05/09/2019 - KILL-TOWN DEATH FEST 2019 @ Pumpehuset - Copenaghen (Danimarca)

Pubblicato il 19/10/2019 da

Dopo avere registrato un clamoroso sold out nel 2018, il danese Kill-Town Death Fest ha replicato quest’anno, arrivando addirittura a vendere tutti i biglietti disponibili a poche ore dall’apertura delle prevendite. Un risultato a dir poco entusiasmante, soprattutto se si considera che nella sua precedente incarnazione – quella svoltasi presso il centro sociale sino al 2014 – il festival di Copenhagen non aveva mai nemmeno lontanamente goduto di un simile interesse da parte del pubblico, rimanendo a lungo un evento per pochi cultori del circuito underground death metal. Da allora le cose sono evidentemente cambiate e oggi è davanti agli occhi di tutti come queste sonorità siano vicine al cuore di molti più appassionati e che un festival come quello in questione abbia davanti a se un futuro roseo. Vi è anche chi pensa che il Kill-Town abbia le potenzialità per fare il botto come l’olandese Roadburn, diventando un punto di riferimento non solo per chi vive di pane e death metal, ma forse un simile risultato non è nemmeno tra i sogni degli organizzatori, i quali continuano a mantenere un profilo basso e ad allestire un cartellone che soddisfa in primis i loro gusti.
Rispetto alla scorsa edizione, quella 2019 non ha dunque fatto registrare alcun cambiamento a livello di assetto: l’evento ha avuto nuovamente luogo all’interno dell’ottimo Pumpehuset, locale situato a pochi passi dal centro di Copenhagen, e tutto è andato secondo i programmi. La disposizione su due palchi (più un piccolo stage nel beergarden per i primissimi concerti della giornata) si è riconfermata ideale e ben gestita e l’atmosfera familiare e rilassata tipica di questo festival non è venuta a mancare nemmeno questa volta, nonostante la presenza di tante facce nuove tra gli avventori e una calca più accentuata del solito in alcuni punti del locale. Insomma, di nuovo non possiamo che spendere parole di stima per questo piccolo grande evento, sempre più importante per la valorizzazione di un panorama musicale che non smette mai di stupire con band e produzioni sentite e ricercate. Appuntamento all’anno prossimo.

GIOVEDÌ

Il festival parte in punta di piedi con i KEVER, una formazione interessante ma certamente non notissima. Siamo davanti al Black Stage e gli israeliani – in cui militano un paio di ex e attuali membri dei grandissimi Sonne Adam – propongono un tenebroso death metal che guarda tanto ai succitati connazionali quanto a classici immortali come i Morbid Angel. Buono l’impatto complessivo della performance e, anzi, alcuni pezzi sono veramente notevoli, ma a questo punto sembra che la maggior degli avventori stia ancora facendo un sopralluogo presso la zona merchandise o stia semplicemente attendendo uno dei cosiddetti pezzi grossi del cartellone. Di lì a poco finiamo infatti ad ammirare il primo show in terra europea dei CHTHE’ILIST, realtà canadese che ha goduto di parecchio hype attorno alla pubblicazione del suo debut album “Le Dernier Crépuscule”. La band si esibisce sul palco principale e pare tutto fuorchè nervosa. Considerati fra gli eredi più credibili dei Demilich, i ragazzi si rendono protagonisti di una prova che non tradisce le alte aspettative e che in effetti li pone appena sotto i maestri finlandesi a livello di verve e coesione. Quando si propone un techno-death molto articolato e frenetico è facile perdere di vista il lato scenico del concerto, ma il gruppo riesce a fare una bella figura anche in termini di presenza e spigliatezza. Non avendo mai suonato troppo dal vivo, si tratta di un bel risultato per i canadesi, i quali mandano un segnale forte a chi li reputava una meteora sin troppo pompata dai media.
Chi scrive sta facendo i conti con i postumi di un brutto mal di schiena e deve purtroppo prendersi una pausa dai concerti. Tocca sacrificare gli olandesi LUCIFERICON, ma non ci perdiamo la prova dei CORPSESSED, una band che dal vivo è una vera garanzia. I finlandesi imbastiscono quello che probabilmente è il migliore show della giornata: il loro death metal cupissimo, tendente al death-doom negli episodi più magniloquenti, in concerto assume toni ancora più tetragoni e opprimenti, merito anche di un frontman, Niko Matilainen, assolutamente spiritato per tutto l’arco dell’esibizione. Le gelide melodie in dote al materiale risaltano più che su questa base pesantissima e il quintetto sul palco finisce per sembrare davvero imponente, confermandosi ormai pronto per esibirsi anche in contesti più ampi.

