01-04/09/2022 - KILL-TOWN DEATH FEST 2022 @ Pumpehuset - Copenaghen (Danimarca)

Pubblicato il 06/10/2022 da

Report di Luca Pessina

Chi muore si rivede. Volendo ricollegarci a quell’immaginario horror tanto caro al genere, ci piace storpiare il famoso detto per parlare del ritorno di quello che ormai è diventato uno dei principali eventi death metal a livello mondiale. Lo avevamo lasciato un anno fa, con un’edizione un pochino improvvisata – limitata nel numero di band e nella durata dall’emergenza sanitaria legata al Covid-19 – ma quest’anno il ritorno del danese Kill-Town Death Fest è avvenuto finalmente in grande stile, con quella line-up (solo leggermente modificata) che avrebbe inizialmente dovuto esibirsi nel 2020. Il Pumpehuset, locale centralissimo, a pochi minuti dalla stazione centrale di Copenhagen, è stato ancora una volta scelto per ospitare l’evento, così come sono rimasti immutati la programmazione e l’organizzazione interna, con due palchi – il main e il black stage – ad ospitare una band dopo l’altra dal pomeriggio fino a tarda sera, per un programma fittissimo che ha certo finito per mettere a dura prova le energie degli avventori più appassionati all’aspetto live del festival. Parlando quindi di pubblico, si è notato come, rispetto agli ultimi anni, il Kill-Town Death Fest sia risultato un po’ meno affollato del solito: la cosa curiosa è che il festival ha registrato il sold-out già un paio di anni fa, ma evidentemente da allora le cose sono cambiate per una buona fetta di possessori di biglietti, i quali nel frattempo non devono essere riusciti a trovare il tempo o le risorse economiche necessarie per presenziare effettivamente all’evento nel 2022. A detta dell’organizzazione, circa un terzo di coloro che avevano acquistato l’abbonamento per il weekend non si sono presentati a ritirare il loro braccialetto – e in effetti nelle settimane precedenti all’apertura i canali social del KTDF erano pieni di annunci di persone che cercavano di rivendere il proprio biglietto. Così, pur essendo tecnicamente ‘tutto esaurito’, il Pumpehuset e la sua area esterna non sono mai apparsi veramente gremiti, se non all’altezza di un paio di concerti. Detto che è probabile che ciò possa avere avuto un impatto sulla cassa del bar e sulle vendite di merchandise da parte degli artisti, la cosa non ha insomma avuto grandi ripercussioni sul festival in sé, il quale ha comunque portato a casa il massimo dell’introito sul fronte biglietti. L’edizione 2023 non è insomma a rischio, anche se forse il cosiddetto caro vita e le nuove ben più salate bollette potranno far desistere alcuni dei soliti affezionati, se nel frattempo le cose non dovessero migliorare. In ogni caso, volendo soffermarci sull’edizione 2022, possiamo dire ancora una volta che sul fronte prettamente artistico e organizzativo il Kill-Town Death Fest sia stato un grande successo. Non esiste al mondo un festival in grado di coniugare passione per l’underground e cura per i dettagli nell’allestimento di un happening estremamente professionale come questo piccolo, grande evento danese. Chi è stato anche solo una volta da queste parti sa che un concerto death metal visto in questo contesto ha raramente eguali, soprattutto a livello di resa sonora e coinvolgimento da parte del pubblico. Non possiamo quindi che augurarci che la sigla KTDF e i primi dettagli sulla prossima edizione tornino preso a dominare il nostro personale calendario del 2023. A meno di veri e propri cataclismi, tra circa dodici mesi potrete trovarci di nuovo in quel di Copenhagen.

