Genova è una città in cui spesso i tour di diversi artisti non fanno tappa, ma allo stesso tempo è ricca di realtà locali, di piccoli luoghi in cui si tengono esibizioni interessanti e di appassionati che seguono la scena. L’evento di oggi ne è il classico esempio: in una piovosa serata invernale, nei vicoli del centro storico, tre band italiane si alternano sul palco de La Claque, sotto l’organizzazione della storica etichetta cittadina Black Widow Records.
Ad aprire Ogni Verbo E’ Diceria, progetto sperimentale che mescola musica, testi teatrali e arti visive, all’esordio con un 12″ proprio in questi giorni; a seguire i Ponte Del Diavolo, piemontesi nati nel 2020 e dediti ad un doom metal dalle tinte occulte, impegnati a presentare il nuovo disco “Fire Blades From The Tomb”, pubblicato da pochi giorni; in chiusura, i Malombra a giocare in casa, essendo nati all’inizio degli anni ’90 proprio nel capoluogo ligure, e che propongono un doom metal oscuro fortemente contaminato dal prog.
Di seguito vi raccontiamo come è andata.
Il colpo d’occhio, una volta varcata la soglia del club, ci rivela che La Claque non è il classico locale in cui si suona metal: di fronte al palco, infatti, una distesa di tavolini ci fa capire che assisteremo al concerto da seduti; ci sembra un po’ strano, ma in fin dei conti il posto si rivela ottimo per comodità ed acustica. La sala si riempie progressivamente, con il pubblico, di età media piuttosto elevata, che già da tempo era mischiato ai frequentatori dell’aperitivo nei circostanti Giardini Luzzati e che risulta piuttosto numeroso quando il concerto ha inizio.
Ad aprire la serata OGNI VERBO E’ DICERIA, una performance artistica, della durata di circa dieci minuti, ideata da Nequam (The Magik Way, Mater A Clivis Imperat) che recita un testo teatrale su un tappeto di basi elettroniche affiancate dal clarinetto di Vittorio Sabelli (Dawn Of A Dark Age, Notturno, A.M.E.N.). Il reading, dai toni drammatici ed interpretato in modo angoscioso, ha un impatto decisamente forte, grazie anche al contributo visivo realizzato da Erba Del Diavolo (Elena Camusso del Ponte Del Diavolo), che viene proiettato su uno schermo ed accompagna le parole, appesantendo ulteriormente l’atmosfera.
Rapido cambio di scena ed ecco i PONTE DEL DIAVOLO: i cinque torinesi erano attesi alla prova del primo album, dopo alcuni promettenti EP, e con “Fire Blades From The Tomb” sono probabilmente andati anche al di là delle aspettative, tanto che molti stasera sono qui per vedere proprio loro e capire se anche dal vivo riescono a confermare le qualità ampiamente dimostrate su album.
Il quintetto si presenta sul palcoscenico accompagnato dalle note di Edith Piaf , completamente vestito di nero, ed attacca in modo sorprendentemente battagliero: in versione live, si nota subito come la loro miscela sonora, che come ingredienti principale prevede doom metal e black metal, perda parte di quella componente psych evidente su disco, a favore di un’attitudine gotica post-punk schietta e decisa, basata su tematiche esoteriche.
Il centro della scena è occupato dalla già menzionata Elena Camusso, conosciuta come Erba Del Diavolo, che calamita l’attenzione con la sua voce spiritata ed il suo atteggiamento teatrale, e sembra trovarsi a suo agio nei differenti registri vocali che caratterizzano i pezzi; tra questi, quelli in inglese mostrano una dinamicità maggiore, mentre quelli in italiano risultano più suggestivi anche proprio grazie all’interpretazione della cantante.
Gli altri quattro componenti non sono però da meno: la particolare formazione con due bassi, talvolta suonati come se fossero chitarre, ha una compattezza granitica ed un buon affiatamento, frutto delle esperienze passate (Inchiuvatu e Feralia tra gli altri) di musicisti che non sono di primo pelo. L’interpretazione è sempre impetuosa, sia quando si tratta di viaggiare spediti, come in “Covenant”, sia nei momenti più atmosferici come la fumosa e jazzata “Red As The Sex Of She Who Lives In Death”, che vede, ancora una volta, la partecipazione di Vittorio Sabelli e del suo clarinetto.
Un’ora di concerto che serve a giustificare perché si parli così tanto del Ponte Del Diavolo e che certifica come, anche dal vivo, i piemontesi siano già una vera forza.
L’ora si fa tarda e tocca finalmente ai MALOMBRA: un concerto degli idoli di casa nella loro città natale è sempre un avvenimento, anche perché gli autori di dischi importanti per la definizione di un certo suono doom che è prettamente italiano, come l’omonimo e “Our Lady Of The Bones”, non si sono esibiti molto spesso negli anni, e la reazione del pubblico alla loro entrata in scena e durante lo show è lì a testimoniarlo.
Della formazione originale è rimasto ben poco, ma l’anima della band era e rimarrà sempre Mercy, ossia Renato Carpaneto, figura fondamentale della scena genovese anche per la sua attività con altri gruppi come Ianva e, in un lontano passato, Il Segno Del Comando.
La sua voce, magari imperfetta ma chiaramente riconoscibile, ed il suo carisma che lo porta a lanciare invettive contro tutto e tutti sono rimasti intatti in questi lunghi anni, ed anche stasera sarà lui il mattatore, circondato da musicisti ineccepibili, tra i quali riconosciamo il batterista Fabio Cuomo, altro personaggio piuttosto noto per la sua militanza in diverse band genovesi (Eremite, Mope).
Ovviamente l’occasione è buona per presentare molti brani del nuovo album “T.R.E.S.”, uscito nel 2023: tra questi si fanno notare “Malombra”, che non a caso viene presentata come canzone manifesto, e soprattutto la lunga ed ipnotica “Cerchio Gaia 666”, uno degli apici assoluti della loro discografia. Sono parecchi anche i tuffi nel passato, addirittura fino a “Sinister Mornings” del 1996 , in cui la voce di Mercy suona in gran spolvero, ed un brano degli Zess, band che il cantante condivideva alla fine degli anni ’80 con Diego Banchero dei già citati Il Segno Del Comando.
I liguri sono in ottima forma e suonano con ardore il loro doom tirato e melodico, con striature progressive e con le tastiere sempre in evidenza ad aggiungere quel tocco di new wave che li contraddistingue. La reazione del pubblico ogni volta che viene introdotto un pezzo è il segno del legame dei Malombra con i propri fan della prima ora, omaggiati dal quintetto con una prestazione vigorosa e sentita, che si chiude tra gli applausi dopo circa un’ora e un quarto di musica viscerale e litri di sudore versato.
Nel complesso una serata riuscita, con tre gruppi diversi tra loro ma uniti da una vena oscura e che non si sono risparmiati nelle loro esibizioni: non ci resta che avviarci verso casa, attraversando la chiassosa movida che anima il sabato sera nei vicoli del centro storico, in netto contrasto con ciò che ci siamo appena lasciati alle spalle.