A cura di Luca Pessina
Da circa un decennio un appuntamento fisso della scena death metal della capitale britannica, il London Deathfest sta ultimamente assumendo connotati sempre meno underground, soprattutto grazie agli sforzi della Arcane Promotions, che nelle recenti edizioni è riuscita a ingaggiare realtà di indubbia fama come Cryptopsy o Immolation. Con l’edizione di quest’anno si è compiuto però il vero salto di qualità: non solo un headliner “di nome” – i Deicide – ma anche diverse support band di grande valore, che hanno elevato a dismisura la caratura dell’evento. Non a caso, l’Underworld di Camden è andato ben presto sold out e il pubblico ha riempito il locale sin dalle prime ore del pomeriggio. Purtroppo non siamo riusciti ad arrivare in tempo per assistere alle performance degli opener locali Oblivionized e dei belgi Fractured Insanity (che pare abbiano “spaccato”), ma è stato ampiamente sufficiente il resto della giornata per avere la netta impressione di trovarci in un festival molto ben organizzato e con la giusta atmosfera. Speriamo quindi che nel 2012 il Deathfest si riconfermi su questi livelli… non vi è mai sovrabbondanza di eventi underground seri e professionali come questo.
SERIAL BUTCHER
In poco meno di mezzora, i Serial Butcher riescono a fare un’ottima figura davanti a una sala già discretamente piena. I suoni sono sin da subito piuttosto nitidi e il quartetto olandese si dimostra affiatato e “dentro” lo show, mantenendo per tutta la sua durata un’attitudine positiva ed esaltata. Certo, lo stile della formazione non è nulla di trascendentale, ma i brani sono tutto sommato ben costruiti e incentrati su riff di facile presa, molto adatti a essere riproposti dal vivo. Una miscela di Cannibal Corpse d’annata, Dying Fetus e qualcosina dei primi Decapitated che il pubblico gradisce e supporta sino al termine del set.
BASEMENT TORTURE KILLINGS
Tocca quindi alla realtà locale dei Basement Torture Killings, quartetto che ultimamente sta aprendo numerosi concerti di nomi affermati della scena, dai Cattle Decapitation ai Malevolent Creation, arrivando ovviamente ai Deicide. La loro proposta è strettamente collegata a un concept di stampo gore, con evidenti richiami alle solite storie di serial killer, e non è un caso che i nostri si presentino sul palco con maschere, cappucci e altri orpelli di scena. Potendo già contare su un certo seguito nella scena londinese, i BTK ci mettono poco a infiammare la platea: i suoni sono buoni e la presenza scenica senz’altro non manca loro. Ne viene dunque fuori uno show breve ma incisivo, come prevedibile del tutto incentrato sul recente full-length “The Second Cumming”. Le strizzate d’occhio a Macabre e vecchi Carcass a volte risultano assai palesi, ma gli astanti non ci fanno troppo caso e sostengono i ragazzi come veri e propri idoli di casa.
AMPUTATED
Ci pensano quindi gli Amputated a tenere ulteriormente in alto la bandiera britannica. Il quintetto di Bristol suona live molto spesso e il suo affiatamento e la sua esperienza risultano indubbi nel giro di pochi istanti. Inoltre, la sua proposta è a dir poco ideale a essere suonata dal vivo. Slam dopo slam, breakdown dopo breakdown, gli Amputated demoliscono letteralmente la sala, innescando un vero massacro in prossimità del palco. Il frontman Morbid Mark presenta i pezzi con dovizia di particolari, facendo morire dalle risate tutti gli astanti (immaginate come possa suonare la descrizione del testo di un brano intitolato “Uterus Swollen With Festering Putrescence”) e quando la band attacca il suono è talmente grasso e groovy che è impossibile rimanere fermi. A livello stilistico non saranno dei geni, ma per impatto e ignoranza gli Amputated sono in grado di far rabbrividire anche gente come i Devourment.
THE AMENTA
Con gli australiani The Amenta si entra definitivamente nel vivo del festival. Il gruppo pare essere molto atteso, ma purtroppo deve fare i conti sin dalle battute iniziali con dei suoni bassi e abbastanza impastati, che lasciano ben poco scampo alla grossa mole di effettistica su cui i brani sono spesso basati. Anche dopo qualche traccia, i nostri faticano a ingranare e, forse perchè consapevoli della cattiva resa di oggi, assumono un atteggiamento un po’ dimesso. Fa però eccezione il frontman Cain Cressall, ottimo sotto ogni punto di vista: il Nostro copre tutto il palco con notevole sicurezza, canta con convinzione e, grazie a un body-painting azzeccatissimo, riesce ad attirare su di sè buona parte dell’attenzione dei presenti. Anche e soprattutto per la sua convincente prova, resta alta la voglia di rivedere dal vivo gli australiani… siamo piuttosto certi che con dei suoni migliori il death metal industriale del gruppo possa dire la sua anche in sede live.