GIOVEDÌ 1 SETTEMBRE

Il programma di giovedì vede una partenza in punta di piedi: i MORTAL WOUND sono infatti una realtà che ha ancora tanto da dimostrare, avendo sinora pubblicato soltanto un demo e uno split con gli australiani Gutless. I californiani hanno addirittura l’onore di esibirsi sul main stage, ma il concerto non sembra decollare più di tanto, vuoi per la relativa inesperienza del quartetto, vuoi per un repertorio che sembra ancora sin troppo legato a certe classiche coordinate (Cannibal Corpse, Morbid Angel, Obituary) e incapace di fornire guizzi esaltanti. Si cambia passo con gli ASCENDENCY, realtà locale ‘imparentata’ con gruppi come Taphos, Pherenelith e Hyperdontia. Curiosamente, il sound del trio è a tratti spiccatamente black metal, cosa che rende i ragazzi una sorta di mosca bianca all’interno del tipico indirizzo del Kill-Town, ma la resa resta senz’altro convincente. Parliamo di musicisti di esperienza e queste sonorità a cavallo tra vecchia scuola svedese e formazioni statunitensi come Profanatica e Demoncy, oltre a essere ben interpretate, forniscono un piacevole cambio di programmo all’interno di una giornata che, come di consueto, sarà fortemente improntata sul death metal. Non a caso, basta poco per ripiombare in un fitto maelstrom death metal: nel giro di una mezz’ora, arrivano i FATHER BEFOULED, orgogliosi alfieri di quel torvo suono di marca Incantation che da tempo spopola nell’underground. Il gruppo statunitense è stato tra i primi a lanciarsi in questo tipo di revival negli anni Duemila, quindi non stupisce vedere davanti al main stage un pubblico tanto curioso quanto preparato sul repertorio del quartetto. Da una band come questa non è il caso di aspettarsi chissà quale presenza scenica, ma l’interpretazione è comunque sicura e pratica, con un Justin Stubbs ben calato nel ruolo di frontman. Certe cadenze più vicine alla vecchia scuola doom-death inglese si confermano poi interessanti nel variare la formula di questo cupissimo assalto sonoro.
Da un approccio giustamente parecchio serioso, passiamo quindi a qualcosa di leggermente più scanzonato con l’arrivo degli SNĚŤ, giovane realtà di Praga molto attiva negli ultimi tempi. Il debut album “Mokvání v Okovech” è uscito nella primavera 2021 e da allora il gruppo ceco ha fatto il possibile per promuoverlo in lungo e in largo. In effetti, la band che ci troviamo davanti appare molto rodata, con un frontman che sa come tenere il palco e interagire con la platea. Il piccolo Black Stage si rivela perfetto per uno show così intenso, con il pubblico che viene più volte invitato a fare stage diving e a vivere le canzoni nella maniera più ‘fisica’ possibile. C’è molto dei primi Undergang nell’impatto del quintetto, ma i brani denotano una certa varietà a livello compositivo, spingendosi ora in territori più tecnici, vicini a certa scuola finnica, ora verso soluzioni più ignoranti di marca Autopsy. Ne viene fuori un concerto molto divertente.

Sul main stage, tocca quindi agli INTERMENT, band che invece è stata ben poco attiva negli ultimi tempi. Al di là delle problematiche legate al Covid, “Scent Of The Buried”, l’ultimo full-length degli svedesi, risale al 2016 e da allora non sembra che stia stato fatto molto per mantenere vivo il nome Interment tra gli appassionati. In ogni caso, la formazione resta un punto fermo in quel filone swedish death metal vecchia scuola e lungi da noi mettere in dubbio la validità di un repertorio che da sempre è tra i migliori del genere. Questo è il primo show dopo oltre due anni per Johan Jansson e soci, ed è evidente l’entusiasmo con cui il gruppo si lancia nella performance: poche le pause tra un brano e l’altro, tanta foga e una risposta da parte del pubblico che cresce con il passare dei minuti. Sempre un piacere riascoltare piccoli classici come “Morbid Death” o “Torn from the Grave”.

Dopo questa botta prettamente svedese, scendiamo nuovamente al piano di sotto per seguire i SEPTAGE sul palco minore. Il gruppo con base a Copenhagen non ha ancora pubblicato un vero e proprio album, tuttavia nell’ultimo biennio è riuscito a crearsi una solida reputazione grazie ad un paio di EP e a numerose date live in tutta Europa. Anche questa sera percepiamo un forte interesse attorno al trio, abile nel concepire un death-grind che sa risultare colmo di elementi diversi e al tempo stesso rapido e impattante. Vi è una certa ricerca dietro il songwriting di questa giovane realtà, e siamo curiosi di potere ascoltare il primo full per avere un quadro migliore delle sue potenzialità. Intanto questa sera ci resta un’altra bella impressione delle sue doti sulle assi di un palco.
Chiudiamo questa tappa inaugurale del festival davanti ai MORTA SKULD, esponenti della prima ondata americana, pienamente resuscitati negli ultimi tempi dopo che sul finire degli anni Novanta si erano del tutto perse le loro tracce. Il gruppo di Milwaukee può contare su un piccolo classico come “Dying Remains”, pubblicato dalla Peaceville nel 1993, mentre il resto del repertorio non ha goduto di chissà quale fortuna. Saggiamente, i death metaller statunitensi puntano soprattutto sul debutto per imbastire questa performance conclusiva, andando a rispolverare la title-track, “Useless to Mankind” e varie altre tracce. Se l’esecuzione è praticamente impeccabile, sorge invece qualche dubbio sulla presenza scenica e l’attitudine della band, le quali talvolta danno l’idea di essere un po’ fuori contesto. Le battute del chitarrista/cantante Dave Gregor e i continui inviti a battere le mani e a cantare in coro non vengono accolti con grande entusiasmo da parte di una platea che da queste parti è abituata ad un fare più serioso e truce: certi espedienti da frontman consumato probabilmente renderebbero meglio davanti al pubblico degli Amon Amarth, mentre al Kill-Town si tende a preferire un atteggiamento più sobrio. Detto questo, nulla da dire sulla resa complessiva del concerto: da un punto di vista strettamente tecnico, quello dei veterani americani è stato senza dubbio il concerto migliore della giornata.

