24/04/2024 - MARDUK + ORIGIN + DOODSWENS @ Revolver Club - San Donà Di Piave (VE)

Pubblicato il 27/04/2024 da

L’attesissimo tour europeo degli svedesi fa tappa anche nel nostro Paese per tre date (Veneto, Piemonte e Lombardia) che ci permettono di ascoltare qualche estratto dall’ottimo “Memento Mori”, fresco di uscita, oltre naturalmente a ‘ripassare’ vecchi e nuovi classici del colosso black metal guidato dal chitarrista Morgan Håkansson.
I Marduk sono ormai di casa al Revolver Club, palco che hanno calcato nel 2021 in occasione delle celebrazioni per il trentennale di carriera – inaugurata dall’iconico demo “Fuck Me Jesus” – e ancora tre anni prima per il March Of Blood And Iron Tour, in promozione al minimale ma comunque notevole “Viktoria”.

Arriviamo presto al locale, tanto che i cancelli devono ancora aprire: è una serata di fine aprile fredda e pungente, e nonostante questo alcune persone sono già in attesa di entrare, ad indicazione del fatto che questi veterani della scena black continuano a non sbagliare un colpo ed attirare molto pubblico, non solo tra la cosiddetta vecchia guardia. Ma procediamo con ordine e partiamo dall’inizio, con le esibizioni delle band di supporto.

