BRING ME THE HORIZON
THE HAUNTED
Quando il Transilvania sta per esplodere e già i cancelli sono chiusi, con molti ragazzi a maledire santi in paradiso, tocca ai The Haunted presentarsi nella loro nuova coraggiosa pelle. La scaletta della data milanese di fatti pesca a più non posso dall’ultimo spiazzante album, che abbandona le coordinate thrash-death canoniche (e anche sull’orlo della monotonia) per abbandonarsi a un suono più variegato e personale, dove Peter Dolving è assoluto protagonista. Stessa cosa sul palco, dove, sempre senza maglietta e con poco pudore nel mostrare la pancia coltivata, il frontman catalizza l’attenzione, sia con una prova abbastanza fisica, sia dimostrando di essere davvero un cantante, non solo un urlatore. L’audience è un poco distratta e il Dolving non esita a stuzzicarla con la stessa linguaccia che lo ha reso famoso sulle pagine di Blabbermouth, in contrasto con la persona pacatissima ed educata che si è vista nel backstage. Le nuove composizioni rendono moltissimo dal vivo, e legano anche con i vecchi successi,”99″ su tutte. La cosa lampante che è emersa è che i The Haunted sono decisissimi a portare avanti le proprie scelte musicali, ma il pubblico è ancora confuso, e non riesce a slegare la formazione dal passato recente. Forse col tempo l’audacia di “The Dead Eye” sarà apprezzata. Li aspettiamo a maggio!
KILLSWITCH ENGAGE
Tutti i presenti sono d’accordo: vogliono i Killswitch Engage. “As Daylight Dies” non è stato all’altezza delle aspettative, ma la fama del gruppo è cresciuta senza sosta dalle nostre parti, di pari passo con l’amore per il metalcore, oramai esploso davvero ovunque. All’attacco con “A Bid Farewell” l’atmosfera è incendiaria, e nel chorus l’esplosione del pubblico è semplicemente spettacolare. Sfortunatamente il chitarrista Adam, anima dei metalcorer del Massachussets, è in convalescenza dopo un urgentissimo intervento alla schiena, e data la grandezza del personaggio risulta praticamente impossibile sostituirlo. Riempie il posto in formazione l’ex Soilwork Peter Wichers, che è pur bravo, spilungone e dinamico, ma non riesce a fornire le quintalate di humor demenziale del chitarrista col mantellino e dalle lunghe basette, e più nello specifico lascia in bianco lo spazio dedicato a backing vocals e agli armonici artificiali, marchio indelebile sul suono del gruppo. Si sapeva che anche Howard ha sofferto di un’infezione al petto e non sarenne stato presumibilmente al 100%, ma in meno di una canzone l’elegante frontman ha spiccato il volo come al solito, esaltato da un pubblico schiacciato, accaldato fino al sudore ma ugualmente presente in tutti i melodici ritornelli. La scaletta non riserva nessun tipo di sorpresa, e i singoli e i successi della band vengono ripercorsi da “Fixation On The Darkness” passando da “Rose Of Sharyn” (a parere di chi scrive la canzone più significativa e rappresentativa dei KsE) fino agli estratti dall’ultimo album, “This Is Absolution”, “The Arms Of Sorrow” e ovviamente il singolo “My Curse”. Purtroppo continua l’abitudine di qualche schifoso pezzente mariuolo che meriterebbe qualche dito staccato con una tenaglia: un portafogli viene gettato sul palco e Howard commenta, aprendolo “Ovunque tu sia, non hai più una lira”… peccato si ripetano certe scene misere. Il concerto prosegue con la chicca “This Fire Burns”, theme-song del wrestler idolo della ECW CM Punk, prodotto apprezzato non poco dalla formazione, per poi finire come sempre sulle note di “My Last Serenade”. Sintetizzando si può facilmente scrivere: un successo.