Il vero underground death metal europeo quest’anno si è dato appuntamento in quel di Copenaghen, per la seconda edizione dei Kill-Town Death Fest, evento allestito da una giovane associazione culturale locale che, in questa sede, ha come fine la promozione di death metal band underground e senza propositi commerciali. Insomma, non il classico festival di metal estremo, in cui nomi meno conosciuti ma pur sempre con un certo supporto alle spalle aprono per colossi del genere: al Kill-Town va in scena esclusivamente il vero underground, quello delle piccole etichette e distro, quello del tape-trading e delle pubblicazioni su split e 7 pollici, quello dei gruppi che suonano live col contagocce, perchè impossibilitati o, in certi casi, per nulla interessati a trasformare la loro arte in un lavoro a tempo pieno. Location del festival, un grosso centro sociale nella periferia della capitale danese: luogo perfetto a ospitare un evento del genere, così radicato, nello spirito, a vecchie etiche punk-hardcore e DIY. La scelta si è davvero rivelata eccellente, sia perchè l’Ungdosmhuset può vantare un palco e una sala concerti di ottima caratura, sia perchè, trovandosi appunto in un centro sociale, c’è stata l’opportunità di acquistare cibi (rigorosamente vegani!) e bevande a prezzi modici, cosa assolutamente da tenere conto in una nazione costosa come la Danimarca. Giudicando dal numero di persone che hanno gremito il centro – nonchè il Loppen, locale più centrale dove la sera di giovedì 1 settembre si è tenuto uno show di riscaldamento – si può dire che la manifestazione sia stata un successo. Chi scrive, certo non un novellino in tema di festival, non può che spendere parole di elogio per il Kill-Town: al di là del programma musicale, che ha offerto diverse chicche, va sottolineata la bontà dell’atmosfera che si è respirata nel weekend. Ritrovarsi con persone provenienti da tutto il mondo e condividere una passione radicata negli anni, che va ben oltre gli ascolti superficiali e le pubblicazioni usa e getta tipiche del mercato mainstream di questi tempi, è stato veramente motivo di benessere.
Per darvi un’idea di cosa sia effettivamente il Kill-Town Death Fest, abbiamo deciso di tradurre quasi integralmente il manifesto del festival, consultabile nella sua versione originale (in inglese) su questa pagina. Di seguito, troverete poi un commento ai concerti che siamo riusciti a seguire in questi due giorni.
Background
Kill-Town Death Fest è un D.I.Y. (do it yourself, ovvero “fai da te”, ndR) death metal festival danese che cerca di promuovere death metal band underground. L’edizione 2011 del Kill-Town Death Fest ha avuto luogo il 2-3 settembre presso l’Ungdosmhuset di Dortheavej, quartiere nella zona nordovest di Copenhagen. Il festival ha proposto band scandinave e internazionali. Come cornice, da segnalare la presenza di bar che vendevano birra organica confezionata da birrifici locali indipendenti, di stand culinari, di un’area merchandise e l’allestimento di mini-eventi come la proiezione di film horror. Abbiamo un occhio di riguardo per la scena underground death metal scandinava, ma abbiamo invitato anche alcune realtà da altre parti d’Europa e del mondo!
Il festival è una celebrazione dell’attuale scena death metal underground, delle sue band e delle persone che sono coinvolte in essa. Il nostro obiettivo è quello di creare un festival che abbia come fulcro la musica e le band, non il denaro o il prestigio. Vogliamo mettere le band nelle condizioni di raggiungere un pubblico più ampio oltre i loro confini nazionali. Facendo ciò, speriamo di creare una piattaforma di incontro e scambio fra scene death metal underground non-commerciali.
