Introduzione e report a cura di Roberto Guerra e Daniele W. Re
Prima di parlare in maniera approfondita dell’edizione 2019 di uno degli eventi rock/metal più importanti d’Europa, e forse del mondo, ovvero l’Hellfest, riteniamo doveroso dedicare un articolo anche alla prima edizione europea del Knotfest, che per l’occasione si avvale della location adibita tradizionalmente per lo svolgimento dell’iconico festival francese; non a caso il monicker ufficiale è Knotfest meets Hellfest. Il nome stesso è un richiamo alla band cardine di oggi, ovvero gli americani Slipknot, presenza fissa in quasi tutte le edizioni tenutesi oltreoceano. Insieme a loro troviamo, comunque, un bill di tutto rispetto, composto da una line-up che vede alternarsi sui due main stage, temporaneamente marchiati col nome del festival odierno, una discreta quantità di artisti più o meno in voga all’interno del mercato europeo e mondiale: dalla colta blasfemia dei Behemoth, passando per l’horror show di Rob Zombie, fino ad arrivare alle atmosfere belligeranti ad opera di Amon Amarth e Sabaton. Con tali nomi coinvolti, sarebbe superficiale considerare questa prima, calda giornata come un semplice pre-show dell’edizione corrente dell’Hellfest; anche considerando gli oltre quarantamila biglietti staccati, a prescindere che si fosse interessati alla giornata singola o al pacchetto completo. Purtroppo, per ragioni di orario, non ci è stato possibile visionare i primi show della giornata, ed è proprio con la band capitanata dal buon Adam Darski che la nostra esperienza su territorio francese può avere inizio. Buona lettura!
BEHEMOTH
La messa nera dei Behemoth inizia sulle note della recente “Wolves Ov Siberia”, tingendo di scuro il cielo soleggiato e aggiungendo ulteriore calore, tramite l’utilizzo di fiamme ed effetti pirotecnici vari. Come di consueto, il concerto dei quattro polacchi verte su una forte presenza scenica e un repertorio decisamente incentrato sulle loro due uscite più fresche, ma con anche un paio di richiami agli apprezzati “Demigod” ed “Evangelion”, per poi concludere addirittura con “Chant For Eschaton 2000” dal più datato album “Satanica”. Sebbene le condizioni climatiche e la luce pomeridiana non si sposino proprio alla perfezione con le atmosfere lugubri richiamate da Nergal e soci, il diabolico quartetto mette in scena uno spettacolo coinvolgente e ricco di momenti suggestivi, non solo grazie alle scenografie e ai suoni profondi, ma anche per via del carisma, unito alla forte teatralità, che caratterizza da sempre la proposta di una delle band di metal estremo più apprezzate e stimate del momento. L’oscuro frontman da solo riuscirebbe a tenere in piedi qualsiasi palco, ma i suoi brutali compagni non sono certo da meno, regalando ai presenti tre quarti d’ora circa di sano black/death metal dalle tinte doom, molto apprezzato da pressoché ogni estimatore posizionato in prossimità dei palchi.
Setlist:
Wolves Ov Siberia
Ora Pro Nobis Lucifer
Bartzabel
Ov Fire And The Void
Conquer All
Sabbath Mater
Blow Your Trumpets Gabriel
Chant For Eschaton 2000
POWERWOLF
Dopo la messa nera, scegliamo di sfruttare i tre quarti d’ora dei Papa Roach per rifocillarci, prima di passare direttamente alla cosiddetta messa metal, in compagnia dei tedeschi Powerwolf e della loro peculiare presentazione, mista tra horror e clericale, che tanto ha influito sull’incredibile successo riscosso dai Lupi power metal per antonomasia. La prima parte della metal mass è affidata interamente al recente “The Sacrament Of Sin”, grazie alla fiammeggiante combinazione di “Fire And Forgive”, “Incense And Iron” e “Demons Are A Girl’s Best Friend”, inframezzate dalla note di “Amen & Attack”; ciascuna accompagnata da forti ovazioni da parte di tutti i presenti, nonostante un impatto sonoro inizialmente sbilanciato e non curato a dovere. La situazione viene man mano migliorata, pur senza raggiungere mai i livelli di coinvolgimento cui la band ci ha abituato in occasione delle date da headliner, a prescindere che si trattasse di una location al chiuso o di un evento open air; allo stesso modo l’atmosfera, seppur parzialmente più festosa rispetto a chi li ha preceduti, non ha giovato dell’orario soleggiato. La peculiare interazione tra la band e il pubblico viene invece gestita interamente in lingua francese, seppur parecchio abbozzata, dal corpulento frontman Attila Dorn, per la gioia di tutti gli autoctoni presenti. Dopo un ulteriore poker di brani ormai iconici, fra i quali “Blessed & Possessed” e la conclusiva “We Drink Your Blood”, possiamo tirare le somme, valutando l’oretta appena trascorsa come la solita esibizione non al top dei Powerwolf, a causa della posizione non predominante, il che da sempre rappresenta un leggero tallone d’Achille per la formazione teutonica.