VENERDÌ 2 SETTEMBRE

In questo venerdì si fa sul serio sin dall’inizio. Si parte infatti con i BURIAL INVOCATION, completamente spariti dai radar poco dopo la pubblicazione del debut “Abiogenesis” (2018), ma evidentemente ancora vivi e vegeti. La band turca si esibisce in una sala principale già piuttosto gremita, con l’ex chitarrista Mustafa Gürcalioğlu (oggi in Diabolizer, Hyperdontia, Engulfed e Decaying Purity) particolarmente attivo in prima fila nel sostenere i suoi amici. I Burial Invocation sono state tra le prime scoperte del Kill-Town, avendo partecipato alle storiche prime due edizioni una dozzina di anni fa, e per loro è un po’ come tornare a casa, anche perché nel frattempo il loro tipo di death metal – legato all’oscura vecchia scuola degli Incantation e talvolta incline a derive doom – ha fatto il cosiddetto boom nell’underground. I ragazzi, pur non brillando per presenza scenica, si rendono quindi protagonisti di una prova sicura e ispirata, ben supportata da un pubblico che evidentemente attendeva di vederli da qualche anno. Contiamo ora in un nuovo album in tempi brevi. Scendiamo poi davanti al Black Stage per testare la solidità dei DEATHCULT, tornati quest’anno con il convincente “Of Soil Unearthed”. I death metaller svizzeri sono certamente più istintivi e viscerali dei loro colleghi turchi, ma, come sottolineato in sede di recensione, è indubbio che i loro pezzi presentino spesso strutture piuttosto ricercate e uno sviluppo imprevedibile. Accanto a delle venature thrash, la band è capace di piazzare soluzioni più pesanti e atmosferiche, facendo perdere all’ascoltatore ogni punto di riferimento. Avendoli visti all’opera su un palco qualche anno fa, sappiamo già cosa aspettarci dalla formazione elvetica, eppure quest’oggi restiamo ugualmente ben impressionati dalla resa della sua proposta, con il repertorio del nuovo album che trova un’ulteriore marcia in più nel contesto live. Non ci sono pause e torniamo al piano superiore per ammirare gli INNUMERABLE FORMS, al loro esordio assoluto in Europa. La death-doom metal band statunitense, la quale è in procinto di pubblicare il nuovo album “Philosophical Collapse”, può già godere di un certo hype da queste parti e questa atmosfera particolarmente favorevole sembra andare a rafforzare ulteriormente il temperamento del quintetto, che si lancia in una prova molto intensa e aggressiva. Dal vivo, la componente doom risalta meno ed emerge invece il lato più death metal, oltre a quello hardcore del frontman Justin DeTore, le cui movenze aggressive tradiscono facilmente il suo background nel panorama HC di Boston. Curioso vedere un cantante tanto attivo sul palco, mentre in sottofondo la musica cita Abhorrence e primissimi Anathema, ma il tutto ha il suo fascino e di certo aiuta gli Innumerable Forms a spiccare tra altre realtà simili. Con una line-up composta da veterani dell’underground statunitense, è scontato che la resa live sia notevole – e infatti la band si congeda fra gli applausi.