Il festival è basato su etiche D.I.Y. e ciò significa che l’evento è non-commerciale al 100%, con l’intento di essere un’alternativa ai tipici festival e al concetto di music business aziendale. Tutto il lavoro svolto nel processo di organizzazione del festival e durante lo svolgimento di quest’ultimo avviene su base volontaria, quindi nè gli organizzatori nè le band che partecipano stanno ricavando un profitto. Per questo stesso motivo non esistono headliner: tutti i gruppi ricevono lo stesso trattamento. Tutto il denaro ricavato viene utilizzato per coprire le spese del festival, come, ad esempio, attrezzatura, trasporti, cibo e pernottamento per le band. In caso di guadagno, quest’ultimo verrà investito per l’allestimento di una nuova edizione l’anno successivo. La struttura dell’organizzazione del festival è basata sul concetto di democrazia diretta, che significa che ogni volontario può dire la sua nel plasmare il festival.
Il nostro obiettivo primario è quello di mettere al centro del progetto la musica non-commerciale e la cultura, nonchè di regalare al pubblico un’esperienza diversa da quella del solito festival. Speriamo di riuscire a dare all’evento una cadenza annuale e di avere sempre più partecipanti.
Dimensione Internazionale
Dopo un periodo di silenzio, negli ultimi anni le cose sono nettamente migliorate per la scena death metal scandinava underground. Molte nuove formazioni sono emerse e l’esigenza di suonare dal vivo e di ottenere dell’esposizione è cresciuta. Kill-Town Death Fest è un tentativo di risposta a questa esigenza, che si configura nella creazione di una piattaforma funzionale per dare modo a death metal band scandinave e internazionali che non hanno i mezzi per promuoversi su larga scala di raggiungere un pubblico più ampio in maniera non-commerciale. Il festival ha base a Copenhagen, ma ha una visione internazionale, in quanto cerca di presentare band provenienti anche da Norvegia, Svezia e Finlandia. Stiamo cercando di creare un ritrovo per ogni tipo di network underground: il nostro desiderio è di promuovere una cooperazione internazionale fra gruppi, promoter, case discografiche e zine, al fine di mettere in atto uno scambio di idee, esperienze, ispirazioni e conoscenze. Vogliamo ampliare tali network includendo nuove persone, band e iniziative, rafforzando la cultura underground e non-commerciale.
Il programma è attentamente selezionato: tutte le band vengono scelte con cura e invitate specificamente per l’evento. I costi dei trasporti rappresentano la parte più grossa del budget, in quanto è costoso invitare band che non sono in tour e farle ritornare a casa. Tuttavia, è vitale per il festival avere una lineup di sole death metal band underground.
L’Associazione Undergrundsmusikkens Fremme
Kill-Town Death Fest è un’iniziativa a cura dell’Associazione “Undergrundsmusikkens Fremme”.
“Undergrundsmusikkens Fremme” è un’associazione avviata da dei ragazzi di Copenhagen, tutti con background nella musica, che ha come scopo la creazione di una piattaforma volta a esporre e promuovere la cultura musicale underground. L’obiettivo primario dell’associazione è quello di organizzare attività culturali non-commerciali come concerti, festival e altri eventi che abbiano come fulcro la musica underground. L’associazione è culturale-politica e, tramite i suoi eventi, cerca di informare e di mostrare modi alternativi per creare e promuovere cultura. L’associazione è gestita da un gruppo di giovani appassionati di musica che hanno in comune la stessa visione della creazione di musica non-commerciale. Tutto si basa su volontariato, quindi nessuno viene pagato per il proprio lavoro nelle attività dell’associazione. Quest’ultima è inoltre strutturata attorno al principio di democrazia, senza nessuna vera leadership. L’associazione è aperta a tutti: coloro che si presentano alle riunioni settimanali possono dire la loro nei processi decisionali. Siamo un gruppo di persone di diversa età e con diversi background ed esperienze. Abbiamo avviato assieme questo progetto perchè tutti condividiamo una passione per culture alternative e per imparare dalle esperienze di ognuno di noi. Siamo uniti nel processo di sviluppo di questo festival e lavoriamo insieme per affrontare con successo tutti gli impegni necessari per dar vita all’evento.
Cultura D.I.Y.
