Report a cura di Luca Pessina
Foto di Åsa Hagström / Avantgarde-Metal.com
Per chi scrive l’estate si apre e si chiude all’insegna del death metal. A fine maggio ci si reca al Maryland Deathfest in quel di Baltimore, USA, mentre a fine agosto è il turno del Kill-Town Death Fest di Copenhagen, happening già leggendario nonostante sia stato organizzato per la prima volta appena un paio di anni fa. Già nel 2011 avevamo avuto modo di tessere le lodi di questo piccolo grande evento e oggi non possiamo proprio fare altro che ripeterci, visto che l’edizione 2012 del KTDF è riuscita nell’arduo compito di dimostrarsi ancora più convincente di quella dello scorso anno, sia a livello di logistica che di risposta da parte dei fan. Qui non ci dilungheremo troppo su ciò che differenzia l’happening danese dagli altri festival death metal – per quello vi invitiamo a leggere il report dell’anno scorso (qui) e l’intervista all’organizzazione che abbiamo pubblicato qualche tempo fa sulle nostre pagine (qui). In questa sede ci limiteremo a raccontarvi i concerti che siamo riusciti a seguire nella loro interezza e a raccomandare ancora una volta l’evento a tutti coloro che seguono e vivono il death metal nelle sue connotazioni più sporche e underground. Del resto, chi organizza il KTDF è il primo fan di questo genere di musica, sa quali sono le band da tenere d’occhio e da invitare e sa che cosa gli altri fan si aspettano da un happening di questo tipo. Di conseguenza, l’evento appare a tutti gli effetti confezionato su misura per ogni death metaller che si rispetti. Il fatto che poi gli organizzatori si mescolino costantemente al pubblico, aprendosi al dialogo e invitando gli avventori a dire la loro e a partecipare attivamente all’organizzazione, rende l’atmosfera ancora più speciale. Insomma, finchè il KTDF verrà allestito, difficilmente ci ritroveremo a trascorrere l’ultimo weekend di agosto (o il primo di settembre) lontano dalla capitale danese: questo evento va supportato e promosso nella maniera più assoluta.
CRYPTBORN
Dopo esserci gustati parte dello show dei Mold, nuova realtà danese in cui milita David degli Undergang, autrice di un death metal paludoso che rimanda proprio alle cose più lineari di questi ultimi, nella serata di giovedì, ovvero il cosiddetto “warm-up” party del KTDF, abbiamo modo di assistere al concerto dei finlandesi Cryptborn sin dall’inizio. Il piccolo Loppen fa da cornice ideale alla prova dei Nostri, che riversano sul già esaltatissimo pubblico il loro old school death metal legato alle matrici svedesi e finlandesi del genere. La presenza scenica non è eccelsa, ma il gruppo suona con adeguata ferocia e convinzione, scatenando file dopo file di headbangers, che seguono la prova a diretto contatto con il palco. La setlist è, come prevedibile, incentrata in toto sui due EP sinora pubblicati, ma in chiusura riesce a ritagliarsi un suo spazio anche una apprezzata cover di “You’ll Never See” dei Grave, che, una volta tanto, viene riconosciuta all’istante da gran parte dei presenti. D’altra parte, siamo al Kill-Town, dove tutto ciò che è old school viene adorato e imparato a memoria!
MORBUS CHRON
La serata sale di intensità e partecipazione con l’arrivo della “new sensation” Morbus Chron. I giovanissimi svedesi stanno rapidamente scalando posizioni su posizioni nelle playlist degli amanti del death metal vecchio stampo e lo show di stasera ne è la riprova: nonostante dei suoni solo discreti, buona parte del pubblico impazzisce sulle note dei brani estratti da “Sleepers In The Rift” e dal nuovo EP “A Saunter Through The Shroud”; ancora una volta, niente pogo, ma l’headbanging è generale e il responso assolutamente su di giri. I Nostri – e in particolare il frontman – provano a mantenere un approccio vagamente distaccato, per dare un taglio più “evil” alla performance, ma tutto sommato si riesce a scorgere la grande soddisfazione dei ragazzi nel vedere che la loro proposta è apprezzata. Certamente il gruppo ha ancora qualcosa da dimostrare – e in questo senso il prossimo album sarà decisamente importante nella loro affermazione – ma è anche con concerti come questo che i Morbus Chron riusciranno a scrollarsi di dosso la potenziale nomea di “meteore”. Questa sera, a parte i suddetti suoni e una presenza scenica migliorabile, vi è poco da criticare loro. Bel concerto.
