Live report a cura di Claudio Giuliani
Il “Doomsday X Tour” ha fatto tappa a Roma. Il carrozzone del death metal, perfetta commistione fra quello classico americano degli headliner Malevolent Creation e quello svedese più melodico (in pochissimi tratti) dei Vomitory, si è materializzato nel locale Init di Roma, situato proprio al di sotto di una vecchia parte dell’acquedotto romano, nel cuore della capitale. Ad aprire per i mostri del death c’erano due gruppi italiani, i The Modern Age Of Slavery, band deathcore, e gli Tsubo da Latina, gruppo dedito al grindcore. Ci scusiamo con questi ultimi per esserci persi la loro esibizione, mentre un grazie va alla Vivo Management e all’agenzia AL produzioni che hanno reso possibile questa grande serata di death metal a Roma.
THE MODERN AGE SLAVERY
Venti minuti o poco più per i veri opener della serata, la band deathcore italica che risponde al nome di The Modern Age Of Slavery. C’era più di qualcuno in sala ad assistere all’esibizione dei nostri quando erano da poco passate le nove. Il gruppo ha eseguito una manciata di brani, estratti dal debutto “Damned to Blindness” che hanno mostrato la varietà della loro proposta. Parti cadenzate si sono alternate quindi a parti molto veloci, denotando una certa prevalenza verso le sonorità moderne del genere. La platea era quella che amava il death metal più efferato e classico, quello che sarebbe venuto dopo, e quindi la proposta dei nostri non era di quelle ad “alta digeribilità”. Un buon preludio però alla furia iconoclasta che sarebbe arrivata di lì a poco.
VOMITORY
“The Carnage Rages On” ha aperto l’infuocato show dei quattro svedesi. Il piccolo palco dell’Init è sembrato implodere di fronte al muro sonoro alzato dai Vomitory, band che nel corso degli anni è migliorata in maniera esponenziale. L’opener di “Carnage Euphoria”, ultima fatica dei nostri, ha subito chiarito che la velocità sarebbe stata il leit motiv della serata. Dal nuovo album è stata estratta poco dopo anche la granitica “Serpents”. Un po’ impacciati i nostri sul palco, il cantante/bassista non ha pronunciato neanche una parola al di fuori dei grugniti (un po’ bassa la voce rispetto agli altri strumenti), e quindi è toccato a Peter Östlund, chitarrista solista, presentare i brani. Il contatto con il pubblico non è da sempre il loro forte, e quindi i nostri al solito hanno compensato con delle autentiche mazzate di death metal svedese a folle velocità, come “Terrorize Brutalize Sodomize” dall’omonimo album o come la vecchia ma tritaossa “Chaos Fury” da “Blood Rapture”. Quaranta minuti circa di concerto, il tempo di salutare la folla che ha dimostrato di gradire la prova dei Vomitory, una realtà sempre più concreta del death scandinavo.
MALEVOLENT CREATION
Se i Vomitory avevano degnato i presenti di qualche sorriso, con i Malevolent Creation non se n’è parlato proprio. Saliti sul palco più incazzati che mai, i nostri hanno cominciato a macinare pezzi di death metal che hanno fatto la storia di questo genere. Un Brett Hoffman in forma strepitosa, solita mise da carcerato con jeans chiaro e camicia aperta sul davanti a denotare una buona forma fisica, ha cantato in maniera strepitosa dall’inizio alla fine dello show. Ecco che una dopo l’altra hanno fatto comparsa “Eve Of The Apocalypse”, “Coronation Of Our Domain”, “Monster”, pezzi micidiali. Come batterista c’era Gus Rios (già mente degli Upon Infliction), un’autentica forza della natura dietro le pelli. Impressionante la sua velocità, la sua tecnica. Da sempre i Malevolent Creation hanno avuto batteristi di grande capacità (Rios ha registrato “Envenomed” per loro), Rios è stata l’ennesima conferma in sede live. Strepitoso il gruppo quando ha proposto “Deliver My Enemy”, ma soprattutto quella vecchissima “Multiple Stab Wounds” estratta dal debutto del 1991 “The Ten Commandments”. C’è stato spazio anche per “Homicidal Rant”, “The Will To Kill”, “Manic Demise”, “Cauterized”, “Blood Brothers”, “Living In Fear” prima che i nostri lasciassero il palco per tornare poco dopo. Tutti sapevano cosa mancava: “Malevolent Creation”. Il brano è stato eseguito con la solita accuratezza, una cascata di note death metal che ha ribadito ancora una volta come “no one can destroy this malevolent creation!”.