Report di Maurizio ‘morrizz’ Borghi
Esattamente un anno dopo, il tour itinerante “Triple B European Takeover” passa di nuovo dall’Italia per una serata all’insegna dell’hardcore più violento, sotto ricetta ovviamente della fervida etichetta statunitense che opera a Boston ed Orlando, sempre sul pezzo riguardo a nuove band e tendenze, tanto quanto lo sono i promoter Trivel e Versus Music Agency, artefici di quello che speriamo possa diventare un appuntamento fisso.
Se l’anno scorso ci siamo esaltati con Sunami e Pain Of Truth quest’anno la line-up resta ghiottissima, con headliner come i Magnitude e delle band uniche che non hanno mai suonato in Italia, su tutte Gridiron.
La cornice è quella del Legend Club, che possiamo definire perfetta sia per dimensioni che per vivibilità, senza noiosi tesseramenti obbligatori e con ampie zone all’aperto per bere, mangiare, fumare, comprare del merch o semplicemente scambiare quattro chiacchiere tra un set ed il successivo.
Fa piacere notare la presenza importante di giovani e giovanissimi, a denotare come il pubblico del genere si stia lentamente rinnovando…
Ad aprire la manifestazione sono gli SCARAB, band di Philadelphia che con la propria demo è riuscita ad alzare un bel polverone, tanto da partecipare a festival importanti come Sound And Fury, This Is Hardcore ed Outbreak.
La loro prima uscita ha appena compiuto un anno, e vedendoli dal vivo possiamo capire il motivo di riscontri tanto lusinghieri: il loro mix personale è fatto da velocità smodata e una brutalità assurda incarnata nello stile punitivo e urlatissimo del cantante, opprimente e smodato dalla prima all’ultima nota, abbinato a quel senso del groove e da quei riff contagiosi che scatenano il panico nel pit. Che poi è quello che effettivamente succede, con mosh e violent dance che si prendono metà locale e mettono fisicamente in pericolo i presenti.
Riconosceremo il chitarrista e il frontman come sezione ritmica dei Gridiron più tardi, ma è certo che questa band potrà dare ancora parecchie soddisfazioni.
Dopo un breve cambio palco, i MISSING LINK prendono possesso della situazione, concretizzando il tipico immaginario hardcore fatto di tattoo, fisici imponenti e un muro di persone a lato e dietro il palco, tra crew e componenti di altre band.
La band di New York ha da poco pubblicato lo spietato “Watch Me Bleed”, disco che non inventa nulla ma che in questa dimensione live sale di livello soprattutto per imponenza e minacciosità. Il groove della formazione è innegabile, così come lo è la capacità del frontman di comandare il pubblico e generare risposta, amplificando ulteriormente la violenza in sala.
Dopo qualche pezzo si raggiunge uno degli apici dell’intera serata, quando tre quinti dei Gridiron fanno un passo avanti per intervenire nella divertente “Numbers On The Board”, che col palco colmo di gente ed energia regala un momento di esaltazione generale. Un’altra band da tenere nel radar, insomma.
A metà serata compare in cartellone una delle band più attese dal pubblico – sicuramente quella più attesa da chi scrive – per un appuntamento che non credevamo potesse raggiungere il Vecchio Continente (tantomeno l’Italia) così in fretta.
Invece i GRIDIRON sono pronti ad esibirsi in tutto il loro immaginario di forte stampo statunitense: basta guardarli, con il nome preso in prestito dal football americano, gli occhiali sportivi, i New Era, le jersey coloratissime e quell’attitudine hip-hop che farà da contrasto con l’hardcore più duro.
Il loro crossover funziona bene come su disco, e anche sotto il bombardamento di calci e pugni le prime file si avventurano per fare le doppie al cantante: non si trovano chiaramente di fronte ad un pubblico numeroso come quello tedesco o inglese, ma la risposta dei presenti è consapevole e più che soddisfacente.
Se a rappare il vocalist è preciso e potente il bassista è uno degli elementi più indomabili della serata, che si agiterà costantemente fino a ricoprirsi abbondantemente di sudore.
I brani più attesi sono anche quelli che rendono meglio: l’iconica “Trench”, “25-08” e “No Good At Goodbyes” sono delle piccole hit e questi americani, pacchiani quanto volete, sono l’aquila testabianca che aprendo le ali va a stamparsi nei ricordi di tutti i presenti.
Se in tutti gli intermezzi i musicisti si pompavano soddisfatti i brani del duo hip-hop Joey Valence & Brae dopo i Gridiron, un po’ a spartiacque, è partita una piccola festicciola sulle note di “Party Rock Anthem” degli LMFAO, con tanto di danze durante il soundcheck.
Quando però i NEVER ENDING GAME attaccano si torna ad essere seri e minacciosi, con il latrato di Mikey Petroski che dà vita al set più old-school della serata, ed anche quello più ‘metallizzato’ probabilmente, forse anche per i capelli lunghi e la maglia dei Megadeth del bassista.
Doppio turno invece per il chitarrista Will Kaelin, che ha appena concluso con i Gridiron. “Outcry” è stato uno dei dischi più celebrati dello scorso anno nel genere, e i pezzi eseguiti stasera vengono facilmente a certificarne la qualità, che si mantiene costante dall’inizio alla fine.
Il sound di Detroit è molto più cupo e monocorde rispetto ai gruppi che si sono esibiti prima di loro, di conseguenza chi non ha dimestichezza con la band preferisce occupare le ultime file, con un po’ di distacco rispetto alla costante trincea di corpi in movimento direttamente sotto il palco. “Every Day I Hate”, con il suo riff che fa il verso a “Loco” dei Coal Chamber, è uno dei pezzi più diretti e partecipati, ma nella mezz’ora stiracchiata non c’è davvero nessun calo di tensione.
Secondo stacco e secondo cambio di genere, infatti l’ultima band della serata vira verso l’hardcore straight edge, ed è evidente come una piccola fetta del pubblico sia lì principalmente per loro: i MAGNITUDE si sono fatti notare per la loro interpretazione fresca ed energica dell’HC straight edge anni ’90, capace di espandere e aggiornare i modelli universalmente venerati Earth Crisis e Strife.
La data di novembre insieme agli One Step Closer (altra nuova realtà promettente) è stata infatti un ottimo biglietto da visita che ha garantito il ritorno di parecchie persone. Come ogni giovane band che si rispetti, l’energia sul palco è esplosiva e contagiosa, proveniente in primis dal frontman Russel Bussey, che ingaggia direttamente ed in continuazione le prime file lasciando i musicisti perlopiù in secondo piano: la sua performance fisica e spinta riesce a sopperire ai suoi evidenti limiti vocali rendendoli quasi ininfluenti.
Il riffing più quadrato e i mid tempo più scanditi introdotti nell’ultimo “Of Days Renewed...” giovano sicuramente alla resa dal vivo, superando l’intensa distorsione che rende meno intelligibili le parti veloci e rendendo il tutto più assimilabile. I Magnitude non si perdono in lunghi discorsi o proclami, preferendo far parlare la musica in una mezz’ora abbondante, tesa e violenta ma sicuramente appagante.
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