27/04/2024 - MARDUK + ORIGIN + DOODSWENS @ Druso - Ranica (BG)

Pubblicato il 29/04/2024 da

Dopo quelle di San Donà di Piave e Moncalieri, è toccato al Druso di Ranica accogliere la terza data del “Memento Mori Tour” dei Marduk. “Mo me lo segno” avrebbe risposto Massimo Troisi e noi abbiamo fatto altrettanto, presentandoci di gran lena di fronte ai cancelli del locale bergamasco: ad accoglierci, una fredda pioggerella primaverile, divenuta ormai un appuntamento fisso in queste ultime settimane.
Espletate le considerazioni meteorologiche, siamo tra i primi a varcare le porte del Druso, imbattendoci immediatamente nella vastissima e coloratissima zona merch, scorgendo tra gli altri, un Daniel Rosten ancora in abiti civili (pantaloni mimetici e felpa con cappuccio), mentre si dilegua tra una t-shirt e l’altra, dirigendosi poi verso i piani alti adibiti a camerini, preparandosi alla sua personalissima battaglia che lo vedrà protagonista di lì a due ore.
L’affluenza si rivelerà più che buona, con la maggior parte dei metallari giunti nel paesello della Val Seriana soprattutto per assistere alla prova della macchina da guerra svedese, accompagnata, come da cartellone, dagli americani Origin e degli olandesi Doodswens; un terzetto se vogliamo un po’ anomalo, visto l’ultratecnicismo sciorinato dalla death metal band statunitense, ma che comunque è stato in grado di sorprendere positivamente il pubblico, proponendo a conti fatti un triplo ventaglio di musica estrema, apertosi, in perfetto orario svizzero, alle ore 20.00.

