25/03/2023 - LEFT TO DIE + ABBINORMAL + REAPING FLESH @ Slaughter Club - Paderno Dugnano (MI)

Pubblicato il 28/03/2023 da

Ci possono essere diversi pensieri da fare attorno a un progetto come quello dei Left To Die, come se già non fossero bastati quelli girati attorno ai Death To All (altra realtà in cui musicisti – e che musicisti! – che hanno suonato nei veri e propri Death portano in giro tour dedicati alla band madre) all’epoca della loro formazione.
Siamo tutti d’accordo sul fatto che entrambi i progetti siano poco di più che delle cover band di lusso, ma in questo caso l’interesse è il focus esclusivo attorno ai primi due dischi dei Death, e questo differenzia di non poco la prospettiva, essendo un progetto che nemmeno lo stesso Chuck avrebbe mai portato in giro, vista l’evoluzione della propria creatività.
Un tributo ad un’epoca, ad un periodo, dunque, e a due dischi straordinari di cui uno, “Leprosy”, viene proposto nella sua interezza dai Left To Die, assieme ad un pugno di brani che, per motivi anagrafici e non, siamo in molti a non aver mai sentito dal vivo; di certo non sono molte le cover band che propongono “Evil Dead” o “Primitive Ways”, e, esattamente come coi Death To All, i componenti della band sono indiscutibilmente legati al moniker originale: Rick Rozz e Terry Butler hanno fatto parte della formazione di Chuck Schuldiner (e non solo: Massacre, Obituary…), mentre Gus Rios e Matt Harvey, oltre a far parte dei Gruesome, band che riprende le arie dei primi Death in maniera quasi commovente, sono comunque passati tra le file di nomi leggendari del death metal, tra cui Malevolent Creation, Repulsion, Exhumed; insomma, gente che il genere lo mastica.
Detto ciò, ognuno ha potuto fare le sue valutazioni nel corso del tempo sull’effettiva opportunità di un progetto del genere, sui suoi componenti, sui dissidi avuti con Schuldiner: tra chi ha gridato allo scandalo, a chi semplicemente si è dimostrato disinteressato a chi invece ha accolto l’occasione di rivivere gli esordi di Chuck e soci, noi di Metalitalia abbiamo voluto pensare unicamente alle canzoni, ed essere presenti per raccontarvi le gesta di questi veterani del metal estremo.
Raggiungiamo uno Slaughter Club gremito (ma non zeppo come in altre occasioni) purtroppo proprio alla fine dello show degli Swarm Chain; eravamo piuttosto curiosi di rivedere l’epic doom dei piacentini dopo una prima volta qualche tempo fa, se non altro per saggiarne la proposta all’interno di una scaletta dai suoni decisamente più estremi, ma speriamo di rifarci in futuro. Un rapido giro al banchetto, una birretta, e i Reaping Flesh iniziano a scaldare gli amplificatori…