CORPSESSED
Il primo highlight della prima vera giornata del festival è rappresentato dai Corpsessed, che arrivano all’Ungdomshuset con la grazia di un carro armato. A dir poco devastante la loro performance, forse anche perchè quasi nessuno si aspettava un tale impatto da un gruppo che sinora si è sempre mosso nelle retrovie. Il quintetto finlandese si presenta sul palco con dei suoni decisamente massicci e investe il pubblico con un mix di Grave e Demigod che in sede live acquista dieci marce in più. Il frontman Niko Matilainen appare invasato, con occhi spiritati e sangue che gli cola da un taglio sulla testa, ma anche i suoi compagni, pur presentandosi in maniera più sobria, non scherzano. Si rivela azzeccatissimo l’utilizzo di tre voci: il growling di Matilainen, quello del chitarrista Matti Mäkelä e lo screaming più acido del bassista Mikko Pöllä, le quali si sovrappongono nei momenti più concitati, quasi a voler sottolineare ulteriormente la potenza dei turbini di chitarre su cui sono basati tutti i pezzi. “Crypt Infester” assurge ad apice dello show, ma, nel complesso, tutta la mezzora abbondante con protagonisti i Corpsessed regala ampie soddisfazioni. Non a caso, proprio con loro, chi scrive è tornato a fare headbanging dopo anni di astinenza!
INTERMENT
Il pubblico aumenta, così come i litri di birra ingurgitati. Una cornice ideale per quei vecchiacci degli Interment, che arrivano on stage decisamente allegri e pronti a far esplodere definitivamente la festa. Niente da appuntare sulle loro intenzioni, anche perchè tutti sappiamo cosa i Nostri sono in grado di fare, a maggior ragione in un festival come il KTDF, studiato su misura per band come la loro. L’inizio è affidato a “Morbid Death”, classicissima nel titolo come nelle sonorità, e il responso è naturalmente dei migliori: gli headbangers si scatenano e il death metal svedese torna prepotentemente in auge. Siamo nel 2012, ma potrebbe essere tranquillamente il 1992… poco o niente cambia. L’atmosfera è tanto elettrizzante quanto spensierata, con da un lato il gruppo che suona con estrema foga e che al tempo stesso dà la netta impressione di divertirsi un mondo e dall’altro i fan che invocano un mini classico dopo l’altro e che vengono puntualmente accontentati, quasi come se la setlist fosse stata lasciata al caso. Un gran concerto, quello degli Interment, chiuso in bellezza da una potente “Where Death Will Increase”.
MASTER
A un evento come il KTDF i Master sono in pratica l’equivalente dei Black Sabbath o dei Judas Priest in un festival generalista/mainstream: loro sono tra i padri di questa musica e se oggi siamo qui è grazie in primis a tutto ciò che sono riusciti a plasmare ben oltre vent’anni fa. Con le più che dovute proporzioni, Paul Speckmann è il nostro Tony Iommi. Sappiamo perfettamente cosa aspettarci da uno show del terzetto e ovviamente non veniamo delusi: i Master suonano da band consumata quale sono, alternano tracce recenti con classici vecchi o vecchissimi, fanno il minimo indispensabile per coinvolgere la folla, perchè già sanno che questa li seguirà qualsiasi cosa facciano. Si procede con il pilota automatico, ma in questo caso ciò è tutto fuorchè un male. Ai Master non si chiede altro che il loro classico show fatto di death metal primordiale, accenni motorheadiani, sudore, barbe e bestemmie. Speckmann annuncia i pezzi, ma tra una “Judgement Of Will” e una “Funeral Bitch” c’è poco da dilungarsi: il pubblico sa a memoria anche le sue introduzioni. Insomma, è come vedere “Profondo Rosso”: conosciamo ogni scena per filo e per segno, ma ogni tanto è un piacere dargli comunque un ripasso. Grandi Master, re dell’ignoranza.
