Introduzione e report a cura di Bianca Secchieri
Ed eravamo presenti anche alla seconda data italiana del tour celebrativo dei primi venticinque anni di “Burn My Eyes” dei Machine Head, in quel di Padova. Raggiungiamo lo Hall con molta curiosità, ma molte meno aspettative: l’idea di ascoltare dal vivo e per intero quello che è stato uno dei migliori dischi di metal a stelle e strisce degli anni ‘90 ha chiaramente convinto molti dei più scettici, compreso chi non ha mai apprezzato, né seguito la band nel Ventunesimo secolo. I Machine Head sono stati, per chi è abbastanza anziano da ricordarlo – è brutto, ma tocca dire così – un raro connubio di autentica pesantezza metallica e innovazione, intesa come un modo nuovo di concepire i suoni, creatura bastarda nata dall’unione tra thrash, groove metal e hardcore. E’ con un mix di nostalgia per i quattordicenni che siamo stati (quando c’era ancora la lira) e di sospetto verso un gruppo che scelse di ‘tradire’ la sua essenza più estrema aderendo al controverso fenomeno del nu-metal, che facciamo il nostro ingresso in un locale già da subito particolarmente gremito.
Una sola anticipazione: ne è – quasi incredibilmente – valsa la pena. Per sapere il perché, vi tocca continuare a leggere.
NB: non sono presenti fotografie ufficiali dell’evento in quanto i Machine Head non hanno rilasciato photopass.
MACHINE HEAD – 1^ parte
L’ora (le 19.00) è piuttosto insolita per quello che non è un mini-festival, bensì uno show speciale che, come annunciato, si è svolto suddiviso in due parti distinte: da principio una setlist che ha pescato liberamente dalla discografia dei californiani e poi l’intera esecuzione del capitolo primo dei Nostri, quel “Burn My Eyes” di cui discorreremo nella seconda parte del nostro report.
Dicevamo: è parecchio presto, ma da programma – e in effetti sarà così – ci aspetta un mega-show di circa tre ore, peccato solo che l’organizzazione non abbia pensato ad almeno un’opzione ‘cibarie’, ragion per cui restano solo due soluzioni: frugare nello zaino alla ricerca di qualcosa di commestibile oppure tamponare con la storica accoppiata birre & sigarette. Al di là di questa clamorosa pecca e del fatto che l’assenza di qualsivoglia paninaro ambulante abbia tolto un briciolo di fascino alla situazione, siamo ben lieti di essere richiamati all’ordine dalle note di “Diary Of A Madman”, aka il vecchio Ozzy, e ancor di più di sentire la doppietta iniziale “Ten Ton Hammer” / ”Take My Scars”, highlight assoluti del secondo – e ottimo – “The More Things Change…”. Se con la prima il pubblico si dimostra già bello carico, è con “Take My Scars” che l’entusiasmo esplode in modo irrefrenabile. Sul palco c’è la line-up ufficiale della band, composta dal padre-padrone Robb Flynn, dal bassista Jared MacEachern e dai due nuovi acquisti, entrambi provenienti dal nostro continente, ovvero il batterista inglese Matt Alston e il chitarrista Vogg, tra i fondatori dei polacchi Decapitated. L’impressione è immediatamente positiva: l’energia è alle stelle e la prova del veterano Flynn appare da subito convincente. Da bravi malfidenti e aborritori del famigerato nu-metal quali siamo, ci chiediamo se per questo primo set le note positive non si siano già esaurite, ma rimaniamo piacevolmente sorpresi dal taglio evidentemente più metallaro che acquista un pezzo come “Now We Die”, pesantissima e dal retrogusto epico. Non è un caso isolato ed è facile ricollegare questa impressione proprio al recentissimo ingresso in formazione di una seconda ascia dal background classicamente death metal come Vogg. E coerentemente con tale approccio, non ci sono estratti dall’ultra-controverso “Supercharger”.
Si prosegue con la stessa intensità attraverso l’oscura “Imperium”, la successiva “I Am Hell (Sonata in C#)”, che guadagna parecchio in sede live in termini di potenza ed atmosfera, e la sottovalutata “Aesthetics of Hate”. Arriviamo così al primo break, durante il quale il nuovo acquisto si esibisce in un assolo (per la verità non tra i più memorabili che abbiamo avuto modo di udire) mentre il resto della band recupera il fiato.
I dolori arrivano con “Darkness Within”, e non perché l’esecuzione sia scarsa, anzi: il buon Robb si dimostra convincente anche nel cantato melodico, pulito ed intimistico della prima parte, semi-acustica, del brano; il problema è proprio il pezzo in sé, pseudo-ballad dal sapore grunge assolutamente dimenticabile. E’ il primo autentico momento di ‘down’, che prosegue durante il singolone “Catharsis” e ci permette di guardarci un po’ intorno: il pubblico, che nel frattempo è decisamente aumentato e riempie quasi completamente la venue, è per la maggior parte composto da over trenta, a loro volta suddivisibili in diverse sottocategorie: ci sono quelli che vengono dall’hardcore, quelli che ascoltavano musica pesante da ragazzini e non andavano ad un concerto da anni, poi ci sono i metallari; scarseggiano le cosiddette nuove leve, segno che la presa dei Nostri sui più giovani si è (non sorprendentemente) allentata parecchio. Mancano ancora una manciata di brani alla chiusura della prima parte del set, che a onor del vero ha già dato il meglio di sé, e, pur continuando ad intrattenere, ci fa venir voglia di arrivare finalmente al momento principe della serata.
