19/06/2023 - MADROOK FESTIVAL

Pubblicato il 27/06/2023 da

Il Madrook Fest di Brescia è comparso un po’ improvvisamente in tarda primavera nei nostri radar: location, bill e i primi dettagli si sono fatti notare – nella massa indistinta di tour, cancellazioni e conferme – per non appartenere alla serie di eventi estivi italiani più o meno abituali.
Così, incuriositi a sufficienza, abbiamo deciso di recarci in quel del Castello di Brescia con il duplice obiettivo di capire le potenzialità di questo evento e assistere al ritorno sul suolo italiano dei Born Of Osiris, ormai assenti da ben sette anni.
Il colpo d’occhio conferma come la location sia decisamente suggestiva, visto che si tratta di un grande parco sulla collina che domina la città di Brescia: in uno spiazzo sufficientemente largo da contenere parecchie centinaia di persone è stato allestito un palco di dimensioni considerevoli (utilizzato da quanto abbiamo capito anche per altri eventi musicali) e la vicinanza con i chioschi bar, l’area tavolini e i servizi a portata di mano si sono rivelati per noi una gradita sorpresa.

Alle 19.30 la prima band a salire sul palco sono i giovani bresciani HELIKON, un nome che si sta facendo sempre più notare. In un evento dedicato ai suoni metalcore la loro proposta è però sorprendente: i nostri suonano un thrash metal melodico di ascendenza Megadeth e gli Annihilator di “Set The World On Fire”, con diverse influenze heavy/power dovute alla voce del bravissimo Giacomo Merigo e a certe melodie che non possono non ricordare il power metal in voga negli anni ‘90.
Nel loro breve set spiccano diversi brani dal recente “Visions Of Dawn”, EP dal concept sci-fi, e una cover di “Tornado Of Souls” ben eseguita ma riconosciuta -ahinoi – da pochi fan di quelli presenti sotto il palco. Il loro entusiasmo, i continui sorrisi e la voglia di coinvolgere sono notevoli e sono sicuramente promossi per quel che ci riguarda, ma ci chiediamo davvero perché gli Helikon siano stati scelti per suonare davanti ad un pubblico a nostro avviso poco pronto a decodificarne i reali riferimenti musicali.
Il centinaio di persone presente nell’area comunque dimostra di gradire la proposta dei nostri e gli applausi non mancano.
Sono quasi le 20 e tocca agli ELYNE: iravennati sono attivi ormai da più di una decade e quatti quatti hanno pubblicato tre album, fatto tour e date in apertura per nomi decisamente pesanti. E’ un po’ difficile definirli una band ‘nuova’ e, a differenza degli Helikon, abbiamo avuto l’impressione che buona parte del pubblico avesse idea di chi stava salendo sul palco, forse anche grazie alla fama del cantante Danny Metal, noto youtuber e anche batterista di un’altra band chiacchierata come gli Slug Gore.
Sia come sia, l’alternative metal del gruppo è stato gradito dai presenti, nel frattempo sempre più numerosi.
Le coordinate su cui si muovono gli Elyne sono abbastanza note ovvero una miscela tra Slipknot, Stone Sour (per restare in famiglia), un po’ di metalcore e svariati nomi della scorsa generazione nu metal, dagli Static X ai Cold passando per gli Spineshank. Non ci eravamo completamente aggiornati sulla proposta dei nostri e abbiamo assistito ad un buono show, con la voce di Danny a proprio agio sia sui growl che sui puliti: soprattutto i nuovi singoli usciti quest’anno rendono molto bene e sono strutturalmente più soffici, meno basati sui riff e voci aggressive in favore di ritornelli in pulito curati e per niente banali.
Nel complesso è difficile sostenere che gli Elyne siano una band originale, ma sono sicuramente adeguati e sufficientemente coinvolgenti sul palco.
Dopo di loro tocca ad un’altra giovane realtà italiana che eravamo curiosi di sentire dal vivo, ovvero gli STAIN THE CANVAS, quintetto -core che si sta velocemente ritagliando spazi propri in una scena che non sembra mai sazia: appena rientrati da un lungo tour con gli Attila (e con elevate cifre di ascolto sulle piattaforme di streaming), i nostri ci hanno stupito per la convinzione con cui si sono presentati sul palco del piccolo festival bresciano.