NECROCURSE
Terminato lo spettacolo degli headliner Master, la serata prosegue con lo show dei Necrocurse, altra badilata made in Sweden in grado di arrazzare gli amanti del death metal più rozzo e minimale, spesse volte venato di thrash. Al microfono del gruppo troviamo Hellbutcher dei Nifelheim, uno dei più brutti frontman in circolazione; di certo la sua immagine ben si adatta alla proposta della band: a quanto pare, tutto deve essere rozzo per questi omaccioni, dal sound all’aspetto. Per mezzora ci ritroviamo catapultati in un inferno sonoro dove Entombed, Sodom, primi Sepultura e Merciless si danno battaglia a colpi di riff ignorantissimi e ritmiche tanto telluriche quanto lineari. Uno show puramente per headbanger, dove quello che si sente è effettivamente tutto ciò che la band ha da offrire: finezze e stratificazioni, dettagli nascosti o sfumature non esistono. Prendere o lasciare. E tutti prendono! A dispetto di un programma fittissimo, che, assieme alla birra e ad una certa erbetta, sta sfiancando molti dei presenti, il responso che i Necrocurse ottengono è assai caloroso. Il gruppo sapeva di avere a disposizione del materiale perfetto per la dimensione live e questa sera è andato dritto sull’obiettivo, raccogliendo il massimo con uno sforzo minimo. Ora da questi fabbri ci aspettiamo un primo full-length!
UNDEAD CREEP
Il venerdì del KTDF si chiude con la performance dei “nostri” Undead Creep, tra i migliori portabandiera del suono old school dello stivale. L’ora è tarda e non c’è tantissima gente nella sala concerti, ma i presenti sono sicuramente “presi bene” e sostengono il gruppo sin dalle prime note del set. Il frontman Sandro Di Gerolamo è giustamente al centro della scena, ma viene adeguatamente spalleggiato anche dal resto dei membri di movimento, che fanno muro davanti al pubblico. Bella la scaletta, con diverse tracce estratte dal debut album “The Ever-Burning Torch”, un paio di chicche dal demo e, infine, due pezzi dal nuovo EP “Enchantments From The Haunted Hills”, uscito da poco su Blood Harvest. Anche i suoni premiano gli Undead Creep, mettendo in primo piano il classico guitar-sound di marca Entombed/Dismember senza per questo compromettere la resa del drumming di David Lucido, sempre solidissimo dietro le pelli. In una mezzora abbondante i ragazzi nostrani si fanno ben volere dal pubblico, suonando con coesione e senza sbavature tutti gli episodi migliori del loro repertorio. Certo, per apprezzarli in pieno serve proprio essere dei fanatici del vecchio suono swedish, ma, d’altra parte, siamo al Kill-Town e il problema non si pone minimamente: qui certe sonorità sono e saranno sempre di casa.
EXECRATION
Il primo gruppo che riusciamo a seguire nel pomeriggio di sabato è quello degli Execration, realtà norvegese piuttosto sperimentale, che in alcune circostanze ricorda i connazionali Diskord, che si sono esibiti qui lo scorso anno. Nonostante un’impronta old school in certi stop’n’go, il sound dei Nostri denota una più assidua ricerca dell’atmosfera rispetto a quello in dote alla band media presente al KTDF nonchè un guitar-work maggiormente arzigogolato, che si apre qua e là a dissonanze, per poi chiudersi in improvvisi rallentamenti doom. Fanno la loro comparsa anche degli arpeggi e spesso e volentieri emergono delle velleità tecniche che, di nuovo, non sono esattamente la prerogativa del resto del bill dell’evento. Facendo la figura della cosiddetta mosca bianca, gli Execration riescono a ritagliarsi un loro momento all’interno della giornata, differenziandosi di parecchio da coloro che li hanno preceduti e da chi li seguirà con una proposta indubbiamente personale e ben suonata. La folla dimostra di apprezzare e personalmente ciò ci fa piacere: formazioni come gli Execration, che non fanno leva sui soliti clichè e che provano a concepire uno stile originale pur partendo da basi vecchia scuola vanno premiate, soprattutto di questi tempi dove in tanti riciclano senza impegnarsi minimamente.