Sul Black Stage tocca quindi ai KOMMAND, altro giovane gruppo americano, attualmente in forza al roster della Maggot Stomp. I ragazzi hanno membri in comune con i Mortal Wound, esibitisi il giorno precedente, ma l’approccio di questa band è più duro e massiccio, con un sound quasi sempre votato a un tributo ai primi Bolt Thrower. Se da un lato i rimandi ai maestri britannici possono sembrare leggermente troppo insistenti, dall’altro si apprezza la compattezza e il tiro dei brani, i quali vanno dritti al punto sfruttando al massimo l’impatto dal vivo. Restiamo su livelli di intensità importanti con gli HYPERDONTIA, band passata rapidamente dallo status di promessa a quello di realtà grazie a un paio di album assai ben accolti e ad una lunghissime serie di date in tutta Europa. Il combo turco/danese – passato anche in Italia di recente – gioca praticamente in casa e ha dunque vita facile nell’attirare su di sé le attenzioni della platea. Mustafa Gürcalioğlu è un gran chitarrista, ma anche Mathias Friborg (già visto nella prima giornata con gli Ascendency) è migliorato molto nelle vesti di cantante/chitarrista. Parliamo di death metal nella sua accezione più urgente e ‘riffata’ e tracce come “A Vessel Forlorn” o “Teeth And Nails” denotano tutta la maestria del quartetto nell’architettare un suono teso e affilato, in cui i riff si rincorrono e i cambi di tempo si accavallano costantemente. Una prova esaltante che conduce a uno show altrettanto vigoroso da parte dei GOREPHILIA: i finlandesi sono un altro nome noto qui e non è quindi un caso vedere la sala del Black Stage gremita e ansiosa di gustare il lugubre death metal del quartetto nordico. Con il passare degli anni, la proposta dei Gorephilia ha assunto un tono sempre più marziale – andando a mettere al centro forti influenze Morbid Angel – e questo riffing più quadrato e spigoloso, particolarmente protagonista sull’ultimo “In The Eye Of Nothing”, rende alla grande in sede live. Le prime file si animano e l’headbanging ha inizio, generando un divertente muro di chiome ondulanti davanti al palco.
Quest’anno al Kill-Town è vietato sedersi, e infatti torniamo davanti al palco principale per vedere i CEREBRAL ROT, anch’essi, come gli Innumerable Forms, appena arrivati in Europa per il loro primo tour europeo. Abbiamo visto i ragazzi di Seattle al Maryland Deathfest qualche mese fa, ma il contesto open air – per giunta nel primo pomeriggio – non aveva reso piena giustizia alla proposta della formazione. Questa sera però le cose vanno diversamente: il suono è più pieno e potente, e il buio del locale sembra amplificare le atmosfere morbose del death metal del quartetto americano. Torsi nudi e facce poco raccomandabili fanno da gradito extra in uno show già di per sé estremamente rozzo e violento, dominato dall’enorme figura del cantante/chitarrista Ian Schwab, il quale lancia lattine di birra al pubblico rischiando ogni volta di centrare qualcuno in pieno viso. Se i pezzi di “Odious Descent Into Decay” e di “Excretion Of Mortality” godono già di un tiro enorme su disco, dal vivo, soprattutto in un locale come questo, il tutto prende una piega ancora più ignorante. Sapevamo che al Kill-Town la band si sarebbe superata e possiamo dire di averne avuto conferma.

Esibirsi dopo dei ‘mostri’ come i Cerebral Rot non deve essere semplice, ma gli ASTRIFEROUS viaggiano sulle ali dell’entusiasmo, essendo arrivati al festival direttamente dal Costa Rica. Abbiamo seguito la band negli ultimi tempi e il suo death metal old-school dai risvolti tenebrosi, spesso modellato sugli insegnamenti di una realtà contemporanea come i Cruciamentum, ci ha già convinto in studio grazie al buon EP “The Lower Levels Of Sentience”. Questa sera però il gruppo ci fa anche il piacere di presentare in anteprima alcuni brani che andranno a far parte del suo primo album e, pur davanti a dei suoni non ottimali, riusciamo a cogliere una certa evoluzione nella proposta, con vari spunti e riff che denotano una felice ispirazione. Con gli ACEPHALIX, invece, parliamo – con piacere – di regressione, visto che la band californiana resta tra gli esponenti più ignoranti della scena death metal vecchia scuola contemporanea, avendo quasi sempre dato un certo peso al proprio bagaglio crust hardcore e a una sfrontata attitudine hardcore/punk. Il gigantesco frontman Daniel Butler è il vero mattatore della serata: già visto da queste parti con i Vastum anni fa, il cantante replica il medesimo, folle show di allora attirando su di sé l’attenzione di tutti gli astanti, macinando chilometri su e giù per il palco e lanciandosi fra i fan continuamente. Non si può neanche parlare di vero e proprio stage diving perché in molti casi il pubblico nemmeno riesce a sollevarlo propriamente, vista la notevole stazza, ma tutto però contribuisce ad amplificare il caos e il tono sprezzante del concerto, dove la musica finisce a tratti per fare da contorno alle peripezie di Butler. In ogni caso, gli Acephalix suonano con indubbia padronanza e soprattutto i brani del celebre “Deathless Master” riscuotono un grande successo tra un pubblico pienamente rivitalizzato dalla verve del quartetto americano.

