15/06/2016 - KILLSWITCH ENGAGE + AUGUST BURNS RED + ATREYU @ Alcatraz - Milano

Pubblicato il 21/06/2016 da

Report e fotografie a cura di Riccardo Plata

Nel mezzo di un mese di giugno tanto carico di pioggia quanto di concerti metal (dal ritorno del Gods Of Metal al tour d’addio dei Black Sabbath, passando per i sold-out paralleli di Deftones e Breaking Benjamin, senza dimenticare l’invito a teatro di Zakk Wylde e il carrozzone punk al Market Sound), non poteva mancare quello che è stato ribattezzato come il Gods Of Metalcore, con i padrini Killswitch Engage (rimasti orfani all’ultimo minuto degli Architects per motivi familiari), scortati per l’occasione da Bury Tomorrow, Atreyu e August Burns Red. Arrivati all’Alcatraz quando è appena terminata l’esibizione della band di apertura, attendiamo fiduciosi l’ingresso dei redivivi Atreyu, tornati l’anno scorso in attività dopo una pausa di qualche anno e per questo sprofondati nel ranking. Ma non nel cuore dei fan…

 

Artista: Killswitch Engage | Fotografo: Riccardo Plata | Data: 15 giugno 2016 | Venue: Alcatraz | Città: Milano

 

ATREYU
Sono passati una dozzina d’anni da quando, all’apice della scena emo, gli Atreyu irruppero sul mercato con quella macchina da singoli che era “The Curse”, diventando in poco tempo degli idoli di quella che allora era la MySpace generation: il passaggio alla Roadrunner e la svolta hard-rock di “Lead Sails…” lasciavano presagire l’ingresso nel cerchio magico con A7X, Trivium e BFMV, ma sul più bello il giocattolo si rompe, sfociando in una serie di poco fortunati progetti paralleli. Rotto lo scorso autunno il silenzio discografico con “Long Live” – discreto ma ben lontano dai fasti passati -, accogliamo con piacere la band di Orange County sul suolo italico (dove mancavano dal GOM 2010, anche se il concerto da ricordare è quello del 2007 al compianto Rainbow di Milano), per la gioia dei fan più vecchietti e la curiosità dei più giovani. Fortunatamente per entrambi, Dan ‘bandana’ Jacobs e soci dimostrano di essere ancora in palla e fin dalla doppietta iniziale, “Doomsday” e “Right Side Of The Bed”, spazzano via ogni dubbio, coinvolgendo le prime file e non stando fermi un attimo. Encomiabile, come sempre, la doppia prova del batterista-cantante Brandon Sellers, mentre ad animare lo show ci pensano Alex ‘torso nudo’ Varkatzas – in perfetta forma fisica (per la gioia del pubblico femminile) e in costante contatto col pubblico, al punto da finire il concerto in mezzo al pit, dopo uno slalom tra i buttafuori -, e il già citato Dan, impegnato in pose plastiche da rockstar con la sua inconfondibile ESP tarantiniana. Saggiamente, gli estratti dall’ultimo disco sono limitati ad un paio – la title track e la queeniana “Do You Know Who You Are?” -, mentre a farla da padrone nei quaranta minuti circa a loro disposizione sono gli estratti dai due album citati in apertura. L’immancabile cover di “You Give Love a Bad Name”, cantata a squarciagola da un Alcatraz a capienza ridotta ma anche per questo ancora più in contatto con i cinque sul palco, suggella un’esibizione maiuscola, in grado di conquistare sia i vecchietti memori di MySpace che le nuove leve cresciute con Snapchat.

 

AUGUST BURNS RED
Dopo il tuffo negli anni ’80 con gli Atreyu, il livello di testosterone aumenta vertiginosamente – in tutti i sensi, visto che il singer Jake Luhrs sembra palestrato al punto da poter quasi fare da controfigura a The Rock – con gli August Burns Red, frequentatori abituali dei palchi meneghini di spalla a nomi più o meno grossi della scena. Come d’abitudine, i quattro strumentisti si presentano con un look più da nerd che da metallari – a partire dal chitarrista JB Brubaker, on stage in infradito anche d’inverno -, ma dal punto di vista musicale confermano di non essere secondi a nessuno, macinando riff e assoli con una pulizia pari a quella in studio. A differenza degli Atreyu, il quintetto della Pennsylvania incentra la scaletta sugli ultimi due-tre album, a testimonianza di come il più classico metalcore degli esordi stia ormai stretto, senza concedere un attimo di respiro. Le varie “Martyr”, “Identity”, “Everlasting Ending” e “Provision” fungono dunque da colonna sonora per lo stage diving, con il già citato singer in veste di attore principale, alternando pose plastiche alla Vin Diesel a tanto improbabili quanto divertenti balletti negli stacchetti strumentali. Al netto dell’effetto sorpresa, assente nel loro caso vista la frequenza di passaggio a queste latitudini, da sottolineare la ‘solita’ ottima prestazione dei cinque, ormai assurti stabilmente nella prima fascia della graduatoria metalcore.

 

KILLSWITCH ENGAGE
Sono da poco passate le 22 quando, all’interno di un Alcatraz nel frattempo riempitosi, seppur nella sua versione a mezzo servizio, fanno il loro ingresso gli headliner, capitanati da quel burlone di Adam Dutkiewicz (questa sera con un improbabile look sportivo adatto più ad un film di Adam Sandler che ad un concerto metal…) e dal figliol prodigo Jesse Leach, ormai tornato a pieno regime dopo la fuoriuscita di Howard Jones. Forti di una discografia giunta al settimo sigillo, i cinque del Massachusetts alternano sapientemente i singoli dall’ultimo “Incarnate” con i successi passati – con un occhio di riguardo all’acclamato “The End Of Heartache”, mentre “KSE II” viene saltato a piè pari -, in una sorta di ‘bigino del metalcore’ concentrato in poco più di un’ora. La compattezza dello show si traduce in un’interazione verbale abbastanza limitata, mentre al contrario è evidente l’empatia dal punto di vista fisico, con Jesse immerso nel pit – circondato da mani bramose come in una scena di The Walking Dead – durante l’esecuzione di “Fixation On The Darkness”, e Adam che a un certo punto compare da dietro le quinte per farsi una corsetta a portata di mano delle prime file. Aggiungiamoci un traffico di corpi degno di Malpensa all’ora di punta – con una percentuale significativa di quote rosa, grazie in particolare ad una ragazza coi dread passata sotto palco almeno sette-otto volte nel giro di pochi minuti – ed ecco spiegata un’atmosfera ‘divertente’, quasi più da concerto punk che metalcore. L’impressione, avendoli visti all’opera anche in venue più ridotte, è che la loro dimensione ideale (grazie anche ai trascorsi hc del frontman) sia quella di un contatto ancora più diretto con il pubblico; ma lo show di stasera è stato encomiabile come sempre, con forse l’unico limite di una durata un po’ striminzita (compensato in qualche modo dal bill esteso) e di una scaletta priva di sorprese, pur comprendendo la volontà di accontentare tutti pescando a piene mani da un ipotetico best of che ha ormai superato la doppia cifra di singoli.

 

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