Report a cura di Simone Vavalà
Tornano in Italia, a distanza di appena quattro mesi, i Marduk, portandosi appresso peraltro due delle band che li hanno accompagnati nella calata parmense di dicembre. La terza parte della loro Campagna d’Europa non fa comunque desistere circa trecento persone dall’assieparsi in quel del Legend, nonostante il ponte del 25 aprile e, appunto, un ritorno piuttosto ravvicinato. I Marduk, del resto, sono una garanzia, come vedremo nell’ultimo trafiletto del nostro report, e anche la qualità delle formazioni di supporto non è affatto male, tanto che già alle otto di sera, con la luce ancora ben alta nel cielo di Milano, il pubblico è numeroso per assistere anche alle esibizioni di Valkyrja e Attic…
ATTIC
Al nostro ingresso nel locale, il Legend è già predisposto per una messa nera, tra candelabri accesi, teli neri con simboli magici e l’atmosfera sulfurea, acuita dal fumo sparato ad hoc all’arrivo degli Attic. I paragoni con i Mercyful Fate sono praticamente scontati, tra l’immaginario visivo, narrativo e soprattutto l’approccio vocale di Meister Cagliostro, ma, francamente, assistendo a un loro concerto pare una questione quasi irrilevante; certo, perseguire una timbrica analoga a quella di King Diamond rende difficile farsi un nome per originalità, ma a ben vedere quante band si richiamano a Maestri più vecchi ed esperti senza patire la messa al confino? Quello che conta è il risultato e gli Attic sanno tenere il palco alla grande, risultando divertenti ed esaltanti. Le chitarre gemelle di Katte e Rob, a ben sentire, richiamano più spesso gli Iron Maiden della coppia Smith/Murray che non Denner e Shermann, e il tocco blackish di certe accelerazioni funziona alla grande. La scaletta è equamente ripartita tra i due album finora pubblicati, con il finale dedicato alla trascinante “The Headless Horseman”, che scatena corna alzate e cori dal pubblico già numeroso… e onestamente dispiaciuto di aver avuto poco più di mezz’ora di spettacolo.
VALKYRJA
Quando sale sul palco la band di Stoccolma è evidente che patirà la ‘sindrome del figlio di mezzo’: divertenti e atipici, almeno per questa occasione, gli Attic e troppo attesi nel seguito i Marduk perché il pubblico possa concedere la giusta attenzione ai Valkyrja. Che però non sbagliano nulla, portano a casa il risultato con capacità, ma al tempo stesso non mettono molto del loro per farsi notare. Il loro, dal vivo ancor più che in studio, è un black metal quadrato e figlio in primis dei Watain ma, a differenza di Erik Danielsson e soci, quando i Valkyrja offrono al pubblico i loro midtempo sembrano più voler far rifiatare l’audience che costruire sentiti momenti di atmosfera e varietà; negli spezzoni più forsennati tutto funziona altrettanto bene, ma sempre senza particolari botte di adrenalina per gli astanti. Altra piccola critica va mossa all’evidente uso di effetti vocali da parte di Simon Wizén, che pur non giungendo ad essere sgradevoli, nel tentativo di donare un’aria ieratica al cantante aumentano la sensazione complessiva di ‘posticcio’. Peccato, perché le doti e i brani ci sono senza dubbio: forse, appunto, si tratta solo di una proposta troppo canonica in una serata che ha già i suoi protagonisti assoluti scritti.
MARDUK
Basta in effetti la marziale musica di sottofondo che prepara l’ingresso in scena dei quattro membri della band headliner per scatenare il pubblico, e l’entusiasmo non è assolutamente sprecato: i Marduk si confermano una macchina da guerra insuperabile, in grado di scatenare l’inferno a ogni esibizione. Come appena scritto, peraltro, sono l’unica band presente qui con un solo chitarrista, ma quando si tratta di un peso massimo come Morgan non serve proprio altro a creare un’ora esatta di blitzkrieg, un intento chiaro anche nell’esplicita t-shirt del chitarrista, su cui campeggia un Totenkopf di germanica memoria. La scaletta è la medesima dell’esibizione di dicembre in quel di Parma, con la sola aggiunta di “Deathmarch”, ma davvero l’impressione è che la band svedese potrebbe anche suonare una selezione dei propri brani più anonimi e il risultato non cambierebbe. Non è comunque così, e tutto sommato il tentativo di ripescare tracce da pressoché ogni loro lavoro (almeno da “Nightwing” in poi) è efficace: basterebbe anzi il trittico iniziale, costituito da “Panzer Division Marduk”, “Baptism By Fire” e “Werwolf”, per annichilire il pubblico; del granitico chitarrista abbiamo già detto, la sezione ritmica è un carrarmato tuonante e Mortuus conferma per l’ennesima volta di aver contribuito enormemente a donare nuova linfa a una band che, a ogni modo, non ha mai mostrato momenti di cedimento nella sua pur lunga carriera. Tra i momenti più potenti dell’esibizione citiamo “Clovenhoof” e “The Blond Beast”, allorquando i ritmi già mostruosi si fanno ancora più tellurici e tutti nella platea scapicollano senza tregua. Al momento di “The Black…”, unico brano veramente d’antan ripescato e unico bis concesso, la tensione è ancora altissima e una chiusura del genere, potente, nostalgica e nichilista, seguita da una veloce passerella a bordo palco, è il perfetto termine di un concerto che, al solito, non fa sopravvissuti.
Setlist:
Panzer Division Marduk
Baptism By Fire
Werwolf
Of Hell’s Fire
The Levelling Dust
Cloven Hoof
Deathmarch
Throne Of Rats
Burn My Coffin
Equestrian Bloodlust
The Blond Beast
Into Utter Madness
Wolves
The Black…