SABATO 3 SETTEMBRE

Il sabato è da sempre la giornata più fitta e corposa del festival. I concerti partono nel primo pomeriggio, con un paio di esibizioni nel piccolo palco esterno, praticamente in mezzo al cortile e al beer garden situati fuori dal locale. Da questi show – tenuti in un contesto rumoroso e un po’ disordinato – di solito non è il caso di aspettarsi molto, ma ci sono puntualmente delle eccezioni. Fra queste segnaliamo oggi gli HARROWED, giovane band guidata da Adam Lindmark, ex batterista dei Morbus Chron. I ragazzi svedesi hanno per ora pubblicato solo un demo e uno split, ma il set di quest’oggi ci ha fatto subito prendere nota del loro nome: con un sound a metà strada fra death metal, punk e un’inventiva che ricorda le tentazioni prog del vecchio gruppo di Lindmark (almeno a livello di struttura e durata media dei brani), gli Harrowed hanno destato l’interesse di parecchi astanti, lasciando un gran ricordo della loro abilità nel combinare spunti decisamente ‘dritti’ e aggressivi con continui avvitamenti e cambi di tempo. Una simile inclinazione a mescolare le carte la si percepisce ascoltando anche i CRYPTIC BROOD, realtà più esperta, anche se mai davvero emersa dal giro underground. I tedeschi sono noti per il loro approccio apparentemente brusco, figlio del classico suono Autopsy, ma su questa base senza fronzoli il trio è solito inserire diverse variazioni sul tema e qualche estemporanea finezza a livello tecnico, mostrando una certa intraprendenza soprattutto nella sezione ritmica. Ogni tanto possono venire alla mente i più fortunati Obliteration, ma il livello dei norvegesi risulta ancora un pochino fuori portata per il comunque volenteroso gruppo di Wolfsburg; certe canzoni funzionano meglio di altre e in generale si ha la percezione che il terzetto debba ancora lavorare un po’ su alcune transizioni. Dopo questa seconda esibizione ‘esterna’, entriamo nel locale per assistere al concerto dei redivivi ENGULFED, altra vecchia conoscenza del Kill-Town, recentemente resuscitata dallo stacanovista Mustafa Gürcalioğlu. Il quartetto turco – in cui, oltre al suddetto chitarrista, militano membri dei Burial Invocation – è da sempre autore di un death metal dalle venature black, sulla scia di certe composizioni dei Dead Congregation o delle cose più ferali dei maestri Incantation. Il recente EP “Vengeance Of The Fallen” ci ha ripresentato la band in ottima forma e siamo felici di poter assistere a questo estemporaneo comeback sul palco, dove i ragazzi tirano fuori il meglio del loro repertorio. Di certo l’affiatamento non è quello di una formazione abituata ad andare in tour come gli Hyperdontia, ma la resa degli Engulfed è comunque soddisfacente, soprattutto all’altezza di brani come “Rites Of Abandoned Heretics” e “Inseminated With Demon Seed”.

Sul Black Stage si esibiscono poi i PROSCRIPTION, il gruppo guidato da Terry ‘Christbutcher’ Clark, ex frontman dei mostruosi Maveth, tra gli altri. La band finlandese/americana ha dato alle stampe un notevole debut album un paio di anni fa, restando nel solco di quel blackened death metal più volte associato all’operato del succitato cantante/chitarrista. Purtroppo questa sera le cose non girano al meglio per la formazione, dato che i suoni del palco si rivelano molto impastati, inghiottendo a fasi alterne chitarre e voce. È una situazione che capita di rado al Kill-Town Death Fest e che purtroppo non viene risolta nei giusti tempi dal fonico, compromettendo così la resa del concerto. Va invece meglio ai FACELESS BURIAL, realtà che sta gradualmente emergendo dal remoto underground e raccogliendo sempre più consensi. Siamo lontani dagli exploit di gente come Blood Incantation, ma è lampante come il nome degli australiani stia circolando con più insistenza negli ultimi tempi. Il gruppo è al primo tour europeo e sta già promuovendo il nuovo album “At The Foothills Of Deliration”, in uscita a ottobre, ma disponibile in quantità limitate al banco del merchandise. I ragazzi sembrano tutto fuorché dei truci death metaller, ma la musica parla da sola: sul palco principale i suoni sono una garanzia e il trio si esibisce con disinvoltura, replicando quella sensazione di espansività già trasmessa con un disco come “Speciation”, con un suono tecnico, dalle molteplici influenze, ma ricco di spunti orecchiabili. Molta gente assiste al concerto e si ha definitivamente l’impressione che il disco in dirittura d’arrivo potrebbe essere quello del definitivo salto di qualità, almeno in termini di popolarità, per la band di Melbourne.
Si parla invece di vecchia scuola e ignoranza con i SIJJIN, il nuovo gruppo di Malte Gericke, ex frontman dei Necros Christos. Con questa nuova realtà il musicista tedesco ha lasciato da parte le complesse architetture di album come “Doom Of The Occult” e “Domedon Doxomedon”, a favore di un revival che prende direttamente le mosse dai primi lavori di Morbid Angel e Possessed. Il trio tedesco/spagnolo questa sera riprende il grosso del debut album “Sumerian Promises”, lanciandosi in una performance tanto furente quanto sguaiata, dominata da echi di classici come “Immortal Rites” o “Chapel Of Ghouls”. Non vi è niente (o quasi) da interpretare in uno show come questo; c’è solo da apprezzare la verve e la compattezza di un terzetto che ha suonato parecchio negli ultimi tempi, raggiungendo un affiatamento invidiabile.
Torniamo quindi davanti al main stage per seguire i DEAD CONGREGATION, assoluti pesi massimi del death metal contemporaneo, di nuovo protagonisti al KTDF dopo quasi un decennio dall’ultima apparizione. La band greca si sta come sempre prendendo il suo tempo sul fronte discografico, tanto che sono già trascorsi otto anni dall’uscita dell’ultimo full-length “Promulgation Of The Fall”, ma a livello di attività live il quartetto di Atene non ha mai fatto un passo indietro, facendosi trovare pronto a ogni appuntamento. Questa sera non fa eccezione: il gruppo sfodera una performance sontuosa, andando a coprire scrupolosamente ogni capitolo della propria discografia, denotando puntualmente forza, precisione e totale coinvolgimento. Nel set di un’ora, risplende la mostruosa “Redemptive Immolation”, lunga traccia inclusa nell’EP “Sombre Doom”, raramente suonata live ma massimo esempio di tutti gli elementi cardine del suono della band ellenica.

