Report di Edoardo De Nardi
Fotografie di Pamela Mastrototaro
Oltre alle serate dedicate a Slipknot e Judas Priest, c’è un altro evento in programma al Ferrara Summer Festival che ha fatto drizzare le orecchie di molti rocker della vecchia scuola: i Lynyrd Skynyrd infatti hanno presenziato all’evento emiliano nella serata del 29 giugno, dopo un’assenza di oltre dieci anni dai palchi italiani e pronti ad incendiare il pubblico con il suono torrido del loro southern rock d’autore.
Nonostante le molte polemiche legate all’impossibilità di portare cibo ed acqua all’interno della piazza Ariostea, nonché alcuni dubbi in merito alla resa acustica della piazza a seguito della performance degli Slipknot di qualche giorno prima, il pubblico italiano risponde con calore alla chiamata della band americana, partecipando in buon numero e con anche diversi giovani avventori intenzionati a godersi lo show altamente spettacolare garantito dai Lynyrd Skynyrd da molti anni a questa parte, una sorta di circo itinerante dove musica, immagini, emozioni e ricordi si fondono in un tutt’uno atto a celebrare un tassello fondamentale della storia rock/blues americana e mondiale.
Anche per quanto riguarda le band di supporto, lo sguardo si rivolge decisamente all’indietro, tanto per la performance di Deborah Bonham Band (si, il cognome della cantante non mente) che quella di Simon McBride, chitarrista britannico naturalizzato statunitense salito alla ribalta principalmente per la sua recente militanza nei Deep Purple, ed impegnato a Ferrara con la sua band solista.
Un ensemble complessivamente votato quindi ad una concezione classica, storica del rock’n’roll, in una dimostrazione di amore verso i primordi del genere che trova ancora dei sostenitori accorati ed affezionati tra le file di appassionati italiani.
In un periodo di cambiamenti, sperimentazioni ed evoluzioni, ci siamo lasciati trasportare dalla bellezza senza tempo di canzoni che hanno contribuito a definire i contorni e le grammatiche della ‘nostra’ musica, in una delle ultime occasioni di godere dal vivo dell’energia e della classe di questi paladini del rock, ancora così divertenti e divertiti nonostante le oltre sei decadi (!) di attività musicale.
Il compito di scaldare gli animi (già ampiamente surriscaldati dal clima bollente della giornata) spetta a DEBORAH BONHAM e la sua band, che senza molti preamboli o introduzioni irrompe puntuale sul palco nelle ultime ore del tardo pomeriggio.
Naturalmente, tutti gli occhi sono puntati sul cognome enorme che la sorella del mitico John ‘Bonzo’ Bonham (per i pochissimi che non lo sapessero, batterista dei leggendari Led Zeppelin) porta con sé insieme alla sua voce, ed appare quasi scontato muovere da subito un paragone tra la proposta degli Zep e quella di questa nuova band di stasera: in effetti, il rock/blues del combo appare influenzato tantissimo dalle gesta del famoso fratellone di Deborah, tanto che si viene per un momento scaraventati con la memoria alle atmosfere dense e fumose dei festival musicali degli anni ’70.
I ritmi delle canzoni proposte sono infatti molto coinvolgenti, e permettono di godersi una mezz’ora abbondante di sano rock’n’roll eseguito con perizia da musicisti scafati ed abili esecutori. Il lavoro alle sei corde di Peter Bullick soprattutto, risalta per ispirazione e bravura, capace di passare con grande esperienza dai blues più sentiti alle scariche di assoli rock dei brani più grintosi, sopperendo così a qualche sbavatura di troppo che emerge dalla sezione ritmica durante l’esibizione. Deborah, dal canto suo, oltre che una somiglianza impressionante con Bonzo, sfodera una voce calda ed emotiva, forse non dotata di un’estensione particolarmente sviluppata, ma dotata del giusto carisma per accompagnare piacevolmente il resto della band nella loro simpatica esibizione.
Timida e sincera, la Bonham riesce ad instaurare un rapporto vincente con il pubblico, che sembra apprezzare con gusto le anime variopinte affrontate dalla band. Tra un omaggio a “Rock And Roll”, ballate e brani più soul oriented, il tempo a disposizione si esaurisce rapidamente e si arriva quasi senza accorgersene ai saluti di rito, particolarmente accoglienti nei confronti di questo vero e proprio tuffo nel passato, fino alle origini stesse della musica rock.
Ci prendiamo il tempo necessario per il cambio palco per apprezzare la cornice nel quale si svolge il Ferrara Summer Fest, una bella piazza in mezzo alla città dove alberi, prati ed ombra contribuiscono a rendere piacevole e non eccessivamente ostico il clima proibitivo che attanaglia l’Italia in questi giorni.
L’ampio numero di toilette, casse e bar inoltre rende particolarmente agile anche la gestione della folla, che inizia ad aumentare sensibilmente già dalle prime note che SIMON MCBRIDE sprigiona dalla sua chitarra elettrica.
Come detto, la fama del musicista americano risiede principalmente nel suo ingresso nei Deep Purple avvenuto nel 2022, ma se si pensa di assistere ad uno show sulla falsariga della sua band madre ci si sbaglia di grosso: piuttosto che ad un caldo hard rock britannico infatti, la proposta di Simon è decisamente orientata verso un hard/heavy di matrice americana, ispirata alle azioni di guitar hero come Satriani o Steve Vai e con un occhio di riguardo verso una ricerca melodica estremamente pulita, potremmo dire quasi radiofonica. McBride, impegnato alla chitarra e alla voce, si fa accompagnare da un bassista ed un batterista che reggono il comparto ritmico senza eccedere e senza brillare, lasciando campo libero alle evoluzioni chitarristiche del frontman.
