In chiusura dell’introduzione del report dell’edizione 2019 del Kill-Town Death Fest avevamo scritto “appuntamento al prossimo anno”. Sappiamo poi tutti come sia andata a finire. Un anno di stop forzato a causa della pandemia e, successivamente, le continue difficoltà nel viaggiare e nello spostarsi fra stati e continenti hanno costretto l’organizzazione del seminale death metal festival danese a posticipare il cartellone previsto per il 2020 per ben due volte, con la prossima edizione ora fissata per settembre 2022. I primi risultati della campagna vaccinale e la rimozione di alcune restrizioni hanno tuttavia portato all’allestimento, nei primi giorni di settembre di quest’anno, di un minifestival denominato Kill-Town Death Fest ‘Corona Edition’, al quale sono stati invitati una manciata di gruppi prevalentemente scandinavi, con un paio di eccezioni. Una line-up risicata rispetto a quanto solitamente offerto, più simile a una serie di serate che ad un festival vero e proprio, ma pur sempre manna dal cielo per tutti gli appassionati che per circa un anno e mezzo sono stati costretti a fare a meno di concerti e musica dal vivo. Con la Danimarca virtualmente fuori dall’emergenza sanitaria, restrizioni al minimo storico e tamponi offerti gratuitamente a coloro ancora non del tutto vaccinati, è stato tutto sommato semplice arrivare a Copenhagen e assistere a questa ‘Corona Edition’ fra il 2 e il 4 settembre. Una notevole risposta di pubblico e un clima estivo, relativamente insolito per la Danimarca, hanno fatto il resto, rendendo l’happening un vero momento di sollievo dopo un lungo periodo di ansia e incertezze. Speriamo ora che tutto proceda secondo i piani e che il prossimo anno possa regalarci un festival del calibro delle gloriose edizioni passate.
Come ormai da tradizione, il festival si apre di giovedì sera. Visto appunto il cartellone ristretto, solo due band sono in programma per la serata di apertura, la quale ha luogo nel cortile del bellissimo Pumpehuset, il locale nel centro ddi Copenhagen da qualche anno diventato quartier generale del Kill-Town. L’onore di aprire questa edizione Covid spetta ai BASTARD GRAVE, arrivati freschi freschi dalla vicina Helsingborg per riproporre il loro volgarissimo death metal fortemente influenzato dagli Autopsy. Vi è un volto nuovo al posto del frontman Rickard, ma l’impatto della band svedese non ne risente, anche perché il nuovo arrivato fa a tutti gli effetti la sua sporca figura, tenendo bene il palco e interpretando i pezzi con un growl di certo funzionale alla proposta. Il pubblico, sin qui ancora relativamente scarso e più intento a bere e a chiacchierare nel beer garden, si fa presto coinvolgere dagli autori dell’ottimo “Diorama of Human Suffering”, arrivando anche a scatenare un po’ di pogo verso la conclusione del set. Dopo tanta attesa, si sentiva il bisogno di una tale scarica di volgarità death metal. Uno standard che per fortuna viene poi mantenuto dai MAIM, altra realtà svedese, ultimamente meno in vista dei Bastard Grave, ma pur sempre autrice in tempi non troppo remoti di un paio di dischi convincenti. Il gruppo non ha fatto granché negli ultimi anni, ma il suo death metal vecchia scuola – anch’esso prevalentemente di matrice Autopsy, ma con l’aggiunta di qualche deriva Swedish – incontra subito il favore della platea, la quale lancia birre in aria e dà inizio a una violenta sessione di headbanging. Meno precisi dei loro colleghi, frutto inequivocabile del silenzio che li ha avvolti dall’uscita dell’ultimo “Ornaments of Severity”, i Maim riescono comunque a imporsi senza fatica, regalando agli astanti un’altra quarantina di minuti più che piacevole. Per tanti death metaller presenti, una doppietta ideale per ufficializzare definitivamente la ripresa dei concerti e un relativo ritorno alla normalità.
Come di consueto, il festival entra nel vivo venerdì. Questa volta sono cinque le band presenti in scaletta, anche se non riusciamo a seguire completamente lo show dei danesi Chaotian, che ha luogo nel beer garden nel pomeriggio. Il primo concerto della serata per noi è quello dei SEPTAGE, realtà tutto sommato nuova del circuito di Copenhagen, nella quale militano il bassista Malik (di origine turca e già impegnato con Decaying Purity, Diabolizer e Hyperdontia) e il batterista/cantante Ugur, anche in forza a Taphos e Ascendency. La proposta del gruppo è un death-grind decisamente essenziale, modellato sugli eterni insegnamenti di primi Carcass e Impetigo. Una distorsione estrema e vari effetti sulla voce vengono messi al servizio di brani che non vanno troppo per le lunghe, da cui tuttavia emergono una indubbia competenza e coerenza stilistica. Poco più di venti minuti per il set di questo terzetto che si fa notare soprattutto per il suo approccio scarno e sfrontato, in contrapposizione piuttosto netta con l’attitudine più seriosa e il sound ricercato di tante band che sono solite suonare al KTDF.
