Report a cura di Simone Vavalà
Anche se negli ultimi anni si sono relativamente moltiplicati i passaggi in Italia della band slovena, è sempre un evento assistere ad un’esibizione dei Laibach: perché non si tratta di un semplice concerto, bensì di una vera e propria performance debitrice dell’Avanguardia (a metà strada tra il Suprematismo russo e il teatro in musica di Kurt Weill), di cui è difficile prevedere la direzione musicale. Poi, in questo caso, le premesse erano piuttosto ghiotte, con l’annuncio della riproposizione dello spettacolo tenuto nel 2015 in quel di Pyongyang, alla presenza dei più alti rappresentanti del Governo di Kim Jong-Un e selezionati (devoti?) cittadini. Andiamo dunque a descrivervi quanto messo in scena dalla formazione di Lubiana…
Tre tastiere ai lati del palco, la batteria sul fondo, il chitarrista fermo in posizione ieratica. I Laibach ci accolgono così durante l’intro strumentale e l’inizio delle danze viene sancito dall’ingresso in scena di Marina Mårtensson, musicista svedese ora residente in Slovenia, assoldata dalla band per questa tournée. In questa prima fase di concerto, la cantante ha uno spartano look da funzionaria sovietica – ben differente dall’aspetto che assumerà durante i bis, a ricci sciolti e con movenze molto più conturbanti – ed è lei a dare il la alla riproposizione integrale dell’ultimo album degli sloveni, ossia la colonna sonora di “Tutti Insieme Appassionatamente” (“The Sound Of Music” in originale, come da titolo del disco); una decostruzione originale e affascinante, che certo cede poco alle sferzate industrial tipiche della band, ma che viene accompagnata efficacemente dagli splendidi visual alle sue spalle. Nei video si alternano immagini, anche deformate, del film, oltre alle consuete sequenze marziali – aggettivo che come sempre descrive perfettamente il loro sound. Non abbiamo ancora citato Eber, il frontman in tenuta da voivoda, ma come sempre i suoi passaggi vocali monocordi e profondi, uniti alle pose ieratiche, rappresentano il punto forte dell’esibizione. Curiosamente rispetto ad altre occasioni, sia lui che gli altri membri del gruppo abbozzano anche timide interazioni col pubblico, con brevi saluti e applausi reciproci. Rispetto a quanto proposto a Pyongyang – ci basiamo ovviamente su quanto letto online – i Laibach hanno scelto, appunto, di riproporre per intero “The Sound Of Music”, rispetto a una selezione con aggiunta di cover e pezzi tradizionali, quindi quando giunge l’intervallo, temporizzato sullo sfondo come a teatro, la curiosità è forte sul prosieguo del concerto; e difatti i toni cambiano parecchio. Per la restante ora, la band attinge ai primi due album, i più ostici e minimali. Il risultato sono tonalità cupe, a tratti rumoristiche (“Mi Kujemo Bodočnost”), oppure più percussive e trascinanti, con l’apice (anche visivo) toccato sulle note di “Ti, Ki Izzivaš”, peraltro una rilettura anch’essa, in particolare del compositore Bernard Herrmann. I bis non allentano la tensione, anzi: da applausi la cover di “Sympathy For The Devil” degli Stones, resa ovviamente ancora più sulfurea, mentre “The Coming Race”, durante la quale Eber declama più volte ‘Eia Eia Alalà’ (svuotando però di qualunque esultanza il noto motto), diventa icona del loro approccio artistico e politico insieme. Mai ironici, sempre distaccati e per questo ancora più estremi nel mettere in scena il disincanto verso ogni totalitarismo. Le luci si spengono in un fragoroso applauso, giusto tributo a una band unica, giunta ormai alle soglie dei quarant’anni di carriera.