MAVETH
Si torna a suoni viscerali con l’arrivo dei Maveth di Christ Butcher, già frontman dei Cryptborn e vecchia conoscenza dell’underground death metal statunitense con i Dethroned. Ora trasferitosi in Finlandia, il Nostro ha dato vita ai Maveth, i quali sono rapidamente diventati la sua priorità in seguito all’interesse riscosso dai primi EP pubblicati. Il gruppo ha il proprio debut album sulla rampa di lancio e oggi si presenta al KTDF decisamente in palla. Dei candelabri posti ai lati del palco provano a creare la giusta atmosfera luciferina, mentre in mezzo il quartetto scatena l’inferno col suo death metal dai contorni blackeggianti. Il growling di Christ Butcher è implacabile e l’impatto delle chitarre è di quelli che non perdonano, ma ovviamente è la qualità del materiale a fare la differenza: senza brani validi non si va da nessuna parte e i Maveth, per loro e nostra fortuna, di questi ultimi ne hanno un bel po’, a partire dalla quasi orecchiabile “Of Serpent And Shadow”, ovvero la canzone più acclamata dai presenti quest’oggi. Molto intenso lo spettacolo del gruppo, che è arrivato al festival con la nomea di “next big thing” del circuito e ha decisamente mantenuto le promesse, interrompendo l’atmosfera di festa presente dal principio con un set malvagio e senza compromessi. Una parentesi “seriosa” che ha messo tutti d’accordo.
VOIDS OF VOMIT
Fa piacere vedere un altro valido gruppo italiano al KTDF. I Voids Of Vomit arrivano a Copenhagen sull’onda dei buoni responsi ottenuti dal loro ultimo EP “Veritas Ultima Vitae” e scoprono di avere un seguito piuttosto nutrito da queste parti. I ragazzi si esibiscono nella prima serata di sabato e la sala concerti presenta un bel colpo d’occhio, con diverse file astanti in prossimità del palco e qualche fan più esagitato (italiani in trasferta!) che arriva anche a innescare un po’ di pogo. La band gode sin da subito di un mixaggio all’altezza e propone una serie di pezzi in rapida successione, guidata da un frontman – C. O. Vomit – estremamente ben calato nella parte. Buona parte dei pezzi ha un tiro thrasheggiante che ben si addice alla dimensione live, ma naturalmente nello stile del quintetto non mancano svariati elementi death metal, a partire dal convincente growling di C. O. Vomit sino ad arrivare a rallentamenti in odore di Asphyx e a uptempo che ricordano gli Unleashed degli inizi. I Voids Of Vomit svolgono insomma il loro compito con buona efficacia, precedendo i grandi nomi della giornata con uno spettacolo diretto e ben gestito sotto ogni punto di vista. Speriamo ora di avere presto il piacere di ascoltare una nuova opera in studio.