Look emo, parti deathcore arrabbiate, ritornelli melodicissimi, un importante uso di basi e sfumature elettroniche in una miscela non propriamente originale e un po’ tamarra, ma senza dubbio efficace. Muovendosi fra un sottogenere e l’altro con disinvoltura, a tratti ci hanno ricordato anche i Ghøstkid di Sushi, lo storico cantante degli (allora) Eskimo Callboy.
I suoni li tradiscono un po’ all’inizio, e l’opener “Puppet” non rende nella maniera migliore, ma una volta sistemati i volumi il loro set si fa apprezzare dal pubblico presente. I cinque sono una band davvero giovane ma di sicuro sanno comporre brani efficaci e quasi tutto il repertorio sembra pescato dal secondo album “All Fine”; allo stesso modo la presenza sul palco non è perfetta, ma avranno di sicuro altro tempo per diventare ancora più solidi: in fondo, sono già arrivati a traguardi notevoli in poco tempo.
E’ il momento degli INVERNO, dopo le 21, per chi scrive la vera e propria sorpresa di questo festival.
La band italiana, formata da musicisti già noti tra cui Daniele Cavallotti (Lacuna Coil),  propone un metalcore da loro stessi definito “cold” che di base si divide tra le sonorità degli anni 2000 (Killswitch Engage, As I Lay Dying) e gli In Flames più moderni del dopo “Reroute To Remain”.
Quasi a far da contrasto con i coloratissimi Stain The Canvas che li hanno preceduti, i nostri hanno un’immagine molto sobria sul palco, forse fin troppo statica, ma se pensiamo che l’attività live per la band è appena iniziata, siamo convinti che tutto troverà una propria collocazione con il tempo. Musicalmente non abbiamo niente da obiettare, anzi, visto che l’esibizione è stata sorretta da suoni nitidi e potenti per tutto il tempo e bene o male tutto il repertorio dell’EP “Obsidian Blood” si è rivelato efficace.
Molto belle le melodie vocali alternate fra canonici growl e puliti in pieno stile In Flames e gradevolissima la scelta di creare musica bilanciata tra tecnica e impatto. Anche in questo caso, nulla di particolarmente originale, ma piacevole e promettente.
Gli anni passano ma – bisogna riconoscerlo – se esiste un filone chiamato ‘progressive metalcore’ lo dobbiamo anche agli statunitensi BORN OF OSIRIS ormai due decadi fa.
La band dell’Illinois (insieme ai conterranei Veil Of Maya) fu tra le prime a mescolare aggressione, tecnica e atmosfera in dischi che riteniamo tuttora importanti come “A Higher Place”, “The Discovery” o “Tomorrow We Die Alive”.
Certo, la seconda parte della carriera dei nostri non è stata forse così sorprendente e quello che chiamiamo djent nel frattempo ha continuato ad esplorare territori forse più innovativi e contaminati, ma è bastato risentire dal vivo l’impatto di brani come “Machine” o “Bow Down” per rendersi conto che i nostri non sono per niente invecchiati.
I Born Of Osiris sul palco si mostrano rodati e a proprio agio e ciò che conquista è come riescano ad essere sia tecnici che coinvolgenti, dando l’impressione che la loro musica non sia mai fine a se stessa. Le presenze, a questo punto della serata, sono di qualche centinaio di fan, che dimostrano di apprezzare moltissimo: sotto al palco è tutto un headbanging senza sosta, e arrivano qua e là anche accenni di mosh.
La scaletta si concentra per la maggior parte sull’ultimo “Angel Or Alien” e sull’ep “The Eternal Reign”, più qualche tuffo nel passato come “Under The Gun”, “Divergency” e “Machine”. Ci è difficile parlare di prestazioni individuali, nonostante le doti tecniche dei musicisti coinvolti siano evidenti: è molto più facile invece entusiasmarsi con un brano come “Poster Child” e il suo refrain, lascito di una band in grado di far sembrare semplice ciò che non lo è.
E’ questa in fondo la grande vittoria dei Born Of Osiris, aver messo la tecnica al servizio del risultato e rimanere sempre un gruppo in cui è l’ensemble la vera forza, non la prestazione del singolo. E scusateci, ma quando si parla di progressive non è un risultato da tutti. Alla fine della serata, mentre ci incamminiamo soddisfatti verso l’auto, ci rendiamo conto che l’evento è stato, nel suo piccolo, proprio riuscito. Auspichiamo perciò tanti altri Madrook Festival negli anni a venire.

 

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