Serve grande attenzione per godersi al meglio la prova degli ADVERSARIAL, impegnati sul piccolo Black Stage con il loro black-death metal straniante, tanto ricco di sfaccettature quanto di dissonanze e scricchiolii che sembrano stilettate al cuore. La loro presenza nel bill dell’evento è una vera chicca per molti e i canadesi non fanno niente per deludere le aspettative, sfoderando anzi una compattezza che non ci aspettavamo, considerata la loro saltuaria attività live. Si passa da rallentamenti catacombali ad accelerazioni frenetiche e dal feeling ipnotico con notevole scioltezza, ma ovviamente bisogna essere attenti conoscitori del repertorio per godersi appieno il concerto.

Gli amanti del più puro sound vecchia scuola ripiegano sui leggendari ABHORRENCE, qui al primo concerto al di fuori dalla Finlandia della loro storia. I padri del death metal finlandese, dal quale originarono anche i ben noti Amorphis, sono tornati in vita da alcuni anni e l’EP “Megalohydrothalassophobic” rilasciato lo scorso anno ha ricevuto un’accoglienza al di sopra delle aspettative, Questa sera però la maggior parte del pubblico è qui per ascoltare i classici dei demo dei primi anni Novanta e la band lo sa bene: veniamo così investiti da una scaletta ampiamente old school, nella quale riesce a trovare spazio persino una cover di “Foetal Mush”, hit degli altrettanto seminali Xysma. Gli Abhorrence danno decisamente l’idea di divertirsi sul palco e il pubblico li prende subito in simpatia, tributando loro grandi applausi. Qualche sbavatura qua e là non rovina un concerto che strappa più di un sorriso a tanti nostalgici.

Torniamo a band della nuova ondata con i SUFFERING HOUR, interessantissima realtà statunitense che di recente ci ha colpito con una proposta tanto sfuggente quanto melodica, che a tratti ci ricorda quasi una versione death metal degli Inquisition. Il trio di Minneapolis cala al Kill-Town sull’onda del successo dell’ultimo EP “Dwell”, il quale consta di una sola traccia di circa venti minuti, e si presenta nel migliore dei modi con un concerto molto intenso che arriva a includere anche l’intera succitata ultima fatica. Piace il modo in cui il gruppo mescola dissonanze e trame più orecchiabili: una formula questa sera supportata da una grande verve da parte dei musicisti, così come da una sentita partecipazione da parte della platea. Trasporto che resta su alti livelli con l’arrivo degli headliner GRAVE, i quali oggi decidono di vincere facile puntando esclusivamente sul materiale di “Into The Grave” e dei demo. C’è poco da fare: davanti a brani come la titletrack o “Annihilated Gods”, anche coloro che hanno smesso da qualche tempo di seguire questi dinosauri si sciolgono e si lasciano andare a del sano headbanging. Del resto, Ola Lindgren e soci, a differenza di vari colleghi, sono invecchiati piuttosto bene e il loro show non perde mai di intensità, intrattenendo i presenti sino al termine. Tempo ora di andare a casa a riprendersi, perchè domani sarà un’altra lunga giornata.