NECROS CHRISTOS
Il rito dei Necros Christos ha luogo in piena serata, segno che i tedeschi sono a tutti gli effetti considerati un gruppo di prima importanza, da collocare appena sotto i più storici headliner. La sala concerti dell’Ungdomshuset è stra-piena quando il quartetto si presenta on stage: pare che molti siano qui addirittura solo per assistere a questa performance e, in effetti, il colpo d’occhio è speciale quando il cantante/chitarrista Mors Dalos Ra inizia a dominare la scena. Il suo abito cerimoniale lo rende immediatamente riconoscibile tra i tanti frontman in “denim and leather” che si sono alternati sul palco sinora, ma anche il death metal che il Nostro propone con il suo gruppo ha un tocco più personale, nonostante in questa sede le introduzioni e gli intermezzi di matrice folk e le parti di musica sacra vengano messe da parte. “Doom Of The Occult” è stato un piccolo caso nel circuito death metal e questa sera la risonanza raggiunta da quel disco assume forma concreta: la folla celebra i Necros Christos come dei veri e propri eroi, con braccia perennemente alzate, cori e incitamenti, in un moto di entusiasmo che a tutti gli effetti diventa parte dello spettacolo. Contrariamente alle aspettative, Mors Dalos Ra rinuncia a recitare la parte del “sacerdote occulto”, ponendosi in maniera umile e rivelandosi pure piuttosto ciarliero. Tuttavia, è ovviamente la musica a svolgere il ruolo di protagonista: death e doom metal vengono celebrati dai Necros Christos e dal pubblico tutto come divinità, in una funzione che raggiunge il suo apice con “Descending Into The Kingly Tomba”. Non ci saremmo mai immaginati che i tedeschi avrebbero conseguito un tale successo, ma pare proprio che d’ora in avanti ci sarà da abituarsi a sentire il loro nome un po’ ovunque in certi ambienti!
SADISTIC INTENT
Ai Sadistic Intent va sicuramente la palma di band più entusiasta del KTDF 2012. I fratelli Cortez e i loro soci sono i primi fan di questa musica e di certo non lo nascondono: il loro è uno show intensissimo, alimentato in primo luogo dalla visibile soddisfazione di trovarsi a partecipare a un evento che celebra quell’underground di cui i Nostri sono da sempre strenui difensori. Oltre vent’anni di carriera, una manciata di fortunati EP e il ruolo per un certo periodo di band spalla di Jeff Becerra dei Possessed hanno reso i californiani delle vere leggende del panorama death-thrash underground; un gruppo senz’altro scarsamente produttivo, ma che mette tutto sè stesso in ciò che fa… a partire ovviamente dai live show, brutali e parossistici a dir poco. Insomma, il ruolo di headliner per i Sadistic Intent ci sta tutto, soprattutto alla luce del concerto di stasera, che vede i Nostri dominare il palco con furia luciferina, trasmessa attraverso una serie di brani (tra cui troviamo pure una cover di “F.O.A.D.” dei Darkthrone) di purissima ignoranza death, thrash e black metal. È il cantante/bassista Bay Cortez a dimostrarsi il più fomentato, ma anche suo fratello Rick non è da meno, con le braccia coperte di borchie e i continui incitamenti indirizzati verso il pubblico, a cui viene chiesto di ostentare tutto il proprio “essere metal”. E quest’ultimo non si fa pregare: lo show è indubbiamente uno dei più seguiti di questa edizione del festival e, a nostro avviso, anche uno dei meglio riusciti, grazie puro a dei suoni ben calibrati. Dopo l’austerità dei Necros Christos, un gradito ritorno a stilemi più volgari e diretti.
VERMINOUS
Quello dei Verminous è invece il concerto più sorprendente di questa edizione dell’evento! Assenti dalle scene da ben otto anni, gli svedesi arrivano in quel di Copenhagen quasi di soppiatto, ma in poco più di mezzora riescono letteralmente a scatenare l’inferno all’interno dell’Ungdomshuset. Nella dimensione live, i brani dell’ormai datato debut album “Impious Sacrilege” prendono una piega ancora più esasperata, forse anche perchè suonati a tratti a velocità maggiore rispetto a quanto udibile su CD. Il frontman Linus Björklund sembra sempre sul punto di collassare da un momento all’altro ogni volta che sbraita al microfono: pare quasi che voglia uccidere l’audience tanto è incazzato e i suoi compagni non sono da meno… il gruppo appare compattissimo e posseduto da una furia sovrumana. Ricordavamo con un certo piacere il materiale in studio, ma dobbiamo ammettere che non ci aspettavamo affatto una tale resa e una così manifesta dimostrazione di forza da parte del gruppo svedese. Per molti, quello dei Verminous è stato persino il miglior show del KTDF 2012 e onestamente facciamo un po’ fatica a dissentire: dai suoni alla presenza scenica, passando naturalmente per la qualità dell’esecuzione, niente è risultato scadente o fuori posto nella prova del quartetto. Una sberla di queste proporzioni dovevamo ancora riceverla!