L’Associazione “Undergrundsmusikkens Fremme” trae la sua ispirazione ideologica dalla cultura DIY. DIY significa “Do It Yourself” e sta per creare una propria cultura senza interferenze o sponsorizzazioni da corporazioni commerciali. DIY è un esteso network internazionale di musicisti, band, promoter, produttori e studi nel quale vengono scambiati favori anzichè denaro. DIY è idealismo culturale, mettersi contro l’industria musicale e cercare di mantenere un network alternativo e autonomo in supporto a musica underground non-commerciale. All’interno del network, nessuno riceve denaro per i servizi prestati: i rapporti sono basati su fiducia e correttezza piuttosto che su denaro e disuguaglianza. Ciò significa che facciamo cultura perchè siamo appassionati ad essa, non perchè siamo in cerca di un guadagno. Nessuno è più importante di un altro. In pratica, DIY significa che le band, come “pagamento” per il loro show, ricevono dei suoni adeguati, un posto per dormire, cibo, bevande e i soldi necessari per coprire le spese di trasporto.
Un festival diverso
L’idea di questo festival è di creare un evento che possa rappresentare un trampolino per le death metal band underground che non rientrano nelle programmazioni dei locali a fini commerciali e per cercare di colmare le lacune che esistono oggi in Scandinavia nella promozione di queste realtà. Il festival si propone di offrire agli ospiti e ai gruppi un tipo di esperienza diverso, cercando di creare uno spazio al cui interno ognuno possa sentirsi il benvenuto, indipendentemente da sesso, etnia, sessualità, età e background economico/culturale. Insomma, il festival si muove in due direzioni: da una parte si prova a creare un canale per death metal band underground, dall’altra si dimostra che musica e cultura possono rappresentare qualcosa di più di denaro e “successo”. Vogliamo che l’atmosfera sia tollerante ed aperta e che ci sia spazio per le diversità. Un posto in cui si possa interagire senza sentirsi a disagio.
UNDERGANG
Il cosiddetto warm-up party del KTDF viene inaugurato – e dominato – dagli idoli di casa Undergang. I nostri hanno un grosso seguito in città, ma si esibiscono per primi in modo da “liberare” subito il cantante/chitarrista David Torturdöd, direttamente coinvolto nell’organizzazione del festival. In circa quaranta minuti il trio demolisce il palco del Loppen con una prestazione solidissima, che senza dubbio annoveriamo tra le migliori dell’evento. La presenza scenica è ridotta ai minimi termini, forse per timidezza o forse perchè i nostri sono abituati a suonare in club angusti, con poca possibilità di movimento, tuttavia è la musica a parlare e il death metal ultra groovy e ribassato della band in un attimo fa letteralmente strage tra i presenti. Presto si nota come il gruppo tenda a legare assieme vari brani, proponendo praticamente mazzate di 8/10 minuti che, se da un lato lasciano i fan stremati, dall’altro strappano un sorriso per la ferocia con cui vengono eseguite. Soprattutto Torturdöd si fa segnalare come un growler disumano, ma anche il batterista Anders Dödshjælp fa una bella figura. Forse anche perchè galvanizzati da dei suoni molto pieni, che esaltano ulteriormente il pubblico, gli Undergang sostanzialmente non si fermano un secondo e procedono dritti come un treno in corsa, annientando ogni resistenza con i migliori pezzi del loro repertorio (aspettiamo fiduciosi il successore del grandioso “Indhentet Af Døden”!). Per i loro compagni di bill questa sera – Bone, Antichrist e Burial Invocation, questi ultimi purtroppo costretti a esibirsi senza un paio di membri a causa di un problema call’immigrazione – purtroppo ci sarà poco da fare.
GOREPHILIA
Il festival si apre ufficialmente nel tardo pomeriggio di venerdì con la performance dei giovani Gorephilia, da poco reduci dalla pubblicazione del loro EP d’esordio su Dark Descent Records. A livello di tenuta del palco, si vede che il quintetto finlandese è ancora alle prime armi, ma grazie a un po’ di headbanging ignorante e alla simpatia del frontman, riesce ugualmente ad attirare l’attenzione dei presenti, già ora abbastanza numerosi. Purtroppo non viene eseguita “Tower Of Bones”, a parer di chi scrive la traccia migliore dell’EP, ciò nonostante il set dei ragazzi procede rapido, riscuotendo consensi sempre più ampi con il passare dei minuti. Soprattutto all’altezza dei midtempo, in cui emerge in maniera più che evidente lo spettro dei Morbid Angel d’annata, i nostri scatenano un discreto movimento fra le prime file, segno che, per il momento, questo tipo di soluzioni sono quelle che riescono loro meglio. Nel complesso, insomma, un buon avvio di festival, all’insegna di una band che sembra avere le potenzialità per migliorare ancora e divenire una piccola certezza.