VENERDÌ

Nella giornata di venerdì viene inaugurato anche il piccolo palco esterno, situato nel beergarden dal quale si accede all’edificio del Pumpehuset. In tutta onestà, assistere ad un concerto in questo contesto non è sempre il massimo, dato che si tratta di una zona di passaggio, dove la gente transita o si ferma a bere e chiacchierare. Un gruppo come i giovani CHAOTIAN, realtà locale affacciatasi di recente sulla scena, viene tutto sommato ignorata dai più, anche per via di un sound ancora acerbo che dal vivo sembra decisamente necessitare di una seconda chitarra. I GHASTLY, poco dopo, soffrono meno la location, ma ci chiediamo perché una band così valida sia stata relegata su un palco oggettivamente di Serie B. I finlandesi propongono un death metal ricco di intrecci melodici e di influssi prog, praticamente una via di mezzo fra Demigod e gli ultimi Morbus Chron, e la loro componente atmosferica si disperde quasi completamente fra schiamazzi, brindisi e gente che va e che viene. Un peccato per noi che abbiamo molto apprezzato l’ultimo “Death Velour”; speriamo di rivederli presto in un contesto più consono al loro sound.
Per i soliti problemi di schiena, decidiamo di prenderci una pausa durante lo show dei DROWNED: apprezziamo il gruppo teutonico, ma negli ultimi anni abbiamo avuto modo di vederlo in varie occasioni. Non possiamo invece perderci, sul Black Stage, il concerto dei BLACK CURSE, nuova realtà statunitense in cui militano membri di Spectral Voice, Blood Incantation e Primitive Man. Il gruppo ha di recente firmato per Sepulchral Voice e quello di oggi è il suo esordio assoluto su un palco. A parte un brano rilasciato alcune settimane fa, il repertorio del quartetto è completamente inedito, ma il pubblico riesce subito ad entrare in sintonia con band e proposta, anche se il cantante/chitarrista Eli Wendler (cantante/batterista dei suddetti Spectral Voice) sembra fare di tutto per spezzare il ritmo dello show, eccedendo in escandescenza e staccando ripetutamente i cavi della chitarra e del microfono. In ogni caso, un’anteprima promettente per un gruppo che i fan di certi ibridi death-black-thrash alla Degial, Vorum o Lvcifyre dovrebbero tenere d’occhio.

Da una novità assoluta passiamo quindi al recupero di un nome vetusto con i TRANSGRESSOR, giapponesi autori di un solo album nel lontano 1992, “Ether for Scapegoat”. Il drummer Takashi Tanaka negli ultimi anni si è fatto notare con i suoi Anatomia, mentre questo suo primo progetto è rimasto un nome per veri cultori del genere. Classico e primitivo death metal novantiano, tra Autopsy e Cianide, è ciò che ci propone il gruppo, il quale, nonostante l’attività intermittente, ci appare ben rodato e con una marcia in più rappresentata dall’entusiasmo di trovarsi per la prima volta ad un festival europeo tanto importante.
Vi è bisogno di un’altra pausa e di conseguenza chi scrive perde lo show dei MALTHUSIAN (visti più volte negli ultimi anni), mentre siamo ben posizionati per quello dei RITUAL NECROMANCY, massicci discepoli dei migliori Incantation, qui chiamati a promuovere la loro ultima fatica “Disinterred Horror”. Ovviamente, se non si è fan della band di John McEntee è praticamente impossibile entrare in sintonia con il quartetto di Portland, ma, al di là di questo, va riconosciuto ai ragazzi un piglio assolutamente autoritario e la presenza nel repertorio di una manciata di brani notevoli. Il suono imponente del palco principale completa il quadro e rende il concerto più che piacevole.
Una vera sorpresa è invece rappresentata dai MORTUOUS, realtà americana meno chiacchierata di altre, ma a dir poco letale sulle assi di un palco. Il quartetto – in cui militano membri di Acephalix, Vastum, Evulse e Necrot – mette letteralmente a ferro e fuoco il Black Stage, scatenando il pogo più violento della giornata. Non ci aspettavamo un tale impatto dalla band, anche perché il debut album “Through Wilderness” fa anche leva su una componente più doom e atmosferica, ma in sede live il lato più barbaro della formazione viene fuori con prepotenza. Incredibile l’affiatamento di questi musicisti, che partono fortissimo e riescono ad imporsi all’attenzione dell’intera platea come se fosse la cosa più naturale al mondo. Promossi su tutta la linea.