GENERAL SURGERY
Il sabato sera – e quindi il vero e proprio Kill-Town Death Fest – si chiude in bellezza con i General Surgery. Si è un po’ “lunghi” sulla tabella di marcia prevista, ma il pubblico è comunque ancora ampiamente presente all’interno del locale e non fa assolutamente mancare il suo supporto agli storici grindcorer svedesi, che comunque chiedono subito scusa per il ritardo accumulato nel soundcheck. Prevedibile ma graditissimo lo show del quintetto, che si presenta come al solito ricoperto di sangue e con il chiaro intento di “fare il verso” ai vecchi Carcass nella maniera migliore possibile. Obiettivo raggiunto: tra una “The League of Extraordinary Grave Robbers” e una “If These Walls Could Talk” il concerto scorre rapidissimo, offrendoci una band che sicuramente sa come stare su un palco e, soprattutto, che sa come si compone e suona grindcore d’annata (qua e là spruzzato di death metal novantiano). A questo punto siamo oggettivamente stanchi e la nostra attenzione cala un po’, se non altro perchè abbiamo avuto modo di vedere gli svedesi all’opera già varie volte, ma una sempre ben assestata “Ambulance Chaser” ci fa riaprire gli occhi e drizzare le orecchie. I General Surgery, anche questa volta, si confermano pesi massimi nel loro genere: è un peccato mortale non prenderli sul serio.
TYRANNY
Ci rechiamo presso l’Ungdomshuset anche di domenica, per presenziare alla vera grande novità di questa edizione del festival, ovvero il Gloomy Sunday. L’organizzazione ha infatti deciso di allungare l’evento con una serata esclusivamente dedicata a suoni death-doom, in modo da avere una scusa per invitare gruppi considerati troppo estremi per il Heavy Days In Doom-Town, ovvero l’happening doom/stoner che il collettivo organizza in primavera, sempre a Copenhagen. Si parte in quarta con i finlandesi Tyranny, realtà funeral doom dal sound imponente, che si presenta on stage indossando dei sai da frate come i Sunn O))). Il gruppo, in cui militano un paio di membri dei Corpsessed, affligge la folla con un muro di suono inclemente: i brani sono lunghi e a dir poco monotematici, conditi da un growling abissale che fa tremare le viscere. Proprio come su disco, non è tanto il carattere stilistico a colpire, bensì la pressochè totale chiusura della formazione verso suoni anche solo vagamente più accessibili. Lenti ed estremi fino al midollo, i Tyranny soffocano l’audience in principio di serata, confermandosi la band più heavy e quadrata del bill di quest’anno. Una volta scalato questo monolite, sarà tutta discesa.
SWALLOWED
Ci addentriamo in territori sonori più perversi con gli Swallowed, una delle formazioni più misteriose dell’attuale panorama underground finlandese. I Nostri hanno all’attivo tre EP, ma sono sul punto di registrare e rilasciare un primo atteso full-length per Dark Descent Records. Stilisticamente, il gruppo pare un incrocio tra Autopsy e Nihilist/primi Entombed, con una forte impronta doom e, in più, delle chitarre slabbrate che riportano alla mente del classico black metal finnico. Il modo di porsi on stage, invece, con corpse-paint, ossa e un’aria perennemente allucinata, ricorda quasi i primi Mayhem, quelli con Dead al microfono. I candelabri al lato del palco non fanno altro che aumentare l’aria occulta che già si respira ascoltando le note del terzetto, che suona quasi incurante del pubblico, come se stesse celebrando un rito per sè stesso. Insomma, la performance è assai particolare e a tratti pare quasi stridere con l’atmosfera di festa che si rintraccia solitamente al KTDF. Agli Swallowed però non si può certo rimproverare qualcosa: interpretano il loro materiale con innata convinzione e fanno venire i brividi a tutti coloro che hanno deciso di seguirli in questo loro viaggio verso l’ignoto.
