karl Dotzek che non fanno mai mancare il loro apporto e si gettano a testa bassa sui ritmi vorticosi di “Iron Helm Of War”, dove Oskar Jacobsson al microfono si alza su taglienti acuti prima di essere supportato dai cori, con cui confeziona il favoloso refrain.
L’immancabile “Natural Born Killers” mantiene altissimo il livello di adrenalina, per poi chiudere con i ritmi infernali di “Don’t Shoot (Let ‘em Burn)”. Una delle performance più intense, viste non solo a questo festival ma in generale negli ultimi mesi.
Il tempo vola con gli Ambush, autentici ambasciatori dell’heavy metal suonato come si deve. Immensi!
Se esiste una cult band all’interno della scena heavy metal, beh, i METALUCIFER sono quella band! I giapponesi hanno una storia che avrebbe bisogno di pagine e pagine per essere raccontata, ma siamo grati all’organizzazione del Keep it True Rising, la quale è riuscita a portare anche stavolta una band nipponica al proprio festival: poter vedere dal vivo il gruppo di Kuwana è certamente un regalo per tutti i presenti.
Il loro è un heavy metal grezzo e diretto, senza fronzoli, tiratissimo e spinto dall’ugola ruvida di Gezolucifer, cantante e leader del gruppo. Buttando un occhio ai titoli dei loro pezzi (o alle copertine dei loro dischi) è facile sorridere per quel misto di ingenuità e cattivo gusto (tutto heavy metal) che traspare; il gruppo giapponese si dimostra abbastanza energico ed in forma, e cerca come può di coinvolgere i presenti; suonare dopo la carica distruttiva degli Ambush non è facile per nessuno ma i Metalucifer ne escono bene con la loro proposta.
“Heavy Metal Drill”, “Heavy Metal Bulldozer”, “Heavy Metal Tank”, “Heavy Metal Ninja”, “Heavy Metal Samurai” (e via così) si susseguono una dopo l’altra: inventiva poca, sia nella musica che nei testi, ma la dedizione non manca.
La band giapponese crede in quello che fa e alcuni fan sembrano seguirli con tenacia. Uno spettacolo raro, certamente non indimenticabile dal punto di vista tecnico ma sicuramente un’occasione che siamo contenti di non aver perso!
Gli instancabili ENFORCER sono costantemente impegnati tra pubblicazioni di dischi e – soprattutto – date live in giro per il mondo. Prima di imbarcarsi nel tour che li vedrà accompagnare gli storici Destruction (passati anche nelle nostre zone), eccoli pronti a mettere a ferro e fuoco il palco del Posthalle con il loro solito show ricco di adrenalina.
La band svedese propone un heavy metal old-school con influenze speed ma anche con un buon impatto melodico.
Colpisce subito l’accoppiata formata dalla diretta “Destroyer” e dalla più classicheggiante “Undying Evil”, quest’ultima pronta a lasciare il segno tra assoli taglienti ed un ritornello tutto da cantare, accompagnando l’ugola affilata di Olof Wikstrand.
L’epica e melodica “From Beyond” coinvolge tutti con un refrain catchy che ha sempre una buona presa anche in sede live, prima di rimettersi su binari possenti tipici dell’heavy metal classico con la rapidissima “Coming Alive”, spinta dalla chitarra rovente di Jonathan Nordwall e con l’infuocata “Mesmerized By Fire”.
La parentesi più rilassata con il midtempo “Zenith Of The Black Sun” concede qualche attimo di respiro, prima di rituffarsi sulle note tortuose di “Take Me Out Of This Nightmare” e con la superhit che risponde al nome di “Running In Menace”.
Il ‘solito’ show impeccabile per gli Enforcer, come sempre capaci di mettere sul campo tutte le proprie forze e colpire con brani dal forte impatto.
Nessun attimo di respiro, solamente i soliti quindici minuti di cambio palco – tempo necessario per rinfrescari o per una birretta veloce.
Eh si, perchè mica ci si può perdere i WATCHTOWER: il sound di questa cult band è per pochi, c’è chi li ama all’estremo e chi non li ha mai capiti.
C’è poco da fare, il progressive-heavy metal ipertecnico della band americana non è affatto facile da digerire, ma il gruppo statunitense è stato un precursore capace di segnare la via di un certo tipo di metal con due dischi, considerati autentiche gemme, come “Energetic Disassembly” e “Control And Resistance” – e non a caso la setlist della serata è incentrata sui brani contenuti in questi lavori pubblicati negli anni Ottanta.
Riff dinamici che scorrono accompagnando l’ugola tagliente di Jason McMaster, storico cantante tornato di recente in formazione. Non possiamo dire che lo show del gruppo texano sia stato tra i più coinvolgenti del festival (molti dei presenti hanno osservato in maniera un po’ fredda l’esecuzione perfetta dei brani), ma certamente i Nostri han dato sfoggio della loro forte preparazione tecnica e di una personalità non da tutti.
“Asylum” parte a razzo, mostrando sonorità mai costanti ma con un’andatura sempre in evoluzione. Jason lancia acuti potenti prima che le possenti chitarre aprano la via di “Instruments Of Random Murder” e della laboriosa e solerte “Argonne Forest”, dove Rick Colaluca alla batteria mette in mostra tutta la propria versatilità e sapienza, ben supportato dal compagno di ritmiche, il bassista Doug Keyser.