DISKORD
Dopo la bella botta targata Gorephilia, il palco passa ai norvegesi Diskord, forse il gruppo più raffinato del KTDF 2011! Il trio infatti è alfiere di un death-thrash molto arzigogolato e tecnico, che, almeno nella dimensione live, ricorda realtà come Demilich, Gorguts e Voivod. Nel giro di un brano, la scena viene conquistata dal batterista/cantante Hans Jørgen Ersvik, davvero abile nell’occuparsi della maggior parte delle linee vocali e, al tempo stesso, a sorreggere le trame con pattern incisivi e per nulla prevedibili. Il bassista Eyvind Wærsted Axelsen tuttavia lo segue a ruota, lasciandosi andare a numerose parti soliste e, in certi casi, prendendo anche le redini del pezzo a livello di melodie. Il pubblico, davanti a una proposta tanto eccentrica (per gli standard abituali del festival) sulle prime appare un po’ interdetto, ma alcuni fan esagitati in prossimità del palco riescono in breve tempo a trasmettere un po’ di entusiasmo, cosicchè i Diskord finiscono ben presto per suonare davanti a una platea adeguatamente calorosa. Certo, da una formazione di questo genere non ci si deve aspettare brani da pogo selvaggio, ma, per quanto ci riguarda, il trio si è esibito in maniera più che convincente, donando un pizzico di varietà alla giornata. Li seguiremo.
VANHELGD
Per molti, i Vanhelgd sono la vera sorpresa della serata. Il gruppo svedese ha già rilasciato due album, quindi non è esattamente alle prime armi; tuttavia, pur essendo sicuramente apprezzabile, il suo materiale non dava più di tanto l’idea di essere una potenziale bomba in sede live. Invece, forse anche per la foga con cui i nostri stasera si esprimono, la resa live dei pezzi di “Cult Of Lazarus” e “Church Of Death” risulta immediatamente invidiabile. Il frontman ricorda un certo Jon Nödtveidt nel modo di tenere il palco, ma la musica naturalmente è più grezza e old school rispetto a quella dei Dissection. Proprio come su CD, emergono con forza influenze Grotesque e Nihilist, che vengono ammantate da un alone di blasfemia vagamente black. In poco più di mezzora, il quartetto sfodera tutte le sue canzoni migliori, tra le quali spicca l’arrembante “The Final Storm”, carica di melodie evocative e crescendo ritmici assai ben studiati. La folla apprezza e non si nasconde, avvicinandosi sempre di più al palco in un abbraccio che si conclude con un grande applauso a show terminato.
NECROVATION
Si resta in Svezia con i Necrovation, una delle più brillanti old school band recentemente uscite da quella nazione. Il loro full-length “Breed Deadness Blood” è un vero gioiellino di metallo della morte venato di thrash e questa sera sono ovviamente i pezzi in esso inclusi a fare da padroni nella setlist del quartetto di Kristianstad. Per la voce – più urlata che growling – e per l’andamento ritmico sciolto e thrasheggiante, la band ricorda i migliori Merciless, anche se, proprio come avviene nei colleghi Vanhelgd, l’atmosfera e certe melodie possono persino arrivare a lambire ambienti black metal. Dal punto di vista attitudinale, i Necrovation tuttavia si impongono come una formazione prettamente death-thrash, con un istinto live assassino e una maniera di tenere il palco senza fronzoli. Il concerto, peraltro molto atteso dalla maggior parte degli astanti, viene gradito parecchio (basta notare l’headbanging forsennato che vige tra le prime file) e comprova come i nostri siano pronti per un salto di qualità a livello di notorietà e, magari, contratto discografico.
