15/10/2019 - LINGUA IGNOTA + PETROLIO @ Macao - Milano

Pubblicato il 23/10/2019 da

Introduzione a cura di Giovanni Mascherpa
Report a cura di Davide Romagnoli e Giovanni Mascherpa
Fotografie di Stefano Marotta e Davide Romagnoli

Un’umida sera di ottobre, in una Milano marginale, in un luogo abbandonato riportato meritoriamente a nuova vita, quale è il Macao, è una cornice apprezzabilmente decadente per il ritorno italiano di Lingua Ignota. Passata nemmeno troppo tempo fa al Santeria di spalla ad Author & Punisher, l’inquieta figura di Kristin Hayter si posa stavolta in una situazione ben più underground, in una venue che agli splendori di una volta contrappone l’attuale diroccamento. Lustro (passato) e rughe (attuali) fanno intuire la nobiltà trascorsa, ora affiorante giusto nelle architetture e nella disposizione degli spazi di quella che un tempo era la Borsa del Macello. La postazione di Lingua Ignota è posta al centro della sala, senza barriere con gli spettatori. In un angolo, le casse e una postazione per dj, sovrastata da un maxischermo utile per chi è chiamato a far da spalla, l’eccentrico e tentacolare industrial/noise di Petrolio. Il passaparola, l’hype, la curiosità crescente per un progetto che con “Caligula” è esploso in tutta la sua deviata potenza espressiva, aiutati da un prezzo d’ingresso iperpopolare (cinque Euro), rendono l’occasione vissuta come mai avremmo creduto, con un folto viavai ben prima dell’orario di inizio. In un’atmosfera che andrà a prendere progressivamente pieghe stranianti, fra le distorsioni del suono, le luci basse e sfocate, un rinfoltimento degli astanti non privo di bizzarrie (culminate a fine concerto nell’uomo completamente ignudo che se ne passeggiava birra in mano incurante del prossimo) va in scena uno spettacolo per stomaci forti, brutale, tagliente, immancabilmente ansiogeno e impegnativo. Un momento di grottesca, cruenta arte performativa, che immaginiamo abbia lasciato un segno tangibile nell’intero uditorio.


PETROLIO
Contrapposto a quel che verrà dopo, il set di Petrolio pare quasi un leggero antipasto. Qual paradosso. Ma non è solo il confronto con le psicosi della Hayter a indurre tale idea, essa deriva anche dal moderato grado di fruibilità che il progetto possiede. Enrico Cerrato (ex-Infection Code) sa produrre rumori di relativa scorrevolezza e caratterizzati da groove lancinanti, eppur, in qualche misura, accattivanti; oppure, oltre a straziare carni e intelletto, effonde quel pizzico di atmosfera necessario a non far assumere alla performance l’idea di una bieca aggressione. Il live ci pare si stacchi abbastanza dalle strutture più definite dell’ottimo full-length a più mani “L+ESISTENZE”, ultima uscita discografica di Petrolio, andando incontro a un’idea di agghiacciante e desolata soundtrack di quella che, nei loop di video giganteggianti sulle nostre teste, appare come un viaggio solitario e allucinato fra campagne e periferie della provincia italica. Un accostamento graditissimo se, come lo scrivente, adorate gli spazi solitari di campi e boschi della penisola, quelli meno glamour e turistici, oppure avete – e siete in tanti, lo sappiamo – il gusto oltraggioso per i nastri d’asfalto che portano verso un deserto squallore. I rumori e i beat plasmati da Cerrato – coadiuvato in alcune parti da un altro soggetto, seduto in disparte – mutano lievemente di mood man mano che ci si sposta, nel corredo visuale, fra il cuore delle città, i suoi margini, ciò che vi è esternamente. Il grado di musicalità e il dinamismo sono di gran lunga superiori a ciò che un progetto noise/industrial/elettronico spesso emana, infatti l’attenzione attorno a noi resta alta e il viaggio, chiuso con la sezione dall’emblematico titolo “Everybody Dies In The End”, finisce senza averci dilaniato eccessivamente. Una gradita mezz’ora di allucinazioni.
(Giovanni Mascherpa)

LINGUA IGNOTA
Non si scherza con Kristin Hayter. Ormai sembra chiaro a tutti. Fortunatamente ripresasi dalla stanchezza di alcune date dei giorni precedenti (purtroppo annullate), Lingua Ignota torna alla grande a Milano. E lo fa nella cornice decadente perfetta per l’occasione, in quel luogo/non-luogo che è Macao. Il nuovo “Caligula”, che in sede di recensione avevamo definito dal cuore distorto e dall’anima stravinskiana, è divenuto ormai uno dei più chiacchierati, scaricati ed – ebbene sì – comprati dischi dell’anno. In ambito di musica estrema, naturalmente. Ed è un successo che la Hayter si è veramente tatuata addosso: la sua performance riesce ancora una volta a colpire nel segno in quanto a tecnica, autenticità e potenza espressiva. La sua tecnica vocale è infatti ben superiore a quasi tutte le altre concorrenti che si possono trovare nel medesimo panorama, che fa naturalmente capo alla grande dea Diamanda Galas, o a Jarboe, e tra risonanze e modulazioni varie riesce a risultare sempre efficace, personale ed intrigante. Corredata di veli di plastica e di qualche luce, la sua postazione al centro della sala si circonda di curiosi e assetati di quella visione musicale e performativa che Lingua Ignota porta con sé. Ansia, dolore e rabbia si fondono in un percorso di catarsi espressiva che rende l’artista una dei più significativi esponenti di quel fenomeno trasversale che va dalla chamber music al goth, alla musica estrema, accaparrandosi molte delle grande influenze accademiche di conservatorio. Tema prediletto della serata è naturalmente l’album nuovo, con i suoi strascichi ripetuti di “Do You Doubt Me Traitor” e “Butcher Of The World”, ripresi al piano e nelle sequenze elettroniche. Così si sente anche quell’Arancia Meccanica di Purcell e una cover finale di Chris Isaak, “Wicked Game”, che lascia tutti compiaciuti e convinti. Anche coloro che, sfortunatamente, hanno il dannato brutto vizio di parlare per tutto il concerto o di divincolarsi smaniosamente con l’ansia di dover fotografare o riprendere anche il minimo gesto del vip di turno. Una brutta cultura, questa, che, a detta di molti presenti, complici anche dei suoni che a Macao penalizzano le dinamiche, ha rischiato di rovinare l’ennesima prestazione speciale di questa grande artista.
(Davide Romagnoli)

 

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