A cura di Claudio Giuliani
Il secondo album della new sensation norvegese, al secolo Kvelertak, è alle porte. Ancora qualche giorno d’attesa e “Meir”, questo il titolo scelto per il debutto sulla prestigiosa Roadrunner Records, sarà disponibile negli scaffali e nei negozi digitali. Il gruppo però, chissà per quali ragioni, magari non dipendenti dalla propria volontà, è già in tour e senza neanche un CD da vendere. Infatti, il banco del merchandise è pieno di maglie (tante e tutte molto originali) ma non vi è la possibilità di comperare né il primo album (edito nel 2010), né quello nuovo. La prima tappa di questo tour italiano è prevista a Roma, al Traffic, sempre più riferimento fisso della scena hardcore/metal romana. Il pubblico ha risposto, non secondo le aspettative però; e questo è dovuto, forse, in parte proprio alla mancata pubblicazione del nuovo album alla data dello show, e forse pure per la scelta del gruppo spalla (sono cambiati molte volte nelle ultime settimane, con flyer distribuiti che ne riportavano altri), i norvegesi El Doom. Un’indiscrezione, tutta da confermare, vuole il cantante degli El Doom (in effetti un po’ avanti con l’età, anche se si accompagna piacevolmente ad una giovane norvegese) padre di un membro dei Kvelertak (magari il batterista, pura faccia da teenager?). Ad ogni modo, con i nostrani Grime a completare il cartellone, Metalitalia.com non si è fatta scappare nessuna delle due date del sestetto e quello che segue è il report del divertente show vissuto a Roma.
GRIME
Arriviamo che i Grime stanno finendo la loro esibizione. Da quel poco che abbiamo sentito – troppo poco per poter esprimere un parere sui triestini – è la brutalità a caratterizzare la loro musica. Con suoni molto distorti, dallo spettro ampio, dai riff lenti e groovy e caratterizzati da una voce che urla in lontananza, i Grime viaggiano su basso regime preferendo il coinvolgimento alla velocità. Ad ogni modo ci riserviamo di esprimere un parere prossimamente.
EL DOOM
Alla fine la domanda che rimbalzava senza risposta fra gli avventori del Traffic era: “Ma che c’entrano questi El Doom con questo show?”. Eh già, perché la proposta dei norvegesi, una sorta di folk rock, anche se in qualche brano hanno cercato di suonare quanto più duramente potessero, ha annoiato ben presto. Comunque sia, saliti sul palco vestiti di tutto punto come si vestivano i cowboy nei giorni di festa, con il cantante munito di cappello alla John Wayne e dotato di una buona intonazione, gli El Doom propongono dei brani che per forza di cose non riescono a catturare l’attenzione dell’audience, abituata a ben altri ritmi (per larga parte, almeno) e vogliosa di ben altra violenza sonora. Dopo una mezz’ora, per molti una lunghissima pausa sigaretta-birra, gli El Doom ci lasciano fra pochi applausi, neanche troppo sinceri, e vanno a presidiare il loro banco del merchandise, che rimane diserto. Facile capire il motivo.
KVELERTAK
Ventitre e trenta in punto quando salgono sul palco i sei, che devono fare attenzione a muoversi considerato il poco spazio a disposizione sulle assi del Traffic. Freschi di contratto con la Roadrunner, che li sta promuovendo come delle rockstar (e basti vedere il tourbus, un mezzo lungo oltre dieci metri, abnorme, sproporzionato, che neanche hanno diviso con gli El Doom quando ci sarebbero entrati in venti lì dentro!), i Kvelertak dimostrano fin da subito, con la nuova canzone “Spring Fra Livet”, di saper reggere la pressione. Stanno sul palco con brio, si agitano tutti, hanno studiato a memoria le movenze da fare per accattivarsi l’audience e, soprattutto, hanno un impatto sonoro devastante. I suoni sono ottimi e il feeling che ne consegue grazie alle tre chitarre, al basso e alla batteria, è quello di trovarsi di fronte a un muro sonoro squarciato solamente dalle urla lancinanti del singer, bravissimo, e ancora più cattivo considerato il norvegese, lingua che si presta benissimo per la loro proposta (ma che potrebbe sbarrargli la strada per il successo made in Usa). Anche i cori, elemento cardine nella contrapposizione scream-clean molto usata dai Kvelertak, rispondono alla perfezione. Il batterista, decisamente il più giovane dei sei, picchia duro e puntuale soprattutto nelle numerose sfuriate blast, quando i Kvelertak suonano duro e puro black metal. La carta vincente del sestetto, seconda generazione di musicisti norvegesi, è proprio l’amalgama riuscito di sonorità punk, metal e black metal condite con una tonalità di voce rude che il cantante mantiene perfettamente per tutto lo show. “Meir” viene letteralmente saccheggiato. Le prime file del Traffic devono aver fatto un corso di norvegese, visto che cantano a squarciagola praticamente tutti i brani, complice anche il singer che spesso e volentieri passa loro il microfono. Arriva la super melodica “Trepair” e poi “Bruane Brenn”, il primo singolo, quello che molti hanno già bollato come commerciale ma che dal vivo è molto divertente e…sì, di facile presa. Ma senza sosta alcuna, senza un minimo di silenzio fra una canzone e l’altra, arrivano brani più vecchi come “Ulvetid” e “Mjod”, due delle canzoni più cariche di adrenalina, entrambe provenienti dal debutto omonimo. Sempre da “Kvelertak” arrivano ancora “Fossegrim”, altra traccia dominata dalla melodia, e “Blodtorst”, anche qui un’alternanza di armonia a parti più rudi. Punto più alto dello show per il sottoscritto è “Nekrokosmos”, pezzo dai cambi di tempo repentini nell’inizio ma che poi si trasforma, diventando di fatto una black metal song strumentale, solida nella ritmica e con la melodia che questa volta diventa pathos, atmosfera. Brano superiore, che in molti tratti, cosa reiterata più brevemente nelle loro altre composizioni, rimanda alla scuola norvegese del black metal e più precisamente ai Satyricon. Con “Evig Vandrar” si raggiunge uno dei momenti più alti del concerto, con il ritmo-ballata della canzone che risulta davvero coinvolgente live. E poi ancora violenza con “Sjohyenar (Havets Herrer)”, altra composizione dalla riuscita eccezionale prima che il concerto devi in puro divertissement. Arriva il puro rock melodico della canzone omonima, prima della chiusura con “Utrydd Dei Svake”, protratta ad oltranza, con i musicisti che scendono dal palco, chi per suonare fuori, chi per salire sul mixer, chi sul bancone del bar, chi in collo ad un partner, con i fan che li inseguono divertiti. Un’ora e qualche minuto di uno show potente, elettrizzante, coinvolgente e spassoso, che ha lasciato il sorriso stampato sulla faccia di molti, una volta tanto.