GRAVE MIASMA
Arriva quindi il turno dei Grave Miasma, realtà britannica che sta facendo molto parlare di sè ultimamente, tanto da essere addirittura stata invitata all’ultimo Roadburn Festival dai “curatori” Sunn O))). Il quartetto è artefice di un death-black metal occulto che suona come un ibrido tra primi Morbid Angel, Incantation e primissimi Rotting Christ: una miscela non troppo lontana da quella perpetuata di recente dai greci Dead Congregation, anche se qui le atmosfere risultano ulteriormente malsane e oscure. Il gruppo ha un seguito invidiabile e stasera si pone praticamente a headliner della serata, nonostante non sia l’ultimo act ad esibirsi. Candelabri e teschi ai lati del palco preannunciano uno show importante anche sotto il profilo visuale e, infatti, quello a cui assistiamo è una performance piuttosto “costruita”, con i membri della band che sembrano aver studiato attentamente i loro movimenti on stage e un carisma generale tipico di una realtà affermata. A dire il vero, forse anche per un po’ di stanchezza, alla lunga troviamo lo show un pochino ridondante, se non altro perchè la proposta musicale è per ovvi motivi meno dinamica di quella dei Necrovation e di altre formazioni della serata. Ciò nonostante, è difficile criticare quanto offerto complessivamente dai Grave Miasma, che offrono uno spettacolo oggettivamente curato e non lesinano affatto energie nell’esecuzione dei loro brani. Forse un festival non è l’ambiente a loro più congeniale, ma restano assolutamente un gruppo che nel suo genere sta facendo qualcosa di notevole.
NECROVOROUS
A chiudere la prima vera giornata del festival ci pensano i Necrovorous, quartetto greco che sembra essere il fratello minore dei Dead Congregation. Anche il loro sound è infatti catalogabile come un death metal macabro e opprimente, che punta forte su corposi rallentamenti. Il recente “Funeral For The Sane” ha messo in mostra le buone doti compositive dei nostri, che anche in concerto dimostrano di saperci fare, pur avendo un frontman molto statico come A. DevilPig, il quale letteralmente non fa un passo che lo porti lontano dall’asta del suo microfono. Comunque, ciò che fuoriesce dagli amplificatori denota una fedeltà nell’esecuzione decisamente ottimale, che, abbinata a dei suoni tra i migliori della giornata, mette il gruppo nelle condizioni di far praticamente rivivere il suo ultimo album in sede live. A questo punto della serata molti astanti sono stanchi – del resto sono quasi le 2 di notte! – ciò nonostante i seguaci di questi greci vanno letteralmente in visibilio, tributando alla band grandi ovazioni. Frontman e musicisti, a dire il vero, non si lasciano trasparire chissà quali emozioni, ma, in questo caso, va anche tenuto il conto del fatto che i Necrovorous sono una di quelle realtà che gioca a mantenere un’immagine pseudo-occulta e malvagia. Siamo convinti che siano rimasti ben soddisfatti dell’accoglienza ricevuta al Kill-Town!
DEGIAL
Il primo gruppo che riusciamo a vedere all’opera nel giorno di sabato è quello dei Degial, quartetto svedese nato di recente e rapidamente inseritosi in quella scena sviluppatasi negli ultimi anni fra Stoccolma e Uppsala e che è capitanata da Watain e Repugnant. I nostri suonano infatti un death metal che spesso e volentieri viene letteralmente stuprato da forti dosi di black e thrash e che poggia le basi su atmosfere malsane e un’attitudine satanica. Non a caso, i quattro giovani svedesi calcano il palco truccati di tutto punto e interpretano i propri brani – più una cover di “Maze Of Torment” dei Morbid Angel – con una furia più vicina al black metal che al death. Nonostante i Degial abbiano ancora da dimostrare qualcosina – d’altronde hanno pubblicato soltanto un demo e un EP sino a oggi – il concerto di oggi fa salire decisamente le loro quotazioni fra gli amanti della scena svedese. La band offre un set compatto e coinvolgente, tiene il palco con esperienza e si affida a un frontman che, pur occupandosi anche della chitarra ritmica, certamente sa come attirare l’attenzione. In definitiva, il pollice è tutto fuorchè verso per la loro prova.
