Report di David Scatigna
Foto di Pamela Mastrototaro
Il 24 giugno verrà ricordato, per il giorno in cui a Milano si sono tenuti ben tre concerti, in tre arene diverse e con tre band di una certa rilevanza – quasi una sorta di festival ‘scomposto’, come i dolci nei ristoranti gourmet – e che ha costretto molti fan a scegliere chi andare a vedere tra Nine Inch Nails, Savatage e Linkin Park.
Per affluenza, il concerto dei Linkin Park – in cartellone agli I-Days di Milano – si è rivelato il più numeroso e partecipato, con un sold-out per quasi ottantamila presenze nell’Ippodromo La Maura, una location che anche quest’anno ha avuto numerose critiche dovute come sempre all’insufficiente numero di bagni e punti di ristoro (con prezzi proibitivi, come stiamo vedendo purtroppo di consuetudine in questo tipo di eventi estivi di rilievo), che hanno portato a lunghissime code e che costretto i fan a scegliere (!) se mangiare, bere o andare in bagno.
L’appuntamento però era importante per tutti coloro che portano la formazione losangelina nel cuore: il discusso ritorno dopo la scomparsa di Chester Bennington (voce di intere generazioni in inquieta crescita) con la nuova cantante Emily Armstrong ha comunque smosso curiosità e nostalgia per un gruppo a modo proprio capace di segnare una nuova frontiera dove rap e elettronica si mescolano col rock alternativo. Vediamo come è andata.
Gli orari non ci permettono di arrivare in tempo per vedere le esibizioni di JPEGMAFIA, JIMMY EAT WORLD e gli SPIRITBOX ed arriviamo proprio quando questi ultimi escono di scena, cala il sole e inizia un countdown di dieci minuti come nei migliori capodanno ad accompagnarci in una nuova era: quella dei nuovi LINKIN PARK.
Negli ultimi minuti parte anche il brano “La solitudine” di Laura Pausini, accolta con grandi cori dal pubblico e allo scoccare del zero inizia lo spettacolo.
Sulle note di “Somewhere I Belong” il pubblico è in delirio: gente che si abbraccia, altri che cantano con tutto il fiato che hanno in gola, qualcuno piange; una folla commossa che per l’intero concerto non smetterà mai di emozionarsi per la band, a testimonianza di quanto questa sia stata a modo proprio fondamentale per la storia della musica alternativa.
L’allestimento del palco è spettacolare: uno sfondo su cui sono proiettati video o immagini, sopra la band due immensi parallelepipedi le cui facce sono dei led wall, sotto di essi un serie di luci ad illuminare la band e, come se non bastasse, durante il concerto vengono usati numerosi laser da e verso il palco, a creare uno spettacolo visibile sicuramente anche da molto lontano.
Oltre alla gioia palpabile di rivedere Mike Shinoda e Joe Hahn di nuovo su un palco, tutti gli occhi sono ovviamente puntati sulla bionda cantante. Emily Armstrong non è Chester, non è entrata a far parte della band per essere la sua copia ma per essere qualcosa di diverso in una nuova fase del gruppo, ma ci sembra che comunque la sua presenza, il suo stile si adattino molto bene a quello che da sempre sono i Linkin Park. Arranca un pochino all’inizio, dà il meglio di sè con i ‘suoi’ brani da “From Zero” e spesso ha la saggezza di lasciar cantare il pubblico, che non si fa di certo pregare. Dave ‘Phoenix’ Farrell e Alex Feder si confermano musicisti affidabili e offrono una ottima prestazione, da segnalare invece il batterista Colin Brittain che ha sorpreso tutti con una prestazioni dietro le pelli eccellente.
La band prosegue spedita e come un martello con “Crawling” e “Cut the Bridge”, con il primo atto dei cinque che compongono lo spettacolo che si chiude con “The Emptiness Machine” (uno dei migliori brani dell’ultimo album), nel quale una Armstrong finalmente a proprio agio dà finalmente il meglio di sè.
Nel secondo atto possiamo dire che l’affiatamento della band è grandioso, e che il duo Shinoda-Armstrong funziona benissimo: come due tennisti in un doppio, sanno benissimo che per vincere devono giocare di squadra.
Notiamo per dovere di cronaca che la band non ha riservato particolari omaggi a Chester Bennington, non sappiamo se come segno ulteriore di un nuovo percorso o magari per non suscitare ulteriori sentimenti contrastanti anche live.
In ogni caso, tra tutti, non poteva non spiccare il bellissimo brano “Waiting for the End”, che porta persino Emily ad emozionarsi, colta anche con qualche lacrima a rigarle il viso, ma il pubblico poco dopo la omaggerà con cori di sostegno e apprezzamento, facendole mostrare un sorriso luminoso.
Una lunghissima passerella porta la band nel cuore del pit arrivando così a coinvolgere ancora di più il pubblico (come se ce ne fosse bisogno), culminando nel quarto atto con delle intensissime (sopra e sotto il palco) “Numb”, “In the End” e “Faint”.
Una breve pausa ci accompagna all’ultima parte con un altra tripletta di brani eccezionali: “Papercut”, “A Place for My Head” e “Heavy Is the Crown”, chiudendo lo show con “Bleed It Out”: game, set, partita. Dopo due ore di spettacolo intenso possiamo dire che i Linkin Park sono tornati e sono tornati da campioni.
Setlist:
Inception Intro A
Somewhere I Belong
Crawling
Cut the Bridge
Lying From You
The Emptiness Machine
Creation Intro A
The Catalyst (Shortened)
Burn It Down
Up From the Bottom
Where’d You Go (Fort Minor cover)
Waiting for the End
Joe Hahn Solo
Empty Spaces
When They Come for Me / Remember the Name
Two Faced
One Step Closer
Break/Collapse
Lost
Stained
What I’ve Done
Kintsugi
Overflow (with Depeche Mode’s “Enjoy the Silence” intro)
Numb (with “Numb/Encore” intro)
In the End
Faint
Resolution Intro A
Papercut
A Place for My Head
Heavy Is the Crown
Bleed It Out
JPEGMAFIA
JIMMY EAT WORLD
SPIRITBOX
gallerie in attesa di approvazione da parte del management della band.
LINKIN PARK