Report a cura di Simone Vavalà
Come nel 2012, allorché si trovavano in tour per promuovere “MMXII”, i Killing Joke tornano nella splendida cornice della londinese Roundhouse. Come sempre, nella città che ha dato i natali alla band, i quattro sono di casa e, complice il fatto che tale serata sancisca la fine del tour, il sold out era annunciato da settimane. Questa tournée celebra i quarant’anni di carriera dei Killing Joke sotto l’esplicito nome Laugh At Your Peril, e prima del concerto abbiamo avuto modo di chiacchierare con Jaz in merito ai numerosi problemi e pericoli che segnano la società odierna, e su cui – il geniale cantante ne è convinto – c’è ben poco da ridere. Coadiuvata dalla celebrazione di un simile, importante traguardo e dall’assenza di un nuovo album da presentare al pubblico, la scaletta si rivelerà molto ricercata, per la gioia dei fan. In apertura erano previsti due gruppi abbastanza distanti da quanto proposto dalla band di Ladbroke Grove: per primi i Phobophobes, che perdiamo del tutto per la sovrapposizione con la succitata intervista; poi i Turbowolf: uno strano mix di funky, indie e retro-rock che ci sembra solo confermare l’abilità dei Killing Joke nello scegliere sempre band di supporto tutt’altro che indimenticabili… Del resto, i numerosi fan assiepati aspettano solo l’avvio dell’ennesimo ‘gathering’ con questi vecchi e inossidabili punk!
KILLING JOKE
È una intro spettrale e dalla vaga aria esoterica ad accompagnare l’ingresso sul palco della band, i cui membri, coerentemente all’atmosfera rituale che si va preparando, accendono candele sulle casse e salutano il pubblico a mani giunte. Il passaggio verso la morbosa e sulfurea “Unspeakable” è quasi perfetto, e dopo un primo brano relativamente morbido, che già mette però in mostra il tuonante duo ritmico composto da Youth e Big Paul, è il tempo di un paio di tracce trascinanti e danzerecce: “European Super State” e “Eighties” trascinano subito la folla e mettono in mostra una triste certezza, ossia come il nuovo tastierista Roi Robertson (Mechanical Cabaret) funzioni molto meglio di Reza Udhin dietro le macchine: i suoni sono cristallini, i tempi quasi perfetti e quando anche si sovrappongono sample differenti il sound non è mai confuso, come purtroppo accadeva spesso in sede live in precedenza. I due brani succitati sono stati in realtà intervallati da “Autonomous Zone”, il primo di numerosi brani in cui Jaz si rivolge al pubblico con brevi arringhe dal sapore politico e combattivo, in cui mischia l’approccio anarchico alle sue ormai canoniche visioni post-apocalittiche. La band è assolutamente in grande forma, forse il solo frontman risulta ogni tanto in vago affanno, ma con impegno e classe sopperisce ai limiti dell’età nei pochi momenti in cui è richiesta una maggior estensione vocale: vengono così egregiamente riproposti classici immortali come “Requiem” o “Follow The Leaders” (con la giusta deriva dub messa in campo dallo smagliante Youth), o pezzi relativamente più recenti ma suonati più di rado, come “Loose Cannon”. Nonostante venga come sempre ricordato con trasporto, Paul Raven e gli album in cui era presente sono inevitabilmente trascurati e, a parte l’elemento nostalgico, spiace particolarmente vedendo lo stato di grazia della band: Geordie, strafottente e distaccato come suo solito, non sbaglia un riff ma si concede diverse brevi ma efficaci derive acide, mentre il pirotecnico Big Paul dietro le pelli raggiunge livelli di tribalismo che non vedevamo da una decina di anni – e possiamo solo immaginare come avrebbe brillato qualche estratto da “Fire Dances” o “Hosannas From The Basement Of Hell”, in questa occasione. Prima dei bis c’è posto per le mazzate vere e proprie (“Asteroid”) e per quelle più lisergiche (“Labyrinth”), oltre a quasi metà album d’esordio: sugli scudi la ricercata e sporchissima “Bloodsport”, e giù fino alla sciamanica “The Death And Resurrection Show”, termine perfetto ed esaltante del set principale. Ma i quattro (più uno) sembrano inarrestabili e sfondano abbondantemente la loro canonica ora e un quarto di esibizione: c’è un altro ripescaggio da urlo con la cupa e ritmatissima “SO.36”; il singolo per eccellenza per una manciata di minuti quasi romantici (“Love Like Blood”); la doppietta finale costituita da “Wardance” e “Pandemonium” per salutare alla grande il pubblico, a dir poco soddisfatto. Pubblico che non a caso si assiepa in gran numero per acquistare la registrazione in diretta della data, anche se il ricordo sarebbe altrettanto indelebile senza un supporto fisico.
Setlist:
Unspeakable
European Super State
Autonomous Zone
Eighties
New Cold War
Requiem
Bloodsport
Follow The Leaders
Butcher
Loose Cannon
Labyrinth
Corporate Elect
Asteroid
The Wait
Pssyche
The Death And Resurrection Show
S.O.36
Love Like Blood
Wardance
Pandemonium