AVULSED
Gli spagnoli Avulsed, soprattutto a livello attitudinale, c’entrano poco con chi li ha preceduti: più che ad apparire perfidi e misteriosi, i ragazzi guidati da Dave Rotten pensano a “fare bordello”, con un sound che in larghi tratti è più vicino a coordinate americane che europee. I nostri comunque godono di una certa popolarità anche qui – e non potrebbe essere altrimenti, visti i loro 20 anni di carriera alle spalle! – e in quaranta minuti si rendono protagonisti di una performance-manata in faccia che diverte dall’inizio alla fine. A livello di setlist, gli Avulsed hanno solo l’imbarazzo della scelta, quindi viene presa la decisione di estrapolare un pezzo da quasi ogni periodo della carriera: si passa così dalla vecchia “Powdered Flesh” a “Sick Sick Sex”, sino alla più recente “Breaking Hymens”. Dave Rotten si conferma come al solito frontman scafato e anche molto simpatico, tra i pochi al Kill-Town a intrattenere effettivamente il pubblico con veri e propri discorsi e introduzioni ai brani. Dei suoni pieni e tutto sommato ben definiti aiutano ulteriormente la band di Madrid a lasciare il segno sulla serata: in tre quarti d’ora di show si registrano ben poche soste e tante, tante sberle! Sicuramente uno dei concerti più energici di questa edizione del festival.
WINTERWOLF
I Winterwolf succedono sul palco del Kill-Town al loro label manager Dave Rotten, che con la sua Xtreem Music ha pubblicato “Cycle Of The Werewolf”, quello che per ora è l’unico full-length dei nostri. Il quintetto finnico offre una prestazione muscolosa proprio come ci si aspettava, investendo gli astanti con un old school death metal che prende le mosse sia dalla vecchia scena svedese, che dai cari vecchi Bolt Thrower. Non a caso, verso la fine del set trova posto anche una cover della mitica “Cenotaph”, oltre a – sorpresona! – una di “Embalmed Beauty Sleep”, pezzo del repertorio dei sottovalutatissimi Demilich, band in cui militavano i chitarristi Corpse e Antti Boman. Proprio quest’ultimo suscita, paradossalmente, l’ovazione più importante del concerto, in quanto in pochi si aspettavano che il gruppo si concedesse un tale sguardo al passato. Da sottolineare, comunque, la buona prova complessiva offerta dai Winterwolf, che, nonostante non siano certo una realtà che suona dal vivo con notevole frequenza, si sono imposti all’attenzione della folla con indubbia efficacia. Forse solo il frontman Rotten è apparso un po’ distaccato, ma probabilmente ciò è da imputarsi alla tipica freddezza finlandese.
SONNE ADAM
I Sonne Adam sono virtualmente gli headliner della manifestazione. Chiamati ad esibirsi per la prima volta fuori da Israele, il gruppo riempie quasi del tutto la sala concerti, cosa mai successa sino a questo momento. C’è molta attesa, soprattutto perchè i nostri non sono appunto una realtà che suona spesso live. Del resto, i membri effettivi della band sono solo due, mentre il resto della lineup è composta da session: i due leader Shakhor e Nemiroff si occupano rispettivamente di basso/voce e chitarra, mentre Mayer dei Dukatalon si occupa della seconda chitarra e tale Steel della batteria. Il compito di aprire lo show spetta a quella che è già diventata il manifesto della formazione: “We Who Worship The Black”. I suoni sono sin dall’inizio molto buoni e i nostri, nonostante tutto, ostentano una certa sicurezza sul palco, cercando di coinvolgere il più possibile gli astanti. Il materiale, almeno a livello tecnico, non richiede grossi sforzi per essere riproposto, quindi è proprio l’impatto che la band ha sul pubblico a colpire per la maggiore. Onestamente, ce li aspettavamo un po’ più timidi! Da “Transformation” vengono estratti quasi tutti i pezzi cardine (molto riuscita “Take Me Back To Where I Belong”), tuttavia trovano spazio anche episodi del primo EP “Armed With Hammers”, che, potendo contare su qualche accelerazione in più rispetto al materiale recente, donano al set un pelo di varietà in chiave ritmica e invogliano all’headbanging. Precisi anche nel gestire il tempo a loro disposizione, i quattro si congedano salutando e ringraziando fan e organizzazione dopo esattamente 45 minuti di concerto, lasciando quella che non esitiamo a definire un’ottima impressione fra i presenti.