A cavallo tra prodezze tecniche, brani più rocciosi ed altri più delicati, il trio si destreggia tra brani propri e cover rivisitate, senza dimenticare un rapido medley contenente “Child In Time” ed altre chicche prese in prestito direttamente dai Deep Purple. La bravura di McBride è indubbia, così come la sua capacità di unire intricate parti alla chitarra ad un cantato più lineare, ma sembra mancare quella connessione che si era andata a creare con la prima band in scaletta, rivelandosi come una performance quasi impeccabile, ma anche un po’ fredda nella comunicazione con il pubblico. Anche il chitarrista sembra accorgersene, e cerca di incitare la platea a scatenarsi sulla sua musica, suscitando qualche timida reazione tra le prime file del pit.
A conti fatti, l’heavy rock del power trio non si macchia certo di errori madornali o mancanze clamorose, ma siamo sicuri che l’approccio più moderno del gruppo non abbia riscontrato appieno i gusti di persone accorse all’evento per celebrare di persona il loro amore verso la musica di altri e più remoti decenni artistici.
Lentamente, la sera cala sulla piazza Ariostea, mitigando un po’ le temperature e concedendo di godersi un po’ di fresco rigenerante prima di tornare alle temperature bollenti evocate dalle canzoni dei southern rocker per eccellenza, i LYNYRD SKYNYRD.
Chi già ha avuto modo di vederli in passato, o semplicemente di vedere qualche video live in rete, sa già a cosa sta andando incontro: tutti gli altri invece, verranno travolti a breve dalla carica totalizzante della band, che in un tripudio di musica suonata, immagini proiettate, cori e scenografie, catalizzano in men che non si dica l’attenzione di tutti i sensi del pubblico.
“Working For MCA”, tra i brani più movimentati del combo, sembra essere un’apertura perfetta per lo show, utilizzata per salutare ed incitare a dovere i fan italiani, prima di passare a stretto giro ai classici giri rock di “What’s Your Name” ed i suoi chiari rimandi alla sensualità pericolosa di una giovane ragazza. Chiude la terna iniziale “You Got That Right”, altro spaccato di energia che risolleva definitivamente Ferrara dalla morsa del caldo e della stanchezza fino a qui accumulate.
Johnny Van Zant, più che un cantante, è un abile intrattenitore e showman sul palco, teso a creare un rapporto di intima amicizia con la sua gente e mai disposto a soverchiare, con la propria personalità, il carisma micidiale dello scomparso fratello Ronnie: che si tratti della toccante proposizione di “That Smell”, o dell’intensa prestazione di “Saturday Night Special”, in realtà tutti i musicisti sul palco pagano con assoluta reverenza il proprio tributo verso una band che, è bene ricordarlo, non ha più membri originali in formazione, ma che vive grazie alla forza del ricordo e delle emozioni immortali trasmesse dalle sue canzoni.
Di tutta la scaletta ad esempio, solo “Down South Jukin’” non appartiene alla discografia della line-up classica, mentre “The Needle And The Spoon” e “Gimme Back My Bullets/Cry For The Bad Man” tornano all’epoca d’oro del gruppo.
Il concerto si fa particolarmente emotivo sulle note di “Tuesday’s Gone”, dedicato all’ultimo superstite dei vecchi Lynyrd, Gary Rossington, scomparso pochi anni fa, e della famosissima “Simple Man”, un invito leggendario a vivere la vita secondo valori semplici e tangibili. È tempo di tornare a spingere sulle distorsioni e “Gimme Three Steps” prima, ed una divertente versione di “Call Me The Breeze” poi, sono perfette per introdurre al gran finale, rappresentato da una immancabile “Sweet Home Alabama” e da “Freebird”, dedicata al mai troppo compianto Ronnie Van Zant.
Stiamo parlando di uno dei pezzi più belli e famosi della storia della musica rock, e ancora una volta si decide di rendere omaggio inserendo la voce campionata del frontman deceduto sulla musica eseguita in diretta a Ferrara, secondo un’unione tra passato e presente veramente da brividi.
Lo show si chiude sugli assoli infiniti, eccessivi, stupendi di “Freebird” appunto, un ultimo ruggito di libertà southern prima di tornare al silenzio carico di suggestività nella notte emiliana.
Celebrando devotamente il passato, ma senza per questo lasciarsi schiacciare da esso, i Lynyrd Skynyrd uniscono classe, eleganza, rispetto e tradizione, elevandosi ad ultimi paladini di un modo di intendere e vivere il rock ormai forse in via d’estinzione, ma ancora fresco, divertente e rombante come dimostrato da questa colossale prestazione di stasera.
Setlist:
Workin’ For MCA
What’s Your Name
You Got That Right
That Smell
Saturday Night Special
Down South Jukin’
The Needle And The Spoon
Gimme Back My Bullets/ Cry For The Bad Man
Tuesday’s Gone
Simple Man
Gimme Three Steps
Call Me The Breeze
Sweet Home Alabama
Free Bird
DEBORAH BONHAM
SIMON MCBRIDE
LYNYRD SKYNYRD