25/01/2020 - LITA FORD + 17 CRASH + SANDNESS @ Slaughter Club - Paderno Dugnano (MI)

Pubblicato il 01/02/2020 da

Introduzione a cura di Lorenzo ‘Satana’ Ottolenghi
Report a cura di Lorenzo ‘Satana’ Ottolenghi e Roberto Guerra

Preparate le bandane d’ordinanza, gli stivali texani e gli spandex, perché lo Slaughter Club di Paderno Dugnano, per una sera, si trasforma in una macchina del tempo e ci porta sulla Sunset Strip a fine anni Ottanta! Lita Ford sceglie l’Italia per una delle uniche due date europee, dopo una novantina di concerti tenuti tra il 2018 e il 2019 in USA e Canada. La Ford è una chitarrista e cantante dalle ottime doti tecniche, ma non solo: è anche compositrice prolifica e capace di attorniarsi di musicisti e collaboratori di tutto rispetto, da Lemmy ad Ozzy, per esempio. Un terzo dello show è stato (giustamente) dedicato a “Lita”, il disco del 1988 che le valse un notevole numero di dischi d’oro e di platino (in un periodo in cui i dischi si vendevano ancora e, quindi, queste certificazioni significavano numeri impressionanti di copie) e una delle power ballad più iconiche del periodo. A sessantuno anni, Lita Ford è ancora in gran forma: nessun cedimento della voce, che sembra immutata nel tempo, ottima presenza scenica e grande abilità alla chitarra. Insieme a Sandness e 17 Crash, la cantautrice ci ha regalato una serata di quello che oggi, in modo forse un po’ spregiativo, viene definito hair metal, ma che allora era irriverente glam…

 


SANDNESS 

Per dare il via ad una serata di stampo prettamente ottantiano ci vuole senz’altro la giusta attitudine: il look sgargiante di questo terzetto di rocker lascia prontamente trasparire la possibilità di essere incappati nell’atmosfera desiderata, la quale trova immediatamente il suo risvolto musicale nel momento in cui i Sandness mettono mano agli strumenti. Un hard rock melodico ed orecchiabile, con più di qualche sfumatura di stampo glam a rendere appetibile la loro proposta a qualunque amante di Motley Crue, Poison, H.E.A.T. e compagnia simile, il tutto enfatizzato da una triplice prestazione vocale a donare un gusto diverso ad ogni brano e/o passaggio. Decisamente non siamo in presenza di nulla di particolarmente eclatante, ma i Nostri la loro parte la fanno tutto sommato bene, e anche la reazione dei presenti in fin dei conti appare discretamente calorosa ed entusiasta al momento dei saluti. Un buon inizio, dunque.
(Roberto Guerra)

17 CRASH
A metà strada tra hard rock e glam metal, i livornesi 17 Crash sono ormai una realtà ben radicata nella scena italiana; avendo aperto per Faster Pussycat, Girlschool e Crazy Lixx, Rob Crash e compagni hanno le qualità e l’esperienza necessarie per scaldare il pubblico in attesa di Lita Ford. E, non c’è che dire, i rocker toscani ce la mettono tutta, cercando di rispettare al meglio onore e onere di questo compito; la presenza scenica c’è e il gruppo – è evidente! – è andato a scuola dai big che bazzicavano il Sunset Strip negli anni Ottanta, imparando la lezione, facendola propria e riproponendola con un tocco personale. Il pubblico, numeroso, resta presente durante lo show (purtroppo, questo, un comportamento non scontato con le band di supporto) ma, seppur sembri gradire, pare poco partecipe. I tentativi di interazione di Rob Crash ricevono tiepide risposte dalle prime file, mentre la gran parte degli astanti resta in silenzio, limitandosi a qualche applauso e a qualche corna in aria. Probabilmente la percezione non è la stessa dal palco, visto che le avanguardie sono comunque più che reattive; d’altra parte i 17 Crash, con collaudata esperienza e professionalità, proseguono col loro show così come era stato preparato. Ripetiamo, prova più che convincente dei livornesi e il pubblico non ci è parso non aver gradito: possibile che ci fosse un po’ di stanchezza o, semplicemente, molti avessero deciso di risparmiare le forze per il main-act della serata. Spiace, perché una realtà come questa avrebbe meritato un po’ più di ‘dispendio di energie’ da parte degli astanti.
(Lorenzo ‘Satana’ Ottolenghi)