L’accoppiata “Energetic Disassembly” – “Control And Resistance” è per palati fini e colpisce come acciaio duttile e modellabile, spingendo su ritmi vorticosi grazie al lavoro mastodontico alla chitarra da parte di Ron Jarzombek.
Le note selvagge e incontrollabili di “Meltdown” sono la chiusura perfetta per uno show che tanti ricorderanno per molto tempo. Precisi ed altamente preparati: in una parola, Watchtower.
Ambush, Witchunter, Flotsam & Jetsam ed altri; ne abbiamo viste di performance esaltanti durante questi due giorni, ma forse la corona di miglior prestazione del festival va agli inossidabili METAL CHURCH.
La storica band californiana è pronta ad incendiare il palco del Posthalle con una setlist favolosa che va a pescare dagli storici primi tre dischi della band, ben supportata dal nuovo cantante Marc Lopes (ex Ross The Boss e di tante altre band). La sua è una prestazione più che soddisfacente; ci aveva convinto in studio cantando alla grande nel nuovo e convincente “Congregation Of Annihilation”, ma anche dal vivo si dimostra un animale da palco e esce a testa alta anche nei pezzi storici cantati, originariamente dal compianto David Wayne.
“Ton Of Bricks” apre in maniera grintosa lo show per poi tuffarsi sull’irresistibile andatura di “Start The Fire”. Il chitarrista Kurdt Vanderhoof è l’unico superstite della formazione storica che negli anni Ottanta ha dato vita ai capolavori “Metal Church”, “The Dark” e “Blessing in Disguise”, ma ha tirato su una band davvero unita e cazzuta.
I ritmi indiavolati di “Battalions” colpiscono con decisione spinti dal drumming esplosivo di Stet Howland, ma è con la meravigliosa “Gods Of Wrath” che si arriva ad uno dei momenti topici del concerto: il pubblico canta e si agita sulle linee vocali taglienti, interpretate alla grande da Lopes. L’arpeggio inziale è da brividi e la potenza che esplode successivamente dalle casse è ancora un forte ricordo mentre scriviamo questo report.
Dalla pubblicazione più recente viene estratta solamente la diretta “Pick A God And Prey”, il resto sono solamente brani dal passato. “Watch The Children Pray” con le sue atmosfere oscure irrompe sulle scene spinta da chitarre possenti, prima che i ritmi più aggressivi di “Hitman” esplodano con decisione.
Il finale non delude affatto e colpisce nel profondo con “Beyond The Black” e “Metal Church”, accoppiata che poteva valere da sola la partecipazione da spettatore a questo festival.
Manca solamente l’ultimo headliner prima di salutarci (e darci appuntamento al Keep It True ufficiale che si svolgerà ad Aprile ed al Rising numero quattro, già annunciato con la conferma di alcune band: tocca a DIRKSCHNEIDER, incarnazione di Udo nella quale si vanno a ripescare gli storici brani firmati Accept.
Un po’ come accaduto la sera prima con Doro, anche il colonnello mette in piedi uno show interessante, ma che non lascia del tutto soddisfatti: anche stavolta la sensazione è che -ahinoi – la storica voce dell’heavy metal teutonico cominci a sentire il peso degli anni che passano inesorabili.
Sempre statico e fermo in mezzo al palco a cantare – piuttosto bene, a dire il vero – le vecchie hit firmate dalla sua storica band, il nostro Udo è circondato da musicisti capaci ed esperti; il suo compagno di avventure Peter Baltes al basso attira tanti sguardi, ma è la coppia d’asce a svolgere gran parte del lavoro con l’ottimo contributo appunto di Fabian Dee Dammers e Andrej Smirnovma.
Il concerto va avanti col pilota automatico grazie a brani immortali che ovviamente tutti cantano, ma ci sono anche qui alcune pause per far trascorrere l’ora e mezza abbondante di scaletta, che si apre con la ruvida “Starlight” e continua senza farsi mancare alcune chicche come “Living For Tonite” e l’irresistibile “Midnight Mover”. “Breaker” è un’altra gemma, title-track di un disco spesso troppo poco considerato nella discografia del gruppo teutonico. “Princess Of The Dawn” e “Restless And Wild” sono appuntamenti immancabili, con la prima allungata parecchio per far cantare i presenti.
Rispetto a Doro della sera prima, il buon Udo è certamente meno energico nei movimenti, ma d’altronde i settant’anni si fanno sentire! La sua voce riesce comunque ancora a ruggire come solo lui sa fare e lo dimostra con la ruvida “Midnight Highway”.
I grandi classici sono tenuti in serbo per il gran finale dove partono i fuochi d’artificio: “I’m A Rebel” è adrenalina purissima in grado di esaltare ogni spettatore, seguita a rotta di collo dalla storica “Metal Heart”, martellante nel suo incedere, dalla scatenata “Fast As A Shark” e dall’inno possente “Balls To The Wall”.
Uno show al quale sono mancati un pizzico di vigore e freschezza, ma Udo esce comunque a testa alta omaggiando il proprio passato artistico, il quale ha fatto la storia della musica che ascoltiamo tutt’oggi. Tutti in piedi per il colonnello!