Ai Septage seguono quindi i GHASTLY, fra i grandi protagonisti di questa annata musicale grazie al loro notevole terzo album “Mercurial Passages”. I finlandesi sono recentemente incappati in qualche cambio di line-up, ma la formazione che si presenta in terra danese dimostra subito di essere ben assortita e affiatata. Vista da queste parti un paio di anni fa, la band non aveva convinto al massimo in quanto costretta ad esibirsi sul palco esterno e alla luce del sole; sul cosiddetto main stage del Pumpehuset, l’effetto è del tutto diverso e finalmente possiamo distinguere le intricate partiture di Micke Suvanto e compagni, che presentano buona parte dell’ultimo album, sviscerando al meglio certe importanti connotazioni in odore di doom. È un death metal ancestrale e ricco di atmosfera, quello dei Ghastly, che qui vengono coadiuvati da dei suoni ben bilanciati e da giochi di luce tanto sobri quanto azzeccati. Ci aspettavano una performance di spessore da questi musicisti e siamo stati accontentati.
Si cambia poi registro con l’arrivo dei CONCRETE WINDS, anch’essi finlandesi, ma dall’indole decisamente più mordace rispetto ai loro colleghi. Gli ex Vorum si presentano senza bassista, ma evidentemente il trio non reputa necessario tale strumento nell’elaborazione live della propria dinamitarda proposta. Avendo ascoltato il debutto “Primitive Force”, uscito nel 2019, sappiamo già cosa aspettarci a livello sonoro, ma restiamo ugualmente sorpresi nel trovarci davanti a una realtà così affiatata e invasata. Il drumming di Mikko Josefsson si rivela devastante e il barbaro death metal della formazione, a cavallo fra Necrovore e Angelcorpse, riesce a deflagrare all’interno del locale con la massima efficacia. Davvero un set impressionante per precisione e intensità, anche perché i tre non si prendono quasi alcuna pausa dal momento in cui salgono sul palco. Sarà il caso di seguirli con sempre più attenzione dopo questo concerto.
Chi non sorprende sono invece i DEMILICH, ma lo diciamo perché da loro siamo ormai abituati ad esibizioni di altissimo livello. Giustamente investiti del ruolo di headliner di questa serata, i death metaller finlandesi fanno esattamente ciò che ci si aspetta da loro, ovvero la riproposizione del capolavoro “Nespithe”, con l’aggiunta di qualche traccia estrapolata dai demo dei primi anni Novanta. Avendoli ammirati più volte nell’ultimo decennio, siamo ormai a corto di parole per descrivere l’importanza e l’influenza di questa band, fra le prime a rielaborare il death metal in una chiave cerebrale e visionaria, senza tuttavia mai perdere di vista gli elementi base del genere. Antti Boman è un frontman estremamente ciarliero e divertente, ma, quando si tratta di suonare, il suo gruppo è a dir poco serio e rigoroso. Grazie anche alla solita buona acustica del locale, l’impressione davanti al set dei finlandesi è quasi quella di essere alle prese con l’ascolto di un CD, tanto la band è precisa e fedele alle registrazioni. Con quasi un’ora di concerto, in cui spiccano perle come “When the Sun Drank the Weight of Water” e “The Echo”, quello dei Demilich è l’esibizione più lunga della serata, oltre che la più acclamata.
La tradizione vuole che l’ultima giornata del Kill-Town Death Fest sia dedicata alle sonorità più funeree e l’organizzazione non ha voluto fare un’eccezione nemmeno in questa annata particolare. Il piatto forte di sabato 4 settembre è difatti rappresentato dal quartetto che si esibisce all’interno del Pumpehuset, dopo che il pomeriggio ha visto due band – Tardus Mortem e Dead Void – intrattenere gli avventori del beer garden con risultati alterni. La prima esibizione da non perdere è quella dei THE FUNERAL ORCHESTRA, ovvero il progetto funeral doom di Leif Nicklas Rudolfsson, mente dei Runemagick ed ex Sacramentum. Gli svedesi sono tornati nel 2020 con “Negative Evocation Rites”, disco che ha riproposto la loro visionaria e depressiva miscela di death-doom su livelli più che interessanti. Il terzetto, presentandosi con tuniche, maschere e un palco decorato da candelabri e luci fredde, impiega un secondo per attirare l’attenzione di tutti coloro all’interno del locale. Il colpo d’occhio è notevole, ma fortunatamente lo show del gruppo è anche sostanza, con la prova del batterista a rappresentare uno dei punti di maggiore interesse, visto che nella performance vengono regolarmente sfoggiate delle tecniche vicine alla musica classica, soprattutto a livello di utilizzo dei timpani, per aumentare la vena drammatica dei crescendo di atmosfera. Si resta ammaliati davanti a questa cura per i dettagli, tanto che i quarantacinque minuti del set sembrano volare via. Se amate Skepticism o Bell Witch, date un ascolto a questa realtà svedese.