Setlist:
Fire And Forgive
Incense & Iron
Amen & Attack
Demons Are A Girl’s Best Friend
Armata Strigoi
Blessed & Possessed
Werewolves Of Armenia
We Drink Your Blood
ROB ZOMBIE
L’istrionico showman statunitense, degno rappresentante del filone horror, nel cinema e nella musica, agghindato col suo peculiare look e accompagnato dal micidiale chitarrista John 5, fa capolino sul palco sulle distorte note di “Meet The Creeper”, per poi mandare letteralmente in visibilio il pubblico con “Superbeast” e “Living Dead Girl”, ballate da pubblico e musicisti. Anche la parentesi dedicata ai White Zombie con “More Human Than Human” giunge come treno a stimolare la voglia di movimento e agitazione, esattamente come le inaspettate cover di “Helter Skelter” e “Blitzkrieg Bop”, rispettivamente di The Beatles e Ramones. Notoriamente lo show di quell’animale da palco che è Rob Zombie non lascia spazio a dubbi o incertezze: se cercate un artista che si impegni nel cantare in maniera impeccabile, o anche solo fedele al disco, guardate pure altrove, poiché il vero valore di quanto visionato risiede in una sorta di connubio tra interpretazione e improvvisazione, col solo scopo di divertire e divertirsi, senza badare troppo alla forma. Inoltre, mister Zombie non si limita a servirsi di video colmi di citazioni al vecchio cinema horror, ma ne approfitta per pubblicizzare il film di prossima uscita “3 From Hell”, prima della conclusiva e immancabile “Dragula”, che pone il suo sigillo a una parentesi puramente goliardica, prima di imbarcarci verso il Nord Europa a fare sfoggio di corno potorio e martello di Thor.
Setlist:
Meet The Creeper
Superbeast
Living Dead Girl
More Human Than Human (White Zombie cover)
In The Age Of The Consecrated Vampire We All Get High
Dead City Radio And The New Gods Of Supertown
Helter Skelter (The Beatles cover)
Get Your Boots On! That’s The End Of Rock And Roll
Well, Everybody’s Fucking In A U.F.O.
House Of 1000 Corpses
Thunder Kiss ’65 ( White Zombie cover)
Blitzkrieg Bop (Ramones cover)
Dragula
AMON AMARTH
Con ben poco tempo per tirare il fiato, è già ora dello show dei vichinghi svedesi del metal per eccellenza. Per l’occasione Johan Hegg e soci portano in scena un’imponente scenografia a base di elmi con le corna e fiamme, nonché serpenti gonfiabili e sfondi in movimento, non presenti nella più recente apparizione in quel di Bologna. Con una carriera ormai ventennale, la musica e la presenza scenica degli Amon Amarth non hanno alcun bisogno di dimostrare più nulla a nessuno, e sebbene la prevedibilità della setlist possa essere vista come un apparente difetto, scegliamo di analizzare questa scelta come il classico ‘squadra che vince, non si cambia’, anche in considerazione del tour da headliner previsto per l’autunno, dove sicuramente troveranno spazio molti più brani, per la gioia di tutti i loro fan. Anche così, lo show dei nostri cinque ragazzoni riesce a confermarsi come il più convincente tra quelli cui abbiamo avuto modo di assistere finora, soprattutto per quanto riguarda l’intensità e l’energia battagliera trasmessa da ogni singola nota, con un Johan Hegg sempre più coinvolto sul palco, in quanto degno capitano di quel drakkar mortale proveniente dalle fredde terre di Svezia, nonché dei suoni finalmente curati in maniera quasi impeccabile. A prescindere dai gusti, con gli Amon Amarth si va sempre sul sicuro.