Passiamo da una garanzia a un’altra scendendo le scale per assistere allo show dei CONCRETE WINDS. I finlandesi non sono chiaramente ancora al livello di influenza e popolarità dei Dead Congregation, ma da loro si sa già cosa aspettarsi in sede concertistica. Dopo avere impressionato nell’edizione dello scorso anno, i finlandesi riprendono il discorso quest’oggi, sfoderando un’altra prova parossistica, al limite del delirante. Gli ex Vorum stanno coniando un suono particolarmente frenetico e violento, unendo elementi death, black e grindcore: se su dischi come “Primitive Force” e “Nerve Butcherer” la forza scardinatrice della proposta è certamente lampante, dal vivo il tutto prende una piega al limite dell’assurdità, con il batterista Mikko Josefsson campione nel far apparire certe soluzioni un gioco da ragazzi. Spingendo così tanto sull’acceleratore, la band arriva spesso a un passo dal risultare troppo monotona, ma il cambio di passo è sempre dietro l’angolo in brani che comunque non eccedono mai nel minutaggio.
Dopo questa sferzata finnica, il set degli ASPHYX è accolto quasi come una boccata d’aria, visto che sappiamo che le ritmiche rallenteranno di parecchio. I veterani olandesi sono un nome ricorrente nei cartelloni dei festival europei, ma è sempre un piacere assistere a un loro concerto, anche se il buon Martin van Drunen inizia a sentire il peso degli anni. Al di là di qualche sproloquio di troppo, alimentato dalle numerose birre bevute prima e durante il concerto, la prova del frontman e dei suoi Asphyx è senz’altro convincente; del resto, la band va sul sicuro, sfoderando i classici di “The Rack”, “Last One On Earth” e “Death… the Brutal Way”, senza ovviamente dimenticare qualche accenno agli ultimi lavori. Tra questi, rende bene la serrata “Botox Implosion”, posta in apertura e subito ben accolta dalla platea. Ci piacerebbe ogni tanto ascoltare qualche brano più di nicchia, ma il contesto festival e i vincoli sulla durata dell’esibizione hanno sicuramente una certa influenza sulle scelte del gruppo. Poco male, in ogni caso: il death metal ‘da stadio’ degli Asphyx resta sempre una garanzia.
Pur accarezzando l’idea di un riposino nel retro della mente, è invece già il turno dei WITCH VOMIT, il cui ultimo EP “Abhorrent Rapture” è stato uno degli highlight death metal del 2021. Si parla dei ragazzi statunitensi come di una grande live band e ne abbiamo subito conferma dopo un paio di brani della loro performance. Se la proposta del quartetto di Portland è già di per sé avvincente nel suo concedere pochi punti di riferimento a livello stilistico (si mescolano scuola americana e varie tendenze europee, evitando di soffermarsi troppo su un singolo tema), con la verve con cui i ragazzi interpretano il materiale sul palco il tutto prende una piega ancora più potente. Non a caso, il pubblico davanti al Black Stage si esalta tantissimo, riportando alla mente alcuni concerti delle passate edizioni particolarmente concitati e fortunati, come quelli dei connazionali Mortuous e Torture Rack.