Si sale ulteriormente di livello con i FUOCO FATUO, alla loro seconda apparizione al KTDF. Negli anni trascorsi dalla prima, molto è cambiato in seno alla band italiana, il cui suono è diventato sempre più astratto, profondo e pesante. Con dischi come “Backwater” e “Obsidian Katabasis”, il quartetto lombardo ha definitivamente elaborato un proprio modo di intendere il death/funeral doom, puntando molto su un un flusso sonoro persistente e ipnotico, dove le chitarre si dispongono su più livelli rendendo l’ascolto un’esperienza realmente immersiva. Dal vivo, le sonorità del gruppo acquistano più vigore e fisicità, anche grazie a una presenza scenica tutto fuorché schiva. Con le dovute proporzioni, quando il quartetto si esibisce, il punto di riferimento principale sembrano essere più i Neurosis piuttosto che i Tyranny, cosa evidenziata anche dalla risposta del pubblico, che di certo non resta impassibile davanti alla verve di Milo Angeloni e compagni. Dopo avere approfondito a lungo il suddetto “Obsidian Katabasis” negli scorsi mesi, questo concerto della band italiana ci fornisce ulteriore materiale per sottolineare il valore di una realtà sempre più autorevole nel suo genere.
Parlando di verve e vigore, viene spontaneo andare subito a parlare dei KRYPTS, death metaller finlandesi con il gusto per la trama e la ritmica imponenti. Il quartetto di Helsinki è intoccabile su disco, ma lo è ormai anche dal vivo, grazie a un’esperienza consolidatasi negli anni, tour dopo tour. Per questa serata a Copenhagen, il gruppo sembra inoltre che abbia deliberatamente scelto di proporre le canzoni più mastodontiche del proprio repertorio, mettendo momentaneamente da parte gli episodi più snelli e ‘orecchiabili’. Veniamo così travolti da una colata di death-doom cupissimo, con chitarre grosse come una casa e il growling di Antti Kotiranta sempre più profondo e spietato. Un vero e proprio wall of sound che mette a dura prova anche i fan più sfegatati: si arriva infatti alla fine del concerto profondamente stremati, oltre che appagati. “Entrailed to the Breaking Wheel” resta il manifesto di questo mondo torbido in cui i Krypts ci hanno fatto sprofondare per circa tre quarti d’ora.
Giusto il tempo di rifiatare ed è già tempo di applaudire l’entrata in scena degli headliner dell’intero festival: i GRAVE MIASMA giungono a Copenhagen fra il sollievo generale, dopo che un infortunio al chitarrista Tom McKenna li ha costretti poche settimane fa a posticipare il release party del nuovo “Abyss Of Wrathful Deities”. Per fortuna la band britannica arriva al completo e in ottima forma, ansiosa di presentare dal vivo le composizioni di questa sua ultima e acclamata fatica. Abbiamo avuto la possibilità di assistere a concerti dei death metaller londinesi parecchie volte nel corso degli anni, ma questa sera è evidente come il gruppo abbia più voglia e fame che mai. Il lockdown ha stremato tutti, compresi questi musicisti, e le prime canzoni del set sono un urlo liberatorio dopo un anno e mezzo di apnea. Enorme il tiro del quartetto, guidato da un Yoni Ben-Haim in stato di grazia, pienamente padrone del ruolo di chitarrista e frontman della sua band: questa sera la soddisfazione deve essere tanta e non è un caso che l’integrazione fra lui e il pubblico sia più regolare e disinvolta del solito. La natura più ‘metallara’ dei brani dell’ultimo album fa il resto: la platea, davanti ai riff e alle ritmiche più violente e dirette del materiale recente, si muove con istintività e accompagna la band senza tirarsi indietro, anche se, a conti fatti, uno dei pezzi più acclamati della scaletta risulta essere la vecchissima “Glorification of the Impure”. In generale, i Grave Miasma legittimano la posizione di headliner con una prova sontuosa, tra le migliori di questa edizione e non solo. Serviva qualcosa del genere prima di salutarsi e darsi appuntamento al prossimo anno, più che mai convinti che la dimensione live sia fondamentale per lo sviluppo e l’affermazione di questo panorama musicale.