HOUR OF PENANCE
Per fortuna, gli Hour Of Penance non incappano più di tanto nei problemi di mixaggio che hanno danneggiato il concerto dei The Amenta. Il gruppo nostrano calca il palco decisamente “carico” e si rende protagonista di una delle migliori performance della giornata. Come annunciato mesi fa in sede di intervista, il frontman Paolo Pieri ora si occupa anche della chitarra ritmica e questo cambio di assetto si rivela ben presto essere decisivo nella riuscita dello show. Il death metal della band acquista infatti ulteriore impatto, risultando più concreto e molto incisivo anche nelle parti più veloci e concitate. Inoltre, oggi le linee vocali vengono gestite anche dal bassista Silvano Leone (oggi a dir poco scatenato) e, in misura minore, da Giulio Moschini; ne esce un doppio/triplo attacco vocale che su tracce come “Absence Of Truth” fa letteralmente faville! Insomma, gli Hour Of Penance arrivano all’Underworld davvero affiatati e in una veste rinnovata assolutamente vincente. Nella setlist spicca il recupero della tiratissima “Slavery In A Deaf Decay” da “The Vile Conception” e, soprattutto, un nuovo brano, “Sedition Through Scorn”, che ha rivelato una ulteriore evoluzione nello stile dei ragazzi, con più cambi di tempo e alcuni riff particolarmente “ignoranti” e old school, che dal vivo paiono funzionare benissimo. Non a caso il pubblico acclama a gran voce il quartetto, il quale si congeda dopo mezzora con “Misconception”, ormai un classico del repertorio.
BELPHEGOR
Per circa quindici anni i Belphegor sono stati un nome come tanti nella scena black-death europea. Poi, il passaggio alla Nuclear Blast e una immagine rinnovata (sulla falsariga di quella dei Behemoth) hanno fatto letteralmente spiccare il volo alla band austriaca, che ha iniziato ad andare in tour incessantemente e a sfornare dischi in rapida successione. Oggi, insomma, sorprende un po’ vedere i nostri esibirsi come support band principale di un nome storico come i Deicide, peraltro davanti a una folla ampiamente adorante. Queste considerazioni, comunque, lasciano il tempo che trovano una volta che i Belphegor danno il via al loro show: Helmuth è un frontman poco simpatico, ma certamente esperto, mentre il resto del gruppo – reduce da un lungo tour americano – appare rodato e professionale sotto ogni punto di vista. In sostanza, si può discutere sull’effettiva qualità di certo materiale dei nostri – che alle orecchie di chi scrive a volte appare un po’ generico – ma la loro prestanza on stage è e rimane indubbia. Per quaranta minuti il gruppo rapisce il pubblico e non sbaglia praticamente una virgola, esaltando a dismisura i die-hard fan soprattutto con “Impaled Upon The Tongue Of Satan”.
DEICIDE
E viene finalmente il momento degli headliner! La sala è gremita, le prime file sono un vero e proprio carnaio e l’eccitazione è alle stelle. Non a caso, quando Glen Benton si presenta sul palco, sembra che una divinità (o meglio, un demone!) si sia manifestata all’interno dell’Underworld tanto il boato è assordante. Il fisico non è più quello dei tempi d’oro e la panza avanza, ma il growling del frontman sembra reggere bene il passare degli anni. Non si può invece dire lo stesso di Jack Owen, che sul palco appare stralunato e completamente distaccato, quasi come se mentalmente fosse a migliaia di chilometri di distanza. Dal canto loro, il buon Ralph Santolla e Steve Asheim dietro le pelli si danno da fare come al solito, brillando per precisione e, tutto sommato, anche per trasporto. Come prevedibile, i nostri promuovono a dovere il nuovo “To Hell With God”, prima loro uscita per Century Media, ma puntano parecchio anche sui classici, aprendo infatti il concerto con “Homage For Satan”, “Dead By Dawn” e “Once Upon The Cross”. Purtroppo viene come sempre un po’ ignorato il capolavoro “Legion”, rappresentato soltanto da “Dead But Dreaming”, tuttavia “They Are the Children Of The Underworld” e “Lunatic Of God’s Creation” riescono ugualmente a fare la gioia dei fan della prima d’ora. Del resto, anche una ben assestata “Scars Of The Crucifix” si rivela ben più efficace ed invitante di molte delle tracce dell’ultimo album. Ad onor del vero, queste ultime dal vivo acquistano qualche punto in più, ma nel complesso risultano sempre e comunque più scialbe rispetto al resto del materiale proposto in scaletta questa sera. Detto di un Benton in palla, simpatico e motivato per tutto l’arco della performance, questa sera i Deicide si rendono artefici di un concerto all’altezza della loro fama. Per anni il loro è stato un nome assai traballante quando associato ai live (soprattutto a causa di tutti gli annullamenti last minute degli ultimi anni), ma questa sera c’è effettivamente poco da appuntare ai floridiani. Sono arrivati e hanno fatto il loro, regalando ai fan esattamente ciò che questi ultimi desideravano, ovvero un’ora di blasfemia e death metal vecchia scuola, come si faceva una volta.