A questo punto, sarebbe la volta dei VANHELGD, attesissimi dopo vari album di notevole caratura e un’attività live purtroppo mai particolarmente costante. Invece tocca rimandare per l’ennesima volta l’appuntamento con la death metal band svedese: in mattinata uno di loro è risultato positivo al Covid e il gruppo è quindi stato costretto ad annullare la propria partecipazione. Non resta che augurarsi che lo show venga recuperato il prossimo anno.

DOMENICA 4 SETTEMBRE

Un tempo la domenica el Kill-Town veniva denominata Gloomy Sunday, per indicare il carattere più grave e pesante delle band invitate ad esibirsi nell’ultima giornata dell’evento. Quest’anno, tuttavia, pare che si sia deciso di sorvolare su tale dicitura, forse perché non tutto il cartellone previsto è così spiccatamente doom. Quel che è certo, comunque, è che gli ENCOFFINATION potrebbero tranquillamente rientrare fra le band da ‘Gloomy Sunday’ definitive. Il progetto di Justin Stubbs (frontman dei Father Befouled) prende infatti gli spunti più lenti e lugubri di gente come Incantation, Disembowelment ed Esoteric, facendoli confluire in un sound volutamente spoglio ed essenziale. Sul palco troviamo solo il chitarrista/cantante e il batterista, e lo ‘spettacolo’ prende presto una piega ipnotica, facendo leva esclusivamente sui riff pachidermici di Stubbs, il suo growling e i tocchi secchi della batteria. Accade davvero poco in questa proposta tanto pesante, ma per molti il ‘bello’ sta proprio in questo, nel lasciarsi soffocare da un muro di suono che punta solo a opprimere l’ascoltatore. Chi desidera qualcosa di leggermente più movimentato lo trova, almeno a tratti, nei CAVURN, piccola meteora dell’underground statunitense, sinora autrice di un solo demo vecchio ormai di cinque anni. Il gruppo aveva fatto parlare di sé nel 2017, grazie alla suddetta ben accolta prima prova in studio, ma da allora è praticamente sparito dai radar. Quest’oggi, comunque, possiamo godere di una performance più che dignitosa da parte del quartetto americano, con brani devoti a un death-doom che ricorda parecchio la formula degli Spectral Voice di “Necrotic Doom”. Ci si chiede se questa estemporanea apparizione al Kill-Town sia il preambolo ad un ritorno più deciso, con nuova musica o magari un vero e proprio debut album, ma intanto i cultori dell’underground qui presenti possono iniziare con il togliere il nome Cavurn dalla lista delle band da vedere in concerto.

