29/11/2019 - M.O.D. + IRREVERENCE + BOBSON DUGNUTT @ Slaughter Club - Paderno Dugnano (MI)

Pubblicato il 04/12/2019 da

Report a cura di Simone Vavalà

Aprire un report rubando una frase al vero protagonista della serata non è molto elegante, ma come resistere a sottolineare che, finalmente, abbiamo potuto sentire Billy Milano cantare a Milano (o appena fuori)? I M.O.D. attraversano di rado l’oceano, hanno una storia di split e ripartenze abbastanza travagliata e, insomma, l’occasione era troppo ghiotta, in quel dello Slaughter, per non correre ad assistere e a partecipare a del sano moshpit di rigorosa matrice NYHC…sebbene imbastardito quanto basti. In apertura, complice la nebbia attraversata, riusciamo a sentire solo le note finali dei Bobson Dugnutt, ma non perdiamo gli storici thrasher milanesi Irreverence, con cui iniziamo il nostro resoconto…


IRREVERENCE

Il quartetto guidato da Riccardo Paioro sale sul palco sulle note di un’intro cinematografica che crea la giusta atmosfera di tensione e violenza, subito esacerbata meravigliosamente dal loro attacco. Sono passati alcuni anni dall’ultima loro esibizione a cui abbiamo assistito e colpisce come, oltre all’immutata energia, per gli Irreverence siano cresciute ulteriormente la capacità di tenere il palco e di offrire al meglio i loro brani, anche nei momenti più intricati. Se si esclude infatti un breve passaggio acustico registrato, le intricate trame chitarristiche che li caratterizzano emergono perfettamente, miscelate al meglio ad una sezione ritmica infuocata, guidata come sempre dalla batteria del tuonante Davide Firinu. I due nuovi membri al basso e alla chitarra solista, entrati in formazione da pochi mesi, sembrano perfettamente integrati, anche sui pezzi degli album più datati, dai quali la band estrae diverse cartucce. C’è anche un momento di difficoltà, allorché per qualche minuto salta l’impianto voce, ma la ripartenza è serena e sicura, come si confà a una band che, pur non avendo mai scalato le vette del genere, ha ormai un quarto di secolo di rispettabilissima storia alle spalle.

M.O.D.
58 minuti per morire. Riprendendo l’apocrifo titolo italiano di un noto film, potremmo già chiudere qui il report del concerto degli headliner. Nemmeno un’ora piena di durata, almeno venti minuti di chiacchiere e facezie da parte di Billy Milano, eppure abbiamo ricevuto un’ondata di adrenalina di rara fattura. Dopo aver sottolineato quanto da noi riportato nell’introduzione, il barbuto Milano attacca con una sana dose di egocentrismo sulle note di “Ode To Billy”, chiarendo subito le cose: qui si celebrano trent’anni di questa band e degli amati/odiati cugini S.O.D. a colpi di riff ritmatissimi e sana cafonaggine. Il lato più becero, oltre che nell’aspetto dei musicisti sul palco, che avrebbero reso felice Lombroso per la loro acclarata aria da facinorosi redneck, emerge negli intermezzi parlati: Billy sottolinea innanzitutto come non siano più una band hardcore di New York ma texana, cosa che viene rivendicata dalla maglietta del chitarrista Jason French e dal nuovo logo che torreggia dietro la batteria. Sfiora poi, apparentemente, la rissa con uno spettatore della prima fila per diversi minuti a colpi di ‘FUCK YOU!’, dopodiché chiede ‘un buon espresso, che lo aiuta sempre a cagare’; e in effetti, dopo aver bevuto un caffè a metà concerto, cambia umore e prende la direzione del Bluto di John Belushi: provocatore col ghigno, (ancora più) chiacchierone ed entusiasta di sciorinare sul pubblico brani come “Get A Real Job” e “Kill Yourself” con annessa ignoranza. Ma soprattutto ci regala sul finale, non troppo sorprendentemente, parecchi brani dei mai troppo lodati Stormtroopers Of Death: e il politicamente scorretto tocca vette strepitose. “Speak English Or Die”, “United Forces”, “Pussy Whipped, “Milk”, “Douche Crew”, “Milano Mosh”: la sequenza è da mozzare il fiato e spezzare le gambe e scatena ancor più il pubblico, dimostrando – se ce n’era bisogno – che, ancor prima che quella dei M.O.D., questa è la serata di Billy Milano. Che ha sempre scelto onestissimi ma anonimi musicisti atti solo a sostenere il suo inimitabile mix di mosh-and-stomp; Milano è in fondo un leprecauno, l’incarnazione dello spirito hardcore d’antan, e lo dimostra anche invitando tutti i presenti ad andarlo a salutare al banchetto del merchandise e a farsi una foto con lui: promessa che manterrà con piacere e con un sorriso per ciascuno.

We mosh until we die
We mosh until you fry
You think that you can try
But can you do… the Milano Mosh?

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