Restiamo su alti livelli con l’arrivo dei TOMB MOLD, acclamati a gran voce da una foltissima audience accorsa davanti al palco principale. L’ottima impressione destata dall’ultimo album, “Planetary Clairvoyance”, viene confermata da una precisione e da una padronanza del palco degna di un gruppo di veterani. Fra i Nostri spicca il batterista/cantante Max Klebanoff, autore di una prestazione incredibile sotto ogni punto di vista; crediamo siano davvero pochi i musicisti in questo ruolo capaci di esibirsi con tale accuratezza su un sound così aggressivo e articolato. Proprio come i Chthe’ilist la sera prima, i canadesi fanno quasi passare in secondo piano il lato virtuoso della faccenda, riuscendo ad apparire fluidi e impetuosi anche sulle trame maggiormente articolate. Dopo avere compiuto un decisivo passo in avanti in studio con il suddetto ultimo lavoro, ci sembra che i Tomb Mold siano ormai al top anche sul fronte concertistico.
Dopo questa bella prova made in Canada, la nostra attenzione si rivolge quindi al Black Stage, sul quale stanno arrivando i NECROVATION, una delle prime band capaci di riaccendere la fiamma del vero old school death metal agli inizi degli anni Duemila. Il combo svedese si è tenuto decisamente in disparte nell’ultimo lustro, ma la qualità di opere come “Breed Deadness Blood” e “Necrovation” è ancora sotto gli occhi di tutti. Certamente riscontriamo un po’ di ruggine nella loro esibizione e, sfortunatamente, anche i suoni non sembrano essere dei migliori, tuttavia un break all’insegna di sonorità meno monolitiche, con influssi thrash e celticfrostiani più evidenti, è ben gradito all’interno di un bill che oggi ha puntato tutto o quasi su partiture di altro stampo. Da parte nostra un grazie agli organizzatori per avere riesumato un nome di questo calibro.
Si chiude quindi con i mostruosi FUNEBRARUM, tra i capostipiti di quel revival old school che ha coinvolto tutto il panorama underground dall’inizio del millennio. La band di Daryl Kahan è da tempo al lavoro su un nuovo album, ma questa sera vi è spazio solo per le hit di dischi come “Beneath the Columns of Abandoned Gods” o “The Sleep of Morbid Dreams”, da tempo in cima alle preferenze dei cultori di questo sound radicato nella tradizione death metal. L’attuale line-up non subisce grandi stravolgimenti da un paio d’anni e gli statunitensi sono inoltre freschi reduci da una dozzina di date in Europa, quindi troviamo dei Funebrarum particolarmente compatti e ormai a proprio agio nel ruolo di headliner. Del resto, una vasta schiera di fan è qui anche e soprattutto per loro e li considera ormai importanti tanto quanto certi maestri degli anni Novanta. Assistiamo quindi ad un concerto veemente, interpretato con convinzione da una band sempre più esperta e concreta. Manca forse il volume e la definizione che, a livello di suoni, ha reso ottimo lo show dei Tomb Mold su questo stesso palco, ma, a conti fatti, si tratta di dettagli. Si chiude in grade stile anche stasera.

SABATO

A differenza degli opener di ieri, i BASTARD GRAVE soffrono poco la location esterna. La loro proposta, dopo tutto, quasi si addice ad un contesto sporco e caciarone, dove il tasso alcolico è in continuo aumento. Gli svedesi con l’ultimo “Diorama of Human Suffering” hanno sterzato su un death metal ancora più barbaro e senza compromessi, trovando in Autopsy e Coffins i principali punti di riferimento. Con un tale sound nelle loro corde, per i cinque è facile attirare consensi da queste parti e il loro show finisce dunque per risultare particolarmente divertente e azzeccato. Gli HAR, di contro, giocano più di fino, proponendo un black-death metal dai contorni mistici e arcani. Il gruppo israeliano, in cui militano un paio di membri dei Kever, avrebbe certamente preferito esibirsi all’interno del locale, ma questa volta tocca loro fare buon viso a cattivo gioco e puntare sul lato più violento del proprio sound per cercare di farsi notare in questo soleggiato primo pomeriggio. Si sente un certo ingegno dietro il riffing, così come atmosfere che rimandano ora ai primi Morbid Angel, ora alla vecchia scena black ellenica, ma per avere un’idea chiara di quali siano le ambizioni della band e per esprimere un giudizio dobbiamo per forza rimandare ad un’altra occasione e nel frattempo ascoltare il loro ultimo demo, “Anti-Shechinah”, uscito ad agosto 2019. Il locale apre quindi le porte e la prima formazione che vediamo esibirsi è quella degli IGNIVOMOUS, death metaller australiani in procinto di pubblicare il loro terzo album, “Hieroglossia”, su Nuclear War Now!. E’ da sempre un death metal torvo e spigoloso, quello a cui i cinque si dedicano, spesso estremamente vicino agli Immolation e agli Incantation più ‘difficili’. La nostra percezione della loro offerta non cambia affatto quest’oggi: la band è l’equivalente di un nero carro armato che viaggia a velocità media, per nulla incline a concedere scampo all’ascoltatore. I brani, molto arzigogolati e densi, offrono pochi appigli a livello melodico/atmosferico e, dal canto loro, i musicisti non fanno niente per coinvolgere la platea, restando fermi ai loro posti e apparendo quasi disinteressati a ciò che sta loro davanti. Un concerto pesante sotto ogni punto di vista. Decidiamo quindi di riposare durante i TAPHOS, realtà di casa che abbiamo già visto lo scorso anno e che da allora è rimasta ferma al debut album “Come Ethereal Somberness”. Seguiamo invece gli ANTEDILUVIAN e il loro famigerato magma death-black dove ritmiche severissime sostengono dissonanze cosmiche, urla alienanti e pillole di pura cacofonia. Il concetto di canzone non sempre viene preso in considerazione dai canadesi, perciò chi non ha già una certa familiarità con la proposta si ritrova a domandarsi che cosa stia esattamente avvenendo sul main stage (anche perchè i Nostri oggi indossano delle tuniche che sembrano quasi delle tende per la doccia). Quasi superfluo sottolineare come dal vivo la band riesca a riproporre in maniera ancora più caotica e vorticosa il proprio tipico sound, scomodando paragoni con i Portal di qualche anno fa, quando tali aberrazioni sonore erano davvero qualcosa per pochi.