I DOODSWENS nascono nel 2017 come giovanissimo duo al femminile, per poi trasformarsi in terzetto dopo l’uscita di Fraukje Van Burg – voce e chitarra – nel 2022, a causa della sua incompatibilità personale con lo stress dell’attività live. L
e redini del progetto sono quindi passate interamente all’unico membro originario rimasto, la batterista Inge Van Der Zon, che si occupa anche delle linee vocali principali. Completano l’attuale formazione bassista e chitarrista, entrambi impegnati a dare ma forte a Inge dietro al microfono. Un assetto decisamente particolare, che rende poco visibile proprio la giovane musicista, impegnata dietro le pelli e ‘relegata’ in seconda linea per ovvie esigenze di settaggio del palco.
È proprio lei la prima a salire sul palco: sono le venti e trenta precise quando, sulle note di un’intro in base, la musicista olandese rivolge la propria attenzione al piccolo altare posto al centro del palco – unico orpello scenografico a eccezione di alcuni teschi di animale – e brucia candele ed incenso, come a sancire l’inizio si un rituale pagano, prima di prendere posto dietro alla batteria per attaccare con il primo brano.
Nel frattempo il pubblico continua ad affluire in sala, e i già molti presenti seguono con attenzione questa prima esibizione. I musicisti di Eindhoven propongono un black metal piuttosto melodico, che molto deve alla Norvegia degli anni ’90 (Gorgoroth, Immortal, Isvind) ma guarda anche a al lato depressive della nera fiamma.
I Doodswens hanno all’attivo solo il debutto “Lichtvree”s, quindi è lì che si concentra la loro scaletta, che però non conosciamo nel dettaglio: i musicisti olandesi fanno un bel lavoro e – complici i suoni sufficientemente limpidi e vibranti – i brani dalla linea snella e agile (mai troppo lunghi o ripetitivi) risultano piacevoli all’ascolto, dalla fredda e classica “In Mijn Bloed” alla cadenzata e malinconica “Zwarte Staar”.
Gli olandesi sfruttano bene la mezz’ora a loro disposizione, siglando un’esibizione positiva: niente per cui strapparsi i capelli ma nemmeno da buttare via; speriamo che il sodalizio tra l’attuale formazione funzioni e la band trovi una quadra anche in fase compositiva, magari mettendo maggiormente in risalto Inge, autrice in ogni caso di una prova convincente sia dietro al microfono (scream e voce pulita) che alle percussioni, dove si è dimostrata in grado di cimentarsi in soluzioni non così scontate.
Il rapido cambio palco ci dà il tempo di prendere un po’ d’aria e visitare il bancone del bar; all’orario prestabilito – minuto più, minuto meno – fanno il loro ingresso in scena gli statunitensi ORIGIN, a poco più di un anno dall’esibizione – su quello stesso palco – in veste di supporter per i Monstrosity (un abbinamento decisamente più classico e coerente).
Ci accorgiamo immediatamente che feeling e attitudine generale sono completamente diversi rispetto a quelli dello show appena conclusosi: i veterani del death metal tecnico, newyorkesi d’adozione, sono una bomba ad orologeria di adrenalina ed energia pronta ad esplodere sul pubblico, che serra sempre più i suoi ranghi e partecipa con entusiasmo allo show.
Gli americani, capitanati dai membri storici Paul Ryan e John Longstreth – rispettivamente chitarra e batteria – dimostrano una perizia tecnica chirurgica e riversano sugli spettatori una colata di death metal complesso e decisamente brutale senza alcuna tregua. Ma è il cantante Jason Keyser a farsi notare non solo per il suo growl implacabile, ma anche per le spiccate doti di frontman: comunica con gli astanti ed incoraggia il moshpit, accoglie più volte sul palco un ragazzo ‘planato’ grazie al crowdsurfing e si fa lui stesso trasportare dalla folla mentre continua – imperturbabile – a cantare.
L’atmosfera perciò si scalda sotto le mitragliate di una band capace di coniugare passaggi ultratecnici, violenza sonora e un approccio al palco coinvolto e divertito; il missaggio è ottimo e permette di distinguere perfettamente ed apprezzare i diversi strumenti, vedi i virtuosismi del basso di Mike Flores.
I ragazzi americani si dimostrano umili, nonostante una carriera nata alla fine degli anni ’90, e invitano il pubblico a superare le differenze stilistiche e attitudinali tra death e black metal, rilevando le affinità che uniscono i due generi principali del metallo estremo. In generale, il gruppo non solo si dimostra in forma smagliante, ma è capace di dare spessore e vitalità a brani che su disco appaiono decisamente più piatti e monolitici: come spesso accade, la dimensione live si rivela infatti la più congeniale alle band di questo filone, permettendo anche a chi non è un grande fan del genere di apprezzarne il lavoro. Anche se leggermente fuori contesto e perciò in una posizione non facile hanno dato tutto, e a loro vanno quindi i nostri complimenti.
Sono le ventidue e quarantacinque quando arriva finalmente il turno dei padroni di casa, che si prendono un quarto d’ora accademico per un veloce risettaggio della batteria.
I MARDUK vengono accolti da una platea bella piena di fan e si tuffano nel lontano passato, attaccando immediatamente con il macabro classico “On Darkened Wings”, reso ancora più violento che su album. In pochi attimi la temperatura torna ad abbassarsi di alcuni gradi grazie all’imponente frontman Mortuus: questi cattura gli sguardi con la sola potenza di voce e carisma, senza nessun orpello particolare e con abiti neri semplici e lisi, poco trucco e un catenaccio (delle dimensioni utili a chiudere un cancellone) in cintura.
Allo stesso modo il palco appare spoglio e spartano come sempre: per fare presa sul pubblico gli svedesi si affidano semplicemente alla loro musica, e come sempre si rivelano una macchina da guerra ben oliata, nonostante il recente inserimento del session Simon Wizén – chitarra e voce dei Valkyrja, band che ha accompagnato più volte i Marduk in tour – al basso, dopo il licenziamento di Joel Lindholm risalente allo scorso anno.
Quello dell’instabilità di line-up è da sempre un cruccio per l’inossidabile leader e chitarrista Morgan, unico superstite della prima formazione. Anche il tedesco Simon Schilling, alla batteria, è un acquisto relativamente nuovo, considerando che il suo ingresso in formazione è posteriore all’uscita di “Viktoria”, il penultimo album in studio dei colossi svedesi, che ormai da vent’anni hanno proprio in Mortuus (al secolo Daniel Hans Johan Rostén) il proprio secondo pilastro. Il frontman – che si divide tra i Marduk e il suo progetto personale Funeral Mist – incide parecchio nel songwriting della band, infondendo nuova linfa creativa ad un progetto che ha sempre saputo reinventarsi in modo coerente, senza stravolgere i canoni stilistici ben codificati del gruppo.
Tornando alla data veneziana, la scaletta non delude, pescando da undici tra i quindici dischi pubblicati, senza tuttavia regalare sorprese, com’è ormai prassi nell’era di internet e davanti a professionisti con un programma rodato (e già molte date di un tour alle spalle).
La vera novità sono perciò “Blood Of The Funeral” e “Shovel Beats Sceptre”, le due canzoni estratte dall’ultimo nato, quel “Memento Mori” che ha giustamente raccolto a piene mani il favore di critica e pubblico, grazie ad una manciata di brani ispirati, tetri, violenti eppure con la giusta dose di melodia. Entrambe funzionano molto bene live, così come il resto della scaletta: difficile scegliere quali brani citare, ma – per gusto personale e risposta del pubblico – dobbiamo menzionare la ritmata e irresistibile The Blond Beast dal grandioso “Frontschwein”, le violente “With Satan And Victorious Weapons” e “The Sun Has Failed”, che muovono i presenti in un mosh pit, anche se un po’ timido; e ancora, la seminale “The Funeral Seemed To Be Endless”, unico ripescaggio dall’album di debutto, quel “Dark Endless” ancora in odore di death metal, con il suo break centrale cadenzato e mortifero, o la lunga e articolata “Wolves”, altro super classico anni ’90 intriso di melodie oscure e irripetibili, con la chitarra di Morgan in bella vista.
Un ultimo boato saluta la mitragliata finale, quella “Panzer Division Marduk” che – breve, eccessiva e caciarona com’è – rappresenta il modo ideale per accomiatarsi, non dopo aver salutato le prime file con strette di mano, una calorosa novità impensabile per la band di qualche anno fa.
In definitiva un ottimo show, anche se magari non indimenticabile, con le due anime dei Marduk – Morgan e Mortuus – che si godono il meritato successo di chi sembra aver trovato un’alchimia che in grado di creare un nuovo stato di grazia, dopo la grandezza dei primi anni ’90.

Setlist Marduk:
On Darkened Wings
Equestrian Bloodlust
Shovel Beats Sceptre
Souls For Belial
The Funeral Seemed To Be Endless
With Satan And Victorious Weapons
Wartheland
Blood Of The Funeral
The Levelling Dust
The Sun Has Failed
The Blond Beast
Throne Of Rats
Wolves
Panzer Division Marduk

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