LITA FORD
Le note di “Balls To The Walls” degli Accept partono appena le luci si abbassano, e da subito l’atmosfera cambia. Sarà perchè si tratta di uno dei pezzi più classici di Udo e compagni, sarà che finalmente è il momento che tutti attendono, fatto sta che il pubblico, fin qua un po’ sonnolento, si sveglia. Lita parte subito diretta, inanellando: “Gotta Let Go”, “Larger Than Life” e “Relentless”, unica concessione al periodo, non certo fortunato, con e dopo Jim Gilette, con oltretutto un testo carico di sentimento di rivalsa e dal contenuto molto forte, per poi tornare a “Hungry”. Lita Ford e la sua band sono decisamente in forma: nessuna sbavatura da parte di Mary O’Brien al basso e Bobby Rock alla batteria, mentre Patrick Kennison si rivela un comprimario strepitoso, dividendo voce e assoli con Lita. Dopo “The Bitch Is Back” (cover di Elton John), si ritorna al passato con “Playin’ With Fire” da “Dangerous Curves” (disco che prende il nome da una canzone dedicata alla rocker da Sammy Hagar), per concludere quella che, idealmente, è la prima metà del concerto. Già fino a qua è evidente perché Lita Ford sia considerata una leggenda della musica e come il suo percorso, partito con le Runaways quando aveva solo sedici anni, la abbia portata alla Guitar Player Hall Of Fame: il carisma che trasuda dalla musicista anglo-americana è incredibile, così come la capacità di intrattenere il pubblico, suonare e cantare a sessantuno anni e con una vita decisamente ‘rock’ alle spalle. Così, la naturale spartiacque è “Can’t Catch Me”, scritta per lei (come Lita ci ricorda) da Lemmy e che ci porta nella parte dello show incentrato, per buona parte, su “Lita”; il lungo assolo di batteria di Bobby Rock è probabilmente la sezione più debole del concerto (non tanto per la qualità, quanto per una durata forse un po’ eccessiva), ma ci riprendiamo subito con il frutto di un’altra collaborazione eccellente: “Falling In And Out Of Love”, scritta con Nikki Sixx. Si prosegue con “Out Of Blood” e “Cherry Bomb” (forse il più grande successo delle Runaways, la band in cui la Ford militò all’inizio della sua carriera), seguita da altre due cover: “Black Leather” dei Sex Pistols e un’intensissima “Only Women Bleed” di Alice Cooper, un pezzo che, nonostante abbia quarantacinque anni è, purtroppo, ancora molto attuale; che sia poi una donna a cantare quelle parole rende il loro senso ancora più tragico e straziante. Ma Lita non è qua per risparmiarsi, così ecco “Close My Eyes Forever”, scritta e duettata con Ozzy, una ballad stupenda, come forse solo le band di quegli anni sapevano scrivere; Patrick Kennison riesce a fare un ottimo lavoro, non cercando di imitare Ozzy, alle prese con la maggior parte delle vocals del pezzo, ma cantando a suo modo, senza snaturare una tal gemma. La chiusura, come è naturale che sia, è lasciata a “Kiss Me Deadly”, altro capolavoro della Ford. Un concerto intenso, divertente e riuscitissimo che ci riporta una Lita Ford in gran forma, coadiuvata da una band affiatata, il cui rapporto sembra decisamente forte – tanto che Lita presenterà Patrick come ‘lead guitars and lead vocals’, quasi a sminuirsi – in barba a chi vorrebbe il glam metal morto e a chi prevedeva una quasi totale assenza di pubblico. Una serata di quelle da ricordare a lungo e un’artista che troppi hanno, a suo tempo, sottovalutato o relegato a poster di qualche rivista, ma che, proprio come ci ha ricordato in “Relentless”, ‘never got the cover of guitar magazines and I play guitar like no chick they’d ever seen. Got Platinum records hanging on my wall the bigger they are you know the harder they fall’.
(Lorenzo ‘Satana’ Ottolenghi)

Setlist:
Gotta Let Go
Larger Than Life
Relentless
Hungry
The Bitch Is Back (Elton John cover)
Playin’ With Fire
Back To The Cave
Can’t Catch Me
Drum solo
Falling In And Out of Love
Out For Blood
Cherry Bomb (The Runaways cover)
Black Leather (Sex Pistols cover)
Only Women Bleed (Alice Cooper cover)
Close My Eyes Forever
Kiss Me Deadly

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