Setlist 1^ parte:
Diary of a Madman (intro – Ozzy Osbourne)
Ten Ton Hammer
Take My Scars
Now We Die
Beautiful Mourning
Locust
Imperium
I Am Hell (Sonata in C#)
Aesthetics of Hate
Guitar Solo (Vogg)
Darkness Within
Catharsis
From This Day
Is There Anybody Out There?
Halo
MACHINE HEAD – 2^ parte
La pausa, che sulla carta avrebbe dovuto durare venti minuti, è in realtà dimezzata; giusto il tempo di uscire per una boccata d’aria, asciugarsi il sudore e scambiare qualche battuta e “Real Eyes, Realize, Real Lies”, qui in veste di intro, richiama sotto il palco tutti i presenti. La line-up è come promesso cambiata: Logan Mader e Chris Kontos, rispettivamente a seconda chitarra e batteria, riprendono per l’occasione il posto che era appartenuto loro in passato e si parte con il terremoto velenoso che è “Davidian”. L’impressione è di avere di fronte una band più coesa e consapevole, il che è quasi fisiologico, considerando che la line-up ufficiale non si è consolidata che pochi mesi fa, mentre la formazione originale (quasi al completo, ricordiamo l’esclusione del bassista Adam Duce) ha suonato e composto assieme per anni. Il cambio di sound in ogni caso è evidente ed è accompagnato da un generale miglioramento del settaggio degli strumenti, che nella prima parte del concerto non era stato ottimale, sebbene in fase crescente in termini di resa. Quello che davvero stupisce è la resa ancora altissima di Robb Flynn e Jared MacEachern dopo due ore abbondanti di uno show nel quale non si sono risparmiati nemmeno per un secondo. Per quanto riguarda le canzoni, possiamo solo dire che alla prova del live tengono benissimo rispetto ai venticinque anni che si trovano sul groppone, per quanto il sound sia immediatamente riconoscibile come anni ‘90, e del resto non potrebbe essere diversamente, considerando che, assieme al coetaneo “Far Beyond Driven” dei Pantera (e a pochi altri dischi coevi), “Burn My Eyes” ha definito un genere, un sound, una generazione di metallari americani scampati al grunge, mentre il Vecchio Continente si divideva tra gli estremismi sonori e attitudinali della truce Scandinavia e quelli ammantati di malinconia gotica inglesi.
Il tiro è micidiale ed impietoso: “Old” e “A Thousand Lies” fanno muovere e cantare chiunque, “Blood For Blood” è una gettata di cemento che sa investire in pieno petto, mentre “Block” ci finisce con la brutalità di una martellata sul cranio. In mezzo a tutto questo pandemonio c’è spazio anche per due cover che confermano (qualora ce ne fosse bisogno) l’amore dei Nostri verso il thrash metal più classico; si tratta di due medley: “Welcome Home (Sanitarium)” / ”Battery” dei Metallica e “Raining Blood” / ”South Of Heaven” degli Slayer, che mandano letteralmente in visibilio gli astanti. Lo show si chiude abbondantemente oltre le tre ore e la cosa forse più interessante – al di là della musica stessa – è l’atmosfera di festa che si è respirata durante l’esibizione. Flynn e soci non solo sono in ottima forma, ma sembrano davvero godersi ogni minuto della serata, con il pubblico lì con loro; c’è tutto quello che ci si può aspettare e anche di più: i cori, gli assoli, i circle-pit, il wall-of-death, la gente che salta al grido di ‘jump, jump, jump!’ nei frangenti più ritmati, c’è uno dei cameraman ufficiali (unici ammessi a fotografare e registrare… dvd in arrivo?) che fa crowd surfing e un tizio che perde una scarpa, ci sono i discorsi mediamente qualunquisti del frontman sulla vita (“Anche nei momenti peggiori l’importante è continuare ad andare avanti”), le inevitabili battute sulla fi*a corredate dalle ghignate complici del pubblico, le foto finali dal palco, le corna al cielo… Insomma, tutto ciò che si può volere da un sabato sera metallaro con gli amici, birra alla mano.
Ed è per questo che ci sentiamo di perdonare i momenti artisticamente dimenticabili e l’assenza di fucilate quali “Struck A Nerve” o “Down To None”: perché ci siamo divertiti praticamente dall’inizio alla fine, come ci si diverte con la vecchia compagnia di quando eri adolescente durante una rimpatriata dopo tanti anni; e sebbene tutto sia cambiato, alcune cose tornano ad essere le stesse, almeno per qualche ora.
Setlist 2^ parte:
Real Eyes, Realize, Real Lies (intro)
Davidian
Old
A Thousand Lies
None but My Own
The Rage to Overcome
Death Church
A Nation on Fire
Blood for Blood
I’m Your God Now
Welcome Home (Sanitarium) / Battery (cover Metallica)
Raining Blood / South of Heaven (cover Slayer)
Block