Setlist:
The Pursuit Of Vikings
Deceiver Of The Gods
First Kill
The Way Of Vikings
Crack The Sky
Death In Fire
Shield Wall
Raven’s Flight
Guardians Of Asgard
Raise Your Horns
Twilight Of The Thunder God
SLIPKNOT
Un telo nero col logo fiammeggiante si erge fiero di fronte a una folla immensa di oltre quarantamila persone, che la dice lunga su quale fosse la band più attesa della giornata, come del resto era lecito aspettarsi. Fin dalla cattivissima “People = Shit”, sulla quale il telo cade dando ufficialmente il via alle danze, il caos più totale avvolge l’intera location, grazie anche a dei volumi spaccatimpani, che enfatizzano ulteriormente l’ingresso on stage di Corey Taylor e compagnia mascherata. L’orda di pazzoidi dell’Iowa irrompe con tutta la sua follia ferale, facendo sfoggio di una scenografia enorme, nonché di un’energia dirompente ben percepibile nelle varie “(sic)”, “Disasterpiece” e, soprattutto, “Before I Forget”, cantata a gran voce da chiunque – un po’ come noi – sia cresciuto in qualche modo anche ascoltandone il granitico incedere, fino quasi alla noia. Per chi, come chi vi scrive, non ha avuto modo di poter assistere a un concerto degli Slipknot negli ultimi anni, si può riconoscere un incremento generale dell’intera componente scenica, e nonostante i cambi avvenuti all’interno della line-up per vari motivi, l’impatto e l’immediatezza della proposta musicale dal vivo sono incrementati ulteriormente, grazie anche alle nuove risorse impiegate per fornire uno spettacolo degno delle più grandi band della storia del metal, pur non essendo del tutto attinenti al genere nella concezione più stretta. L’inflazionata “Psychosocial” sancisce la fine della prima metà dello show, eseguito con ben poche pause e con un’intensità al di là delle nostre aspettative, anche se, bisogna dirlo, dopo averli visti anche a Bologna, abbiamo notato un eccessivo copia-incolla delle varie gag e interazioni varie, sebbene si tratti di una caratteristica abbastanza diffusa. Se possibile, la seconda metà del concerto pesta ancora più duro della prima, proponendo inni immancabili tra cui “Vermilion”, “Sulfur” e “Duality”, la quale precede anche l’encore a base di “Spit It Out” e “Surfacing”, che sanciscono più che degnamente il termine del massacro di massa messo in piedi dalla band americana. Per quanto possano essere un gruppo che non potrà mai piacere a tutti, specialmente ai metallari con gusti più tradizionali, bisogna riconoscere comunque l’enorme fenomeno che si è venuto creare attorno agli Slipknot, la cui essenza demolitiva continua a mietere vittime in tutto il mondo, e di certo non ci sono gusti soggettivi in grado di fermarla, ora come ora.
Setlist:
People = Shit
(sic)
Get This
Unsainted
Disasterpiece
Before I Forget
The Heretic Anthem
Psychosocial
The Devil In I
Prosthetics
Vermilion
Custer
Sulfur
All Out Life
Duality
Spit It Out
Surfacing
SABATON
Come da tradizione nei grandi eventi europei, una o più band devono esibirsi dopo l’headliner, in modo da fornire una degna chiusura all’intera giornata. Nel caso specifico, tocca agli svedesi Sabaton raccogliere i frammenti lasciati dagli Slipknot e spremere le ultime energie ai sopravvissuti rimasti, o quantomeno tutti quelli dotati di un palato abbastanza versatile per apprezzarne l’essenza decisamente più melodica e squisitamente power. Sin dalla iniziale “Ghost Division” appare chiaro che il buon Joakim Brodén ha qualcosa che non va a livello fisico: il suo timbro appare infatti più affaticato del solito, così come le movenze sul palco meno appariscenti; sensazioni di cui avremo conferma il giorno successivo, ma questa è tutta un’altra storia… Rimanendo nel contesto Knotfest, dietro alla consueta scenografia visibilmente simile a una trincea, si erge fiera una band che continua a espandere il proprio belligerante verbo, confermando di fatto la propria posizione ben salda all’interno della scena. Malgrado i problemi, nonché il volume troppo basso della voce (possibile scelta strategica), lo show dei Sabaton viene portato avanti con genuinità e professionalità, facendo sfoggio di una setlist che si sarebbe potuta studiare meglio, dal momento che è stato dato molto spazio alle produzioni più recenti: dalle nuove e fiammanti “Fields Of Verdun” e “Bismarck”, passando per vari richiami a “The Last Stand” e “Heroes”, con alcuni sprazzi leggermente più datati, tra cui la micidiale “Lion From The North” e l’iconica “Primo Victoria”. La loro orecchiabilità è ormai un tratto distintivo, così come quel retrogusto evocativo, che da anni proietta tutti noi in mezzo ai campi di battaglia; e così fa anche in questa occasione, nonostante la leggera situazione di difficoltà del simpatico frontman. Con le divertenti “Swedish Pagans” e “To Hell And Back” si conclude la prima edizione europea del Knotfest, con voti più che positivi, così come l’esibizione dei Sabaton, il cui nome sarà uno dei veri protagonisti dell’edizione 2019 dell’Hellfest, poiché sarà la sera successiva, per una lunga serie di motivi, di cui sarete già a conoscenza, a consacrarne ulteriormente il ruolo.
Setlist:
Ghost Division
Winged Hussars
Resist And Bite
Fields Of Verdun
The Price Of A Mile
Shiroyama
Bismarck
The Lion From The North
Carolus Rex
Night Witches
The Lost Battalion
The Last Stand
Primo Victoria
Swedish Pagans
To Hell And Back