HOODED MENACE
Per chi scrive l’appuntamento più atteso della domenica è quello con gli Hooded Menace, già visti all’opera al Roadburn e al Maryland Deathfest negli anni passati, ma sempre una piccola garanzia dal vivo. I finlandesi stanno per rilasciare il loro nuovo album, “Effigies Of Evil”, e colgono l’occasione offertagli dal Gloomy Sunday per rinfrescare la memoria a tutti gli appassionati di doom-death metal presenti. I Nostri, con alla voce Oula Kerkelä per l’ultima volta, come al solito si presentano incappucciati ed evitano di interagire apertamente con il pubblico. Lasse Pyykkö (che indossa gli occhiali da sole persino al buio) e il suo gruppo suonano e basta, ma ciò è esattamente quello che si chiede loro: le atmosfere orrorifiche dei loro pezzi mal si sposerebbero con una presenza scenica più vispa e un modo di fare affabile. Meglio concentrarsi soltanto sulla musica e schiacciare crani con riff e ritmiche a valanga. Gli Hooded Menace si concentrano sul loro materiale più pesante, saccheggiando “Fulfill The Curse” e soprattutto “Never Cross The Dead”, la cui title track si dimostra come sempre la canzone più nota del repertorio della band. I suoni – come d’altronde per quasi tutte le esibizioni di quest’anno – brillano per densità e nitidezza e, in definitiva, lo show si rivela fortunato. Facendo solamente leva sulla qualità della loro musica, i finlandesi portano a casa un altro successo, venendo acclamati a lungo anche a luci ormai accese.
ESOTERIC
L’evento si conclude con la band più “contaminata” del bill. Il death metal è infatti solo una delle tante influenze degli Esoteric: negli anni la band ha saputo inglobare elementi doom, industrial, “post” e black metal nel proprio tessuto sonoro, per un connubio che ha raggiunto la sua sublimazione nel recente doppio masterpiece “Paragon Of Dissonance”. I brani lunghissimi dei britannici questa sera non vengono accolti da un pubblico particolarmente grande – molti sono già sulla via di casa o completamente a pezzi nel cortile dell’Ungdomshuset – ma la performance di Greg Chandler e compagni è comunque di indubbio gusto e impatto. Il chitarrista/cantante utilizza un microfono da orecchio, tipo “operatore di call center”, e troviamo che in qualche modo questo ne limiti la presenza scenica, però si tratta naturalmente di sottigliezze e gusti personali… la resa sonora non ne risente affatto, anche perchè il Nostro ha pur sempre in dote un growling devastante. L’affiatamento con il resto dei membri è inoltre invidiabile, a maggior ragione se si considera il fatto che gli Esoteric per un po’ di tempo non hanno avuto una lineup stabile e che comunque non suonano dal vivo molto spesso. A differenza delle altre band oggi in cartellone, l’esibizione non consta soltanto di riff pesantissimi e ritmiche ottuse: come accennato, il sound del gruppo inglese è ben più variopinto e si evolve su sfumature che chiamano spesso in causa il lavoro delle tastiere e delle chitarre pulite. Probabilmente, se al cospetto di un altro gruppo puramente doom-death, avremmo alzato bandiera bianca, vista la stanchezza, ma la prova degli Esoteric riserva sorprese a sufficienza per farci rimanere in piedi e per ritrovarci sempre più coinvolti da quanto stiamo ascoltando. Come finale del Gloomy Sunday e dell’intero Kill-Town Death Fest 2012, non c’è proprio da lamentarsi, anche se forse qualche purista avrebbe preferito ancora borchie e toppe dei Rottrevore. Noi ce ne andiamo contenti, pronti a fare un nuovo pieno di ignoranza nel 2013.