Si torna su registri più concreti – anche se sempre poco concilianti – con gli OF FEATHER AND BONE, che sul Black Stage allestiscono uno show veramente devastante. Diverte pensare che le origini degli statunitensi risiedano nel mondo hardcore-punk: oggi il trio, a livello di sonorità e impatto, prova infatti a fare concorrenza a gente del calibro di Immolation e Funebrarum. Il recente full-length “Bestial Hymns of Perversion”, rilasciato da Profound Lore, ha fatto una buona impressione nel circuito underground e la band riesce oggi a confermare quanto di buono espresso in studio con una performance estremamente rabbiosa e compatta. Si vede che i ragazzi sono reduci da una attività live molto impegnativa e il loro affiatamento è sotto gli occhi di tutti. Bella prova, e lo stesso si può dire dei MITOCHONDRION, i quali si presentano sul palco principale con la sicurezza di chi sa di essere piuttosto atteso. I canadesi non sono stati particolarmente prolifici in studio negli ultimi anni, ma la loro è una proposta che da qualche tempo fa proseliti e che sta venendo abbracciata da una fascia sempre più ampia di ascoltatori. Fra i primi a insistere su dissonanze e marasma controllato su registri black-death, per un sound che sposa Morbid Angel, Blasphemy e Deathspell Omega, i quattro oggi esprimono una compattezza fuori dal comune e una presenza scenica che rimanda ai classici del death metal. Astrazione e impatto nella giusta misura.
Facciamo quindi un tuffo nei tardi anni Ottanta e nei primi Novanta con i SUPERSTITION, band che tende a stare il più possibile alla larga da contaminazioni e spunti troppo cervellotici. La proposta degli statunitensi guarda tanto ai Morbid Angel e primi Deicide quanto a Slayer e Sepultura, per quello che è a tutti gli effetti un apprezzato ritorno alle origini dopo varie ore di sonorità sempre più compresse e frenetiche. Con i Superstition, da poco sul mercato con il debut album “The Anatomy of Unholy Transformation”, tutto è dritto ed essenziale e la platea davanti al Black Stage pare gradire non poco. Del resto, i ragazzi non hanno originalità ma possono comunque mettere sul piatto dei brani ben costruiti e coinvolgenti. Basta questo per tenere in mano un pubblico che inizia ad accusare un po’ di stanchezza. Il top dell’ignoranza viene tuttavia raggiunto grazie ai VASTUM, uno dei cardini dell’attuale scena death metal californiana. Potendo contare sull’affiatatissima sezione ritmica dei Necrot e su un frontman imponente e un po’ pazzo come Daniel Butler (Acephalix), la formazione di San Francisco sconvolge letteralmente la folla, innescando il più grande mosh pit dell’evento, così come innumerevoli stage dive. Il death metal della band si rifa sovente alla scuola Grave, ma a tratti denota anche una componente atmosferica più accentuata. In questo contesto è tuttavia il lato più brutale ad emergere maggiormente e pezzi come “Sodomitic Malevolence” o “Spirit Abused” fanno sbattere dozzine di teste. Non c’è tregua durante lo show e dove i Vastum non arrivano in termini di personalità, suppliscono con un impatto e una fisicità robustissimi.