FUNEBRARUM
Per fortuna che sono i Funebrarum a succedere ai Sonne Adam sul palco del Kill-Town. Serve una buona esperienza per non sfigurare e per mantenere alta la tensione. Ma non c’è da preoccuparsi: il gruppo statunitense, anch’esso alla sua prima esibizione in terra europea, lo sa bene… e non potrebbe essere altrimenti, visto che ha assistito allo show degli israeliani assieme al pubblico! Ci vuole poco affinchè il palco sia pronto per il quintetto del New Jersey e, quando le luci si spengono e i nostri attaccano con “Perish Beneath” ci viene la pelle d’oca: i suoni sono perfetti e l’impatto è devastante! A quanto pare sono tanti coloro accorsi al festival per i Funebrarum: le prime file sono esaltatissime e per la prima volta assistiamo a un vero pogo e ad alcuni stage dive. La band appare quasi commossa da tale accoglienza e suona come se non ci fosse un domani: il frontman Daryl Kahan ha quasi un’attitudine hardcore e non sta fermo un secondo, mentre gli strumentisti si svitano il collo a furia di headbanging. Tra l’altro, alla chitarra ritmica troviamo Alex Bouks dei Goreaphobia e degli Incantation, il quale da qualche mese si è unito al gruppo per le date live. Ovviamente anche lui non si risparmia affatto, unendosi ai suoi compagni in quella che, a livello di tiro e coinvolgimento, è senza dubbio la performance più intensa del Kill-Town 2011. “Beyond Recognition” e “Grave Reaper” sono le tracce che infiammano maggiormente la folla ed è un vero peccato che i nostri decidano di congedarsi proprio dopo quest’ultima. Ci sarebbe tempo per almeno un altro pezzo, ma la band fa capire di aver proposto tutto quello che era stato provato per l’occasione, resistendo a numerose insistenti richieste di un bis. Alla fine è comunque un bel “accontentarsi”: non capita tutti i giorni di assistere a show di tale veemenza. Ora si spera soltanto di aver presto una nuova opportunità per ammirare i Funebrarum sul palco.
CRUCIAMENTUM
A chiudere l’edizione 2011 del Kill-Town ci pensano i britannici Cruciamentum, praticamente cugini dei Grave Miasma, dato che le due band hanno lo stesso batterista e chitarrista ritmico. Rispetto a quello dei loro compatrioti, lo show dei Cruciamentum è però molto più fisico e violento: i nostri sfoderano un death metal senza compromessi che, pur non rinunciando a un pizzico di atmosfera, punta parecchio su riff quadrati e badilate ritmiche che ricordano i migliori Incantation. Anche la presenza scenica è piuttosto notevole: la scena è dominata dal cantante/chitarrista D.L., ma anche gli altri due membri “di movimento” danno prova di essere a proprio agio sul palco, non perdendo mai occasione di aizzare un pubblico che, effettivamente, appare ancora molto ricettivo e per nulla sazio dopo una intera due giorni all’insegna di queste sonorità. Insomma, l’atmosfera è ideale e il gruppo appare in forma. Tuttavia, si arriva al momento dei saluti dopo appena mezzora scarsa: i Cruciamentum, d’altronde, anche se in procinto di pubblicare un nuovo 7″, hanno per ora all’attivo solo un singolo e un EP, quindi ci vuol poco affinchè le cartucce si esauriscano. Per ringraziare i fan, il quartetto decide però di tornare on stage a sorpresa e di proporre per la seconda volta il suo cavallo di battaglia “Convocation Of Crawling Chaos”, scelta che viene assai apprezzata da sia dai fan che dall’organizzazione. Nonostante ostentino degli sguardi truci, anche questi death metaller hanno un cuore.