A cura di Elena Ciraudo
Sembrava un’impresa impossibile, ed invece ce l’abbiamo fatta. In barba all’intontimento generale dei sensi dovuto alle cene delle festività natalizie in corso, abbiamo trovato le forze per allontanarci dalle tavole imbandite di cui ormai eravamo prigionieri da giorni e giorni. Ci siamo quindi immersi, in un umido sabato di fine dicembre, nella periferia milanese, raggiungendo in primissima serata il Lo–Fi, locale ormai particolarmente caro agli affezionati della scena underground metal e non. I cancelli si sono appena spalancati e poche anime si aggirano per le sale del piccolo centro sociale, curiosando tra i banchetti di dischi e di merchandising. Attendiamo sorseggiando un paio di birre la tripletta di concerti che vede coinvolti i capitolini Lento, i bolognesi Nero di Marte e i francesi Monarch. Contrariamente a quanto segnalato nella promozione dell’evento, sono i Nero di Marte a dare il via alle danze, seguiti dai Monarch ed infine dai Lento. Ma, insomma, tutto sommato, l’ordine di esibizione poco conta, quando appare lampante che stiamo per immergerci in un paio di ore di puro caos sonoro.
NERO DI MARTE
Pochi fronzoli per il quartetto bolognese: luci essenziali e ben puntate proiettano la nostra attenzione su di una band che non sembra voler far sfoggio di particolari effetti scenici. Una performance diretta, che trasuda immediatezza sin dalle prime note, e che attira rapidamente sotto il palco la gran parte dei presenti. I Nero di Marte ci propongono uno spettacolo energico e spiazzante, cavalcante di ritmiche serrate e in continua e repentina evoluzione, che mettono in luce tutto l’amore della band per un tecnicismo di influenza prog, sapientemente miscelato a sonorità di stampo death. Ineccepibile la performance vocale di Sean Worrel, che irrompe in grida di ruvida rabbia che ben si inseriscono (senza tuttavia mai emergere nitidamente rispetto alle parti strumentali) nel connubio di suoni fragorosi che ci tengono compagnia per poco più di mezz’ora. Sono pochi i momenti in cui la band ci concede qualche momento di tregua ritmica con aperture atmosferiche sussurranti, che tuttavia rimangono impregnate di una vibrante tensione emotiva. I Nero di Marte ci offrono insomma un’efficace anteprima del clima di oscurità che regnerà sovrano nell’intrattenimento musicale dell’intera serata.
MONARCH
L’entrata in scena dei Monarch è annunciata da un allestimento che trasforma il palco con pochi ma efficaci diversivi in una sorta di altare sacrificale: le luci virano verso i colori del rosso, si accende la flebile luce di un paio di candele e il fumo si fa largo nella sala. Ci spingiamo così ad osservare più da vicino, ignari che saremo proprio noi le vittime di questo massacrante rituale sonoro. La proposta musicale del quartetto francese non è di certo facile da digerire: si tratta infatti di doom estremo, dei più opprimenti e cadenzati. Ritmo ridotto ai minimi termini (scandito da inesorabili e ripetitivi colpi di piatti) e poche note che si dilatano in una decadente cantilena senza né capo né fine. Ad accompagnare il tutto, la voce di Emilie Bresson, traducibile in un’ininterrotta sequenza di strazianti latrati. La vocalist, in uno stato di ciondolante trance, si destreggia tra microfono e sintetizzatore, senza troppo badare ad un pubblico di certo in grado di apprezzare il coraggio di tale estremismo, ma tuttavia un tantino sopito da tanta ridondanza. Colpa forse, almeno in parte, dell’appesantimento natalizio di fondo. Con la netta sensazione che il tempo si sia dilatato a dismisura in questa performance, salutiamo i Monarch non senza una certo sollievo e ci ristoriamo prima dell’ultimo show.
LENTO
E’ la volta dei ragazzi di Roma, unica band strumentale nel trio della serata. Le luci si abbassano, il fumo invade la sala e il palco rimane illuminato unicamente da alcuni led disposti tra la strumentazione, così come la tradizione delle esibizioni dei Lento vuole. Li avevamo visti all’inizio dell’anno, sempre a Milano, e il caso vuole che siano proprio loro a regalarci l’ultimo concerto di questo 2013. E anche stavolta siamo più che felici di collidere senza troppi preamboli contro il muro di suoni compatti e poderosi che la band capitolina sa ergere con tanta maestria. I Lento rappresentano infatti una delle realtà più interessanti nel panorama “post” metal italiano, che ultimamente ha saputo miscelare influenze sludge e doom estremamente moderne in un connubio avvincente e di grande personalità. La performance, nella sua impalcatura interamente strumentale, è tutt’altro che monotona: i ritmi impazziscono in ondate mastodontiche di sali e scendi, l’aria fumosa è intrisa di palpabile e vibrante energia, e i ragazzi violentano i propri strumenti con apparente noncuranza della reazione dei presenti, completamente assorti e per lo più nascosti dal buio e dal fumo artificiale. Si procede a sferzate di suoni serrati e incalzanti: i Nostri scelgono infatti una setlist decisamente dinamica, riducendo ai minimi termini gli ipnotici interludi ambient che pure fanno parte nel bagaglio della proposta musicale del quintetto. I Lento, a discapito del nome stesso della band, ridanno insomma un certo vigore alla serata dopo l’alienante immobilismo sonoro dei Monarch. I Nostri riconfermano quindi in pieno le sensazioni più che positive che ci avevano lasciato nelle scorse esibizioni: assistiamo infatti ad uno spettacolo sincero e appassionato, in cui si avverte tanto l’intensità quanto l’intima ricerca interiore con cui la band propone il proprio repertorio. Per gli amanti del genere, è pressoché impossibile non rimanere profondamente trainati da tali atmosfere, tanto che le ultime note suonano come un risveglio da cui è difficile riprendere piena coscienza.