Dopo il massacro targato Vastum, scendiamo nella sala che ospita il Black Stage per goderci almeno parte della prova dei PHOBOCOSM, realtà ben più raffinata degli statunitensi, figlia di quella scena canadese che per anni ha incantato il mondo death metal con la propria visionarietà. Bisogna essere in effetti grandi fan dei maestri Gorguts per entrare subito in sintonia con il gruppo di Montreal, vista la sua passione per dissonanze, riff sghembi e atmosfere opprimenti. I Phobocosm comunque mettono in mostra anche un velo di malinconia che in certi passaggi può anche ricordare il panorama post black metal odierno. Da qualsiasi lato si decida di prendere la prova della band, si arriva comunque alla conclusione di avere a che fare con una realtà molto personale e attenta ai dettagli, brava anche a mantenere una certa verve e un’attitudine tutt’altro che distaccata nella dimensione concertistica. La cover di “Here In After” degli Immolation va probabilmente vista come un tentativo – riuscito – di legare anche con gli ascoltatori occasionali.
Cala il sipario su questo sabato al KTDF e arriviamo ai saluti sulle note arrembanti dei grandissimi OBLITERATION, band che negli anni è stata in grado di concepire un suono sempre più personale e di affrancarsi quasi del tutto dai pur rispettabilissimi punti di riferimento iniziali. Se agli esordi il gruppo veniva visto come una sorta di risposta norvegese agli Autopsy, oggi si parla semplicemente di Obliteration e non è un caso che il quartetto sia ora arrivato ad esibirsi come headliner in manifestazioni di questo tipo. Abbiamo ancora nelle orecchie l’ottima prova offerta con l’ultimo “Cenotaph Obscure” e questa sera i ragazzi di Kolbotn si confermano all’avanguardia con un concerto tanto veemente quanto ricco di personalità. Lo screaming del cantante/chitarrista Sindre Solem è subito riconoscibile, così come l’eclettico mix di cattiveria e creatività di pezzi come “Destestation Rite”, capaci in pochi minuti di abbraciare con coerenza i mondi death, black e prog. Probabilmente gli Obliteration non saranno mai un nome per tutti – troppo sfuggenti e al tempo stesso troppo sporchi per il fan medio – ma prove come quelle di questa sera ci ricordano come vi sia ancora spazio per del genuino ingegno nel mondo del metal estremo.

DOMENICA

La giornata di domenica, la cosiddetta Gloomy Sunday, ci vede tirare un po’ il fiato e seguire solo alcune delle band in questo cartellone più incentrato sul doom-death. Non ci perdiamo i primi della lista, i TCHORNOBOG, formazione di origine ucraina che ha rilasciato un interessante primo album un paio di anni fa. Nell’era dei gruppi incappucciati, i Nostri optano per qualcosa di differente, ovvero si presentano bendati! Dettagli scenici a parte, ci colpisce il buon affiatamento della band, che con questa line-up – sempre guidata dall’estroverso mastermind Markov Soroka – ha iniziato a suonare live da poco. Il sound, spesso classificabile come una via di mezzo tra death-doom alla Esoteric e moderne arie post black metal, fuoriesce dagli amplificatori con discreta chiarezza e centra il bersaglio sia nei momenti più aggressivi che in quelli malinconici, anche se a tratti si sente la necessità di tracce più compatte.

Più in là nel pomeriggio siamo nuovamente davanti al palco principale per goderci lo spettacolo dei PROFETUS, che oggi presentano in anteprima il nuovo album “The Sadness of Time Passing”. I finlandesi non inventano niente, ma, con un songwriting più che ispirato, sono da tempo considerati degni eredi di capisaldi come Skepticism, Mournful Congregation, Tyranny o Thergothon. Quest’oggi i cinque non deludono affatto le aspettative nemmeno nel contesto live. Fra arie solenni, punteggiature di organo e profondissime digressioni nel più pesante e straziante death-doom – il tutto avvolto da fumo e dalla luce di un candelabro – la platea resta completamente rapita da una performance intima e sentitissima, capace di riassumere alla perfezione tutte le migliori caratteristiche del genere. Qualcuno tra il pubblico arriva persino a piangere, e crediamo che ciò la dica lunga sull’atmosfera che i Profetus sono riusciti a creare in questa occasione.