E’ un piccolo ma intimissimo altare quello che appare al centro del palco, con tanto di candelabro, vegliardi pentacolari, qualche osso e un paio di teschi. E fa quasi tenerezza notare sullo sfondo, poco più in alto, la mela illuminata a festa (simbolo del Druso), quasi a smorzare la spiritualità del rito che si è andato a celebrare.
I DOODSWENS si presentano in punta di piedi, in modalità processione, e mentre i due musicisti (basso e chitarra) danno le spalle al pubblico, è la batterista, cantante e leader del gruppo Inge Van Der Zon, a dar luce e vita alle candele, con tanto di incenso al seguito.
Un rituale, come ci spiegherà la stessa Inge al termine della serata, che le permette di ricevere tutta l’energia necessaria da riversare durante lo show. Sarà proprio la drummer olandese a dare poi via alle danze, per quello che sarà un viaggio di quarantacinque minuti, attraverso le sonorità di un black metal devoto alla vecchia scuola norvegese, con lunghi passaggi tirati e melodici, accalappiando così diversi consensi anche da quella fetta di pubblico (la maggior parte a dir la verità) che non li aveva mai visti, o addirittura sentiti prima di sabato.
La setlist richiama più di un brano dall’unico full-length finora pubblicato (“Lichtvrees” del 2021), oltre che dai precedenti demo, proponendo invece, proprio sul finale, due pezzi (“Devils Stone” e “Vlaamse Vloek”) che troveranno spazio nel prossimo album, il quale, stando a quanto riferitoci dalla Van Der Zon, dovrebbe essere rilasciato nel febbraio del 2025.
Uno show magari non così dinamico (statico il chitarrista, un po’ meno il bassista), comunque ben costruito sul percorso mistico interpretato dall’artista di Eindhoven, vera forza trascinante del gruppo, dichiarando con volontà ed energia, in una sorta di trance agonistica, le varie litanie. Così sino all’ultima fiammella, spenta con un semplice sbuffo, dopo aver innalzato al pubblico un cero posto ai piedi dell’altare, come a ringraziare coloro che hanno partecipato al rito appena conclusosi.
Cambio di palco rapidissimo, giusto il tempo di godersi una pausa rinfrescante nello spazio conviviale esterno al locale, e si rientra per quella che è stata, a tutti gli effetti, una piallata in mezzo ai denti.
Agli ORIGIN va dato innanzitutto il merito di esser riusciti a smuovere un pubblico sin troppo immobile, più concentrato in molti casi (soprattutto con i Marduk) a sollevare i propri telefoni per filmare interi brani (spesso mai più riguardati, tra l’altro). La proposta del gruppo americano è di quella complicate e pesanti, che fa male alle orecchie: lo sa bene il carismatico e simpaticissimo Jason Keyser, impegnato, tra una silurata vocale e l’altra, ad aizzare la folla, spiegando come death e black possano comunque coesistere e che quella al Druso (come l’intero tour) ne è la diretta conferma.
Keyser in prima linea, con Mike Flores a battere il proprio basso da un lato, Paul Ryan a giocare con la sua chitarra dall’altro, e John Longstreth nelle retrovie a dettare i tempi, terribilmente chirurgici, a scandire fendenti terra-aria di inaudita precisione. “State tranquilli che il vostro inglese è meglio del mio italiano” sentenzia ad un certo punto Jason, “per cui se vi dico headbangers e moshers lo capite vero?“: la domanda di rito viene posta per indirizzare il pit ad inscenare un wall of death riuscito tutto sommato bene.
Anche nel caso degli Origin, la scaletta ha pescato a piene mani dall’intero repertorio discografico, proponendo, tra le altre, “Decolonizer” e la tilte-track dell’ultimo “Chaosmos”, oltre alle letali “Portal”, “The Aftermath” e “Saligia”. Prestazione meticolosamente sudorifera, che premia la caparbietà di una band, e del suo cantante in particolare, il quale, pur riconoscendosi quasi nella parte del terzo incomodo, ha saputo presentarsi nella maniera ottimale, raccogliendo i meritati applausi al termine di una prestazione semplicemente micidiale.
Altra boccata d’aria e si arriva così ai MARDUK, dopo un’attesa francamente lunghetta, con gli addetti ai lavori impegnati a settare i vari impianti così che tutto possa funzionare alla perfezione.
Cosa dire quindi degli svedesi? La parola ‘garanzia’ in questi casi ci viene in aiuto, perchè quando il cingolato guidato da Morgan Håkansson sale sul palco, difficilmente si avranno rimostranze in merito. Ed è ciò che è avvenuto pure al Druso, anche se, dopo averli visti in azione parecchie volte, possiamo dire che quella bergamasca non è stata tra le esibizioni più memorabili messe a segno dalla band svedese: vuoi alcune sbavature in sede di esecuzione (“The Blond Beast” ha avuto momenti migliori), vuoi per alcuni problemi nell’utilizzo della propria ‘arma’ accorsi a Mortuus, ecco che la mina esplosiva deflagrata questa volta dal gruppo scandinavo non ha ottenuto il canonico effetto devastante; ma forse è perchè nel tempo siamo stati abituati a standard sempre eccellenti ed anche un minimo calo balza all’orecchio. Ma andiamo con ordine.
Accolti dal classico fumo di scena, simpatici omaggi alle divinità levate a gran voce dai presenti, oltre ad alcuni sfottò in chiave calcistica, i Marduk hanno aperto, come da programma, con “On Darkened Wings”, dando subito lustro ad quel grande album firmato “Those Of The Unlight”, rilasciato ormai più di trent’anni fa.
Il tour del 2024 è invece dedicato al nuovo “Memento Mori” dal quale vengono estratti solamente un paio di pezzi: e se “Blood Of The Funeral”, suonata nella seconda metà del concerto, ha fatto rizzare i capelli dell’intera platea, tanta la furia riversata dal terzetto Håkansson-Wizen-Schilling (una macchina dietro le pelli), c’era molta curiosità ed attesa (anche per chi scrive) per “Shovel Beats Sceptre”, secondo singolo rilasciato dall’ultimo lavoro, con le sue tinte sinistre e di chiara derivazione Funeral Mist (il progetto parallelo di Rosten).
Peccato che, a metà brano, lo stesso Daniel abbia abbandonato la scena, tornando solamente on stage per schiantare l’ultimo refrain: il primo segnale di un difficile rapporto con il microfono che lo porterà ad avere un dialogo serratissimo con un componente della crew, chiamato in causa in più di un’occasione. E se a questo aggiungiamo alcuni fari che, vista l’espressione del frontman svedese, sembravano essere un po’ troppo puntati su di lui, si può ben capire come la serata del poderoso cantante sia stata un po’ più complicata del solito.
A parte questi intoppi tecnici, lo show dei Marduk non ha mai avuto cali di tensione: la violenza della gestualità di Rosten (non vorremmo mai essere nei panni dell’asta del suo microfono), abbinata ad un Morgan divenuto nel tempo più ‘affabile’, sono le due componenti cardine di una band ormai storica; e tanto bastano per godere di uno show marcio e ferale al punto giusto.
Ed è quindi sempre un piacere venire abbattuti da brani come “With Satan And Victorious Weapons”, “Throne Of Rats” o “The Sun Has Failed” (violentissima al Druso). E lo stesso discorso vale per l’acclamata “Wolves”, marchio di fabbrica del gruppo di Norrköping, e “Wartheland”, divenuta anch’essa un classico in sede live.
A chiudere, e non poteva essere altrimenti, la sola ed unica “Panzer Division Marduk”, la quale, se su disco era già una mitragliata lancinante, dal vivo diventa ogni volta più rapida, tanto che il suo letale riff rischia di rimanere sommerso dalla velocità di esecuzione. Ma del resto, se deve essere il colpo di grazia, è giusto che venga sparato sulla folla all’ennesima potenza.
That life is not a clock, but an hourglass“, così ha stabilito Rosten durante la serata; per cui, se avrete modo, non perdete altro tempo e concedetevi la possibilità di assistere alla prossima calata italica dei Marduk, garanzia del black metal svedese.

Setlist Marduk:
On Darkened Wings
Equestrian Bloodlust
Shovel Beats Sceptre
Souls For Belial
The Funeral Seemed To Be Endless
With Satan And Victorious Weapons
Wartheland
Blood Of The Funeral
The Levelling Dust
The Sun Has Failed
The Blond Beast
Throne Of Rats
Wolves
Panzer Division Marduk

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