JOHNNY TRUANT
Annunciati all’ultimo minuto, davvero in pochi sapevano della presenzadei Johnny Truant, inglesotti dinamici e parecchio arrabbiati, chesvegliano a dovere un’audience composta e accaldata, pronta a sfoderareogni energia per gli amati headliner. Con il crine inondato da unabottiglietta di preziosa acqua (il caldo si sente, eccome!) il noisehardcore della band è sconosciuto ai più ma riesce a far presa per leanalogie del sound e le abilità dei performer. Il suono è ad altilivelli, contro le previsioni pessimistiche dei frequentatori dellocale bolognese. Niente male, ma non siamo per nulla ai livelli degliheavyweight che calcheranno le assi dello stage poco dopo…
AS I LAY DYING
Non si scherza con gli As I Lay Dying: hardcore mischiato a un thrashdebitore ai the Haunted per certi versi, in una versione livedecisamente coinvolgente e spietata. Niente clean ad eccezione dellehit “Forever” e “94 Hours”, il growl di Tim Lambesis è incessante esostenuto tra il riffing serrato e i break assassini della band,proposti in resa sonora eccellente e tra le prime esplosioni di moshall’interno della sala ormai gremita. Chi non li conosce li osservazittito e interessato, mentre una fetta di fan è già stata conquistatadalla proposta non originalissima ma sicuramente onesta e coinvolgente.Una “Confined” da urlo, tratta dall’imminente “Shadows Are Security”,suggella una prova di standard sicuramente elevato.
KILLSWITCH ENGAGE
L’impatto coi Killswitch è devastante: violenza, dinamismo, tecnica e chorus avvolgenti le armi nelle loro mani. Se su disco sprigionano potenza incontrollabile dal vivo la ostentano e la ripropongono con un carisma invidiabile e una presenza che lascia a bocca aperta. Finalmente i corpi si muovono all’unisono, così come le labbra che scandiscono gli anthem al fulmicotone di Howard Jones, energumeno dalla possenza ferina che non risparmia i concorrenti nel paragone diretto. Anche il singer Jessie Leach scompare dinanzi all’energia del leone nero, che fa di potenza e dinamismo le sue zampate vincenti, senza però trascurare ottime intonazioni per i chorus, dove gioca soddisfatto col pubblico alla sua mercè. Adam D. è sicuramente uno squilibrato, tanto conciso nel parlare quanto scatenato on stage, si dimena ricurvo leccando il manico della sua chitarra, partecipa ai chorus, infiamma la folla e si dimena come un ossesso nei suoi riff thrash svedesi. Un gruppo ai massimi livelli della propria carriera che non accenna a fermarsi (lo dimostrerà davanti a una folla oceanica al Download Festival), anche il secondo chitarrista da nerd timidone sembra diventato una macchina da guerra, impressionanti e affiatati come pochi si dimostrano all’altezza della loro fama. La scaletta ben redatta si sbilancia leggermente sull’ultimo “The End Of Heartache”: sugli scudi la conclusiva “Rose of Sharyn”, che infiamma la violenza dei presenti nell’ultimo mosh della giornata. Da vedere!