Tocca poi agli ASSUMPTION ammaliarci con il loro sound a metà strada fra death-doom e spunti psichedelici. Proprio questi ultimi rendono il gruppo siciliano un’entità a se stante nel panorama odierno, in grado di farsi subito distinguere non appena il growling e i riff prettamente death metal lasciano campo a trame più soffuse. Le atmosfere cosmiche e dilatate sono la marcia in più del quartetto, il quale ci appare ben rodato in questa sua esibizione sul Black Stage. Il pubblico è numeroso e segue con un un certo trasporto; in effetti, fa piacere constatare come ormai non vi siano più pregiudizi nei confronti della band italiane all’estero. In ogni campo esportiamo musica di valore e band che sanno essere professionali e coinvolgenti sul palco. Gli Assumption, nel loro filone, sembrano decisamente pronti per arrivare ai vertici.
Sul palco principale, gli ANATOMIA invece oggi ci sembrano un po’ stanchi o comunque non sui loro consueti livelli. Forse anche dei suoni vagamente asfittici contribuiscono a rendere la performance dei giapponesi meno penetrante del solito, nonostante il grosso dispiego di luci rosso sangue. Peccato, perchè, anche se la separazione dalla tastierista Kaori ha fatto perdere loro qualcosa in termini di personalità, restiamo grandi fan del macabro sound death-doom della band di Tokyo. Più avvincente, anche perchè assolutamente esclusivo, lo show degli ABYSMAL DIMENSIONS, lancinante funeral doom ad opera di membri di Blood Incantation, Spectral Voice, Wayfarer e Scolex. Gli statunitensi hanno all’attivo un solo EP, rilasciato ben prima che le loro altre band salissero agli onori della cronaca, e sono stati invitati dall’organizzazione proprio per riproporre questa rarità come chicca della Gloomy Sunday. Da musicisti di questo calibro siamo ormai abituati a grandi cose e anche questa vecchia perla non lascia indifferenti nel suo miscelare gli aspetti migliori di Thergothon e Disembowelment, con un finale evocativo da brividi.

Siamo quasi al termine della giornata e di questa edizione 2019 del Kill-Town Deat Fest. Una delle ultime cartucce che l’organizzazione spara risponde al nome di FUNERAL MOTH. Realtà di culto del panorama funeral doom, al primo concerto in Europa della loro storia, i nipponici si fanno subito notare per la loro indole timida e per un sound a volte talmente etereo da travalicare i confini funeral per insinuarsi, a suon di arpeggi angosciosi, in una sorta di post rock luttuoso dominato da voce growl. Ben presto è facile dividere il pubblico davanti al Black Stage fra die-hard fan del gruppo, che ancora non riescono a credere di stare ammirando questi musicisti dal vivo, e ascoltatori occasionali, ormai un po’ stanchi e distratti. La sala, in effetti, inizia a svuotarsi dopo i primi minuti, lasciando solo i sostenitori accaniti fra le prime file. Forse la proposta dei Funeral Moth è un po’ troppo evanescente per certi metallari, ma resta il fatto che la band risulti completamente assorta nella propria performance e dia un’impressione di grande coinvolgimento emotivo. Già per questo, ci viene difficile allontanarci dal palco, nonostante la stanchezza si faccia sentire parecchio.
Ci riprendiamo per un’ultima scorribanda con i COFFINS, signori assoluti della caciara in chiave death-doom. La band giapponese è particolarmente azzeccata per chiudere in crescendo e in un’aria di festa un evento come questo, dato che buona parte del suo repertorio si muove a cavallo fra gli Autopsy e i Celtic Frost più rozzi, a suon di riff ignoranti e “Uh!” di warrioriana memoria. Abbiamo visto il quartetto all’opera più volte nel corso degli anni, ma dal vivo resta una garanzia di sano divertimento, a maggior ragione in un contesto come questo, dove il pubblico è competente e seriamente appassionato. Con il nuovo album “Beyond the Circular Demise” sulla rampa di lancio, Uchino e compagni decidono di presentare i nuovi singoli lanciati in rete di recente, ma in scaletta trovano ovviamente spazio anche vecchie hit come “Buried Death”. Fra pogo, stage diving e lanci di birra, spunta anche un invasione di palco in topless da parte di una fan un tantino su di giri, quasi come se fossimo ad uno concerto dei Motley Crue. Insomma, non manca proprio niente in questo esuberante epilogo del festival. Si esce con il sorriso e con la consapevolezza che anche nel 2020 faremo il possibile per presenziare.

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