20/02/2020 - LORDI + TARCHON FIST + FLESH ROXON @ Druso - Ranica (BG)

Pubblicato il 24/02/2020 da

Report a cura di Simone Vavalà

Era da qualche anno che il carrozzone horror di Mr. Lordi non passava dalle parti di Milano; se rispetto alle storiche esibizioni all’Alcatraz – o al nostro festival, nel 2012 – leggere di una data al Druso può avervi fatto storcere il naso, così non è stato per i circa 500 presenti, che hanno premiato non solo l’ormai mitica band finlandese, ma anche un locale che, per quanto periferico, conferma di avere un’ottima acustica e capacità di accoglienza, meritando di ospitare non solo ‘nobili decaduti’ della scena. Prima dei Lordi, la serata prevede una programmazione piuttosto eterogenea, ma che si rivela complessivamente coinvolgente in tutte le sue sfaccettature.


FLESH ROXON
L’apertura è affidata ai Flesh Roxon, anche loro finlandesi, sebbene di Tampere. La loro proposta musicale è uno psychobilly egualmente debitore di band come Demented Are Go! e Misfits, questi ultimi nella loro dimensione più fifties, adottata negli ultimi anni. Con camicie a maniche corte, bretelle e cravattini di ordinanza, oltre alla presenza sempre imponente del contrabbasso, i quattro offrono uno spettacolo decisamente divertente, con brani accattivanti che mischiano bene il sound rock n’roll all’attitudine punk. Solo venticinque minuti di esibizione, ma perfetti come aperitivo per il resto della serata.

TARCHON FIST
I Tarchon Fist hanno come elemento di notorietà principale la presenza in formazione di Luciano Tattini, ex chitarrista e membro storico dei Rain. Come loro, fanno dell’indefessa difesa dell’heavy metal più classico la loro missione, riuscendo nell’impresa con la professionalità e l’entusiasmo di chi calca i palchi da diversi decenni. La qualità dei musicisti è fuori discussione, i brani qualche volta cedono un po’ alla sensazione di già sentito, ma la voglia di coinvolgere il pubblico e l’energia messe in campo sono encomiabili e fanno scordare eccessi critici; di particolare rilievo l’esibizione del cantante Mirco Ramondo, che oltre a mostrare buona estensione vocale, incita e acclama il pubblico fin dal primo brano. Facendo magari un po’ sorridere, ma colpendo soprattutto per il sincero amore per il metal. Il finale è affidato a veri e propri inni in cui i Tarchon Fist coinvolgono per i cori tutti i presenti – anche chi non ha, magari, mai sentito i loro dischi: e titoli come “Heavy Metal Black Force” o “Proud To Be Dinosaurs” non lasciano né dubbiosi né indifferenti gli scampoli di defender racchiusi tra il pubblico.

LORDI
Con un leggero ritardo sulla tabella di marcia, alle 22:50 salgono infine sul palco i Lordi, con il loro assodato ma sempre divertente armamentario di portali da castello degli orrori, ragnatele sui microfoni, teste mozzate e riproduzioni fumettistiche dei membri stessi. Come il gigantesco leader ricorderà nel corso della serata, in fondo i Lordi nascono come omaggio alla loro band del cuore, e ovviamente parliamo dei Kiss, di cui riprendono tutto l’apparato scenografico e pacchiano, francamente con parecchia qualità in più nell’esibizione (almeno di questi tempi). Come nel caso della band di Paul Stanley, di cui propongono anche un brano scritto appositamente per loro (“Like A Bee To The Honey”), nel corso della serata ci sarà spazio per assoli per tutti i membri della band e, oltre ai divertenti siparietti, anche in questi frangenti dimostreranno di avere buonissime doti musicali. Una menzione di onore va fatta per Amen, anche lui membro fondatore della band, spesso oscurato dalla personalità del cantante, ma il cui peso specifico – fatto di riff e ottima presenza scenica – ha non poca importanza nell’economia dei Lordi. Passando alla scaletta, non ci sono quasi momenti morti: c’è il giusto tributo al recentissimo nuovo disco, con ben cinque estratti, quasi in apertura un medley da “Babez For Breakfast”, e persino quando scelgono pezzi meno apprezzati riescono ad accattivarsi il pubblico. Ne è riprova il momento in cui Mr. Lordi chiede ironicamente conferma che “Deadache” sia considerato anche in Italia il loro album peggiore, prima di proporre “The Ghosts Of The Heceta Head”, accompagnata da una delle numerose comparse sul palco di figuranti; in questo cast da grandguignol si segnalano anche la penitente a cui il bassista Hiisi strappa il cuore durante l’assolo e Skeleton con testa mozzata di He Man, ovviamente durante l’adrenalinica e ironica “Let’s Go Slaughter He-Man (I Wanna Be The Beast-Man In The Masters Of The Universe)”. L’ultimo assolo è il simpatico duetto tra chitarra e tastiere, inframmezzato dalla gobliniana “Magistra Nocte”, prima del gran finale con un trittico dedicato ai loro più grandi successi. Tra fumo e coriandoli sparati da fucili modificati e corna a go-gò verso il pubblico, chiudono un ottimo concerto “Hard Rock Hallelujah”, “Devil Is A Loser” e “Would You Love A Monsterman?”, con il pubblico a saltare e cantare a squarciagola, a dimostrazione dell’apprezzamento per questo immarcescibile circo.

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