Si tratta dell’esordio sul palco, per i REAPING FLESH: il trio milanese propone un death metal brado ed energico, di stampo americano con forti connotati doom, e ci hanno ricordato gentaglia marcia e aggressiva come Autopsy, Obituary e i Death della prima era. L’affiatamento, ancora lì da raggiungere con ore e ore sul palco assieme si vede, e i brani, seppur godibili, sembrano mancare di quella dose di tiro che, come detto, si crea in un’alchimia forgiata corso del tempo, ma l’impressione è buona: del resto le qualità tecniche sono sicuramente apprezzabili, in particolar modo la sezione ritmica sembra sapere il fatto suo.
Il pubblico a questo punto della serata è ancora un po’ freddino, rimanendo perlopiù nelle retrovie, eccezion fatta per giovani virgulti del metallo che creano dei mini circle pit, supportando la band e divertendosi. Una prova discreta, dunque, che lascia presupporre un buon futuro per la band, prossima alla pubblicazione del debutto sotto Redefining Darkness e che comunque spinge sull’acceleratore per tutta la circa mezz’oretta della loro prova. Da tenere d’occhio.
L’affiatamento non è invece un problema per gli ABBINORMAL, altra band meneghina chiamata a scaldare la platea prima degli headliner e che porta sul palco dello Slaughter il proprio grind/death (le cui radici affondano alla metà degli anni ‘90), nonché il nuovo lavoro, appena uscito, “Grind Hotel”, secondo disco della formazione.
La presentazione dei quattro è decisamente professionale, e il tiro non manca, tra sfuriate fatte davvero come si deve e un’ottima capacità di intrattenere il pubblico (il cantante Eric Vieni praticamente scambia delle battute con la platea ad ogni intermezzo), a questo punto ben scaldato e assiepatosi a fronte palco.
Nelle vesti live, una proposta del genere ha poco da raccontare dal punto di vista della scrittura dei brani, che emerge soprattutto in qualche rallentamento ma che non sfigura nemmeno nelle parti più furiose, sebbene a volte un po’ piattine, ma quando i pezzi acquistano dinamica ci si diverte molto. Tra canzonii dal titolo innominabile per ammissione stessa del cantante (“Hexakosioihexekontahexafobia”), medley che non superano il pugno di pochi minuti e titoli come “The Summer is Tragic”, lo spirito del gruppo è ben chiaro, e nel proprio non prendersi sul serio riescono nel loro intento di uscire tra gli applausi di tutti i presenti, viso che comunque la sostanza non è mancata. Una proposta forse da rifinire, se portata su altri contesti, ma in questa serata è sicuramente funzionale.
Durante l’ultimo cambio palco della serata approfittiamo per fare un giro, e notiamo come il pubblico presente risulti piuttosto eterogeneo: diversi volti giovani, e la cosa non ci dispiace, così come qualche viso decisamente più in là con gli anni e persino qualche giovanissimo con la famiglia, ci fanno pensare a quanto sia riuscita ad essere trasversale la musica dei Death, persino nella loro incarnazione primigenia e più brutale, fungendo da legante nel corso di quasi quattro decenni per gli ascoltatori del metal tutto. Insomma, anche chi non ama per forza il metal estremo si sarà trovato ad ascoltare almeno un’incarnazione dei Death, e questo non fa che sancire la squisita grandezza del progetto portato avanti da Chuck Schuldiner.
Mentre ci perdiamo in tali finezze d’alta filosofia, le luci si abbassano e dalle casse parte l’inconfondibile intro del brano di apertura di “Scream Bloody Gore”, accolta con un’ovazione: “Infernal Death” scandisce con il proprio incedere marziale l’introduzione del concerto e ci fa piombare in un’atmosfera decisamente ottantiana, mentre una registrazione della voce di Chuck che presenta la band si fa strada tra le casse e, sfumando il brano, lascia posto all’intro di “Halloween” per favorire l’ingresso dei LEFT TO DIE, che attaccano subito con “Leprosy”, capace di annichilire subito i presenti con la sua quintalata di distorsioni e cambi di ritmo.
I suoni all’inizio ci sembrano un po’ penalizzare la chitarra di Rick Rozz, alla nostra sinistra, ma nel corso del concerto miglioreranno al punto da essere quasi perfetti. Il pubblico, in visibilio, segue i testi cantati da Matt Harvey, vero mattatore della serata, che riesce a restituire una voce roca e ‘grossa’ come quella del primo Schuldiner, e dimostra una capacità di suonarne i brani al limite del fanatico.
Assistiamo dunque a una prima tranche in cui si susseguono “Born Dead”, e “Forgotten Past” una dietro l’altra, quando la band si ferma per salutare il pubblico milanese (con un Harvey piuttosto impressionato dalla foga dimostrata e che ci informa di aver fatto sfigurare l’audience romana della sera prima – non ce ne vogliano i lettori romani, ipse dixit!) per proporre il primo estratto dal debutto, una violentissima “Mutilation”, suonata in maniera eccellente.
Temevamo l’effetto cover band, di non riuscire ad apprezzare del tutto l’operato della band, ma tenendo ben presente chi stanno rappresentando, i Left To Die riescono nel difficile compito di farci immergere totalmente nelle opere dei Death e farci rivivere i fasti di pezzi clamorosi, che si susseguono impietosamente. Brani come “Baptized In Blood”, “”Denial of Life”, “Open Casket”, sono perle indiscutibili, è quasi difficile parlarne: dei veri e propri classici che il pubblico accoglie come tali, così come “Left To Die”, la perla “Corpse Grinder”, la stupenda “Choke On It”, ognuna raccoglie un momento della storia di qualcuno dei presenti e lo rispalma in timpani e cuori.
La prova del gruppo è obiettivamente inappuntabile, ogni dettaglio viene eseguito pedissequamente: la prova dei due ex Death è di pregio, sebbene Terry Butler mostri un maggior feeling col palco rispetto a Rozz, che pare vagamente un po’ più ingessato, mentre dietro le pelli Rios macina fendenti precisi e violenti. Ma il vero gigante della serata è Matt Harvey, sia per quanto riguarda la prova musicale che quella umana, nel proprio confrontarsi col pubblico e nel gestire l’arduo compito di rileggere quanto fatto dall’insostituibile Chuck; Chuck che viene finalmente nominato e tributato all’inizio dell’encore subito dopo una “Zombie Ritual” accolta con un’apoteosi e una altrettanto attesa (e richiesta continuamente) “Pull The Plug”, messa alla fine per esaltarne l’importanza.
Proprio quando tutto sembrava finito, un’inaspettata “Evil Dead” manda tutti a casa con un sano torcicollo e il sorriso sulle labbra. Finita la musica ritorniamo sul pianeta Terra: non ci aspettavamo – siamo onesti – un tale impatto (anche emotivo, certamente) da questa serata, e un po’ tutti sembrano felici; del resto si è visto anche nella partecipazione del pubblico, che ha pogato in una larga fetta di spazio antistante il palco (allargatasi molto con gli ultimi brani), divertendosi e scannandosi amichevolmente. Insomma, ognuno tragga le proprie conclusioni sulle vicende extramusicali, ma volendo prendere lo spettacolo per quello che è, un tributo vero e proprio, non possiamo che approvare la prova dei Left To Die, ovviamente nell’augurio che anche la band stessa sia capace di rimanere in tali ranghi senza ‘sfruttare’ oltremodo l’importante lascito da cui trae linfa vitale.

Setlist Left To Die:
Leprosy
Born Dead
Forgotten Past
Mutilation
Baptized in Blood
Open Casket
Primitive Ways
Choke on It
Denial of Life
Corpse Grinder
Left to Die
Zombie Ritual
Pull the Plug
Evil Dead

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