Tra le ‘chicche’ di questa edizione del KTDF vanno quindi annoverati gli ETERNAL DARKNESS, un’altra ‘meteora’ del mondo death-doom, in questo caso risalente agli anni Novanta. Gli svedesi rilasciarono un pugno di demo all’insegna di un death-doom stilisticamente vicino a primi Paradise Lost, Gorement e Cemetary tra il 1991 e il 1992, prima di ritirarsi; nel 2019 è quindi venuta loro voglia di riprovarci e questa esibizione a Copenhagen è fra le prime date live di una reunion certo non celebratissima, ma nondimeno sfiziosa per chi ha sempre guardato con interesse alle varie ramificazioni del vasto underground svedese. Purtroppo va detto che la line-up attuale del gruppo necessita ancora di un po’ di rodaggio per reggere il confronto con il resto delle formazioni presenti all’evento: è normale avere un po’ di ruggine dopo tutto questo tempo, ma gli svedesi ci mettono anche del loro con pause troppo lunghe e qualche episodio francamente imbarazzante – come, ad esempio, quando durante la cover di “Eternal” dei Paradise Lost, il cantante Janne Heikkinen estrae dalla tasca il telefono per leggere e ricordarsi il testo della canzone. Quasi superfluo sottolineare come queste siano cose che non dovrebbero verificarsi in un concerto di questo livello. Dopo la curiosa esibizione degli Eternal Darkness, si torna al presente con lo show dei CARCINOID, death metaller australiani con un album e un paio di split all’attivo. Siamo davanti a un ibrido di death e death-doom vecchia scuola, dai riff molto quadrati e dall’incedere essenziale. Vengono ogni tanto alla mente i Cianide durante l’ascolto, anche se i ragazzi di Melbourne sembrano attingere anche da soluzioni più moderne. In generale, si apprezza la presenza scenica del gruppo, che fa muro davanti al pubblico e regala un bel colpo d’occhio, denotando una certa intesa e solidità; il songwriting invece, pur valido nel complesso, ha senza dubbio margini di miglioramento, soprattutto a livello di personalità. Di altra pasta, ovviamente, i KRYPTS, ormai di casa al Kill-Town e sempre attesissimi da questa platea di appassionati. Pare che la linea aerea abbia perso i bagagli del quartetto nel trasferimento a Copenhagen, ma i finlandesi riescono a spazzare via tutto anche con della strumentazione prestatagli da altri gruppi. Dopo tutto, la line-up è molto solida da tempo e, in generale, la band non è assolutamente nuova a questo palco e a questa platea. Il growling di Antti Kotiranta appare sempre una spanna sopra quello degli altri frontman, ma anche il suono è generalmente più pieno e profondo di quello di tante altre realtà affini. Dal vivo, i Krypts acquistano sempre in potenza, senza al contempo perdere nulla in atmosfera. Death-doom da fuoriclasse, per un set che si chiude in maniera esemplare con una “Beneath The Archaic” più maestosa che mai. Dal canto loro, i BLOODSOAKED NECROVOID danno l’idea di voler inserirsi nel medesimo filone dei più affermati colleghi finlandesi: abbiamo apprezzato il loro debut album “Expelled Into The Unknown Depths Of The Unfathomable” e ci fa piacere potere testare l’impatto live di questa promettente formazione proveniente dal Costa Rica. Il Black Stage viene lasciato al buio durante il set del terzetto, il quale ha un paio di membri in comune con gli altrettanto interessanti Astriferous. Qui, come accennato, ci spostiamo maggiormente sul filone Krypts/Spectral Voice (senza ovviamente scordarci dei padri Disembowelment), uno stile che Federico Gutiérrez e compagni dimostrano di saper maneggiare già piuttosto bene, con pezzi sì lunghi, ma piuttosto equilibrati fra partiture arrembanti e altre più riflessive. In certi momenti la performance della band sembra mancare un po’ di ritmo, con qualche pausa non gestita al meglio, ma forse a questo punto della serata è anche il pubblico a sentire un po’ di stanchezza. Serve tuttavia restare svegli, perché il concerto dei MORTIFERUM è un altro degli highlight dell’edizione 2022 del KTDF. La death-doom metal band statunitense è alla sua seconda apparizione a Copenhagen, ma questa è la prima volta in cui il suo nome viene elencato tra gli headliner. Sembra trascorsa una vita dall’uscita del demo “Altar Of Decay”: da allora il gruppo ha azzeccato sia il debut album che il suo successore – l’acclamato “Preserved in Torment” – arrivando a suonare in numerosi eventi di rilievo sia in Nordamerica che in Europa. Abbiamo ancora ottimi ricordi dello show al Maryland Deathfest di qualche mese fa, e oggi i Mortiferum replicano restando sullo stesso alto livello, rendendosi protagonisti di un concerto intenso, serrato nei ritmi e al contempo curato nell’esecuzione. Si vede che la band è stata in tour per gran parte dell’anno: una tale compattezza la si raggiunge soltanto suonando ogni sera per diverse settimane di fila. Tra una “Exhumed From Mortal Spheres”, una “Incubus Of Bloodstained Visions” e una “Altar Of Decay”, difficile scegliere l’apice dello show. Di certo, però, si può dire che quello del gruppo di Olympia sia tra i migliori concerti di questa edizione del festival.

Ai VOID ROT spetta quindi il compito di chiudere serata ed evento: i ragazzi di Minneapolis non possono avere la stessa solidità dei loro connazionali proprio perché hanno avuto meno opportunità di andare in tour, ma il loro repertorio resta di alto livello, rendendo lo show interessante dal principio alla fine. La band americana parte da basi simili a quelle di Mortiferum e Krypts, ma sta evidentemente cercando di personalizzare il proprio songwriting, aprendosi a partiture più fumose e riflessive, con qualche dissonanza che va ad aggiungere un’ulteriore dimensione al death-doom originario. Il recente singolo “Telluric Dismemberment” ha tracciato una nuova via per il gruppo e speriamo di poter ritrovare certe soluzioni anche su un lavoro più corposo. Intanto, questa sera, nonostante la stanchezza si faccia decisamente sentire, restiamo soddisfatti davanti a una prova senza dubbio compatta e sentita, che va a chiudere un Kill-Town mai così fitto di concerti; forse in futuro sarà il caso di studiare una scaletta leggermente meno densa, in modo da dare al pubblico qualche opportunità in più per rilassarsi e godersi gli altri aspetti del festival, ma è anche vero che davanti a questa abbondanza e a questa qualità media diventa assai difficile lamentarsi. Per il momento, c’è solo da essere contenti dell’ennesimo successo e restiamo in attesa dei prossimi annunci per il 2023, sicuri che un altro evento di questo calibro sia ampiamente alla portata dell’organizzazione.

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