Report a cura di Andrea Intacchi
“Erano quasi due anni che non andavo ad un concerto”. Questo il commento unanime, insieme ad un acutissimo fischio alle orecchie, (perdurato nei giorni a venire), tra i più diffusi venerdì 12 novembre in quel dello Slaughter Club di Paderno Dugnano. Un senso di liberazione abbinato alla voglia di rivedere quelle facce – conosciute, sconosciute, ma comunque familiari – che ormai erano divenute un punto di riferimento nei vari live ma che purtroppo, a causa degli eventi che tutti abbiamo vissuto sulla nostra pelle, avevamo quasi dimenticato. L’occasione per riunirsi nuovamente tra i fedeli, in questo caso della fiamma nera, era la giusta celebrazione di un gruppo che da trent’anni si pone al servizio del black metal più puro e schietto. Loro sono ovviamente i Marduk, alle prese con la prima delle tre date previste in territorio italico. Ad accompagnare il tank svedese in questa trentennale dimostrazione di band tritacarne, i connazionali Valkyrja e le olandesi Doodswens; ad aprire invece le danze (macabri) per l’appuntamento milanese sono i bresciani Fiume Nero.
FIUME NERO
Sono le 19.45 quando, come da programma, i tre ragazzi di Bedizzole salgono sul palco. Ad attenderli uno sparuto pubblico composto da quei metallari che avevano già superato i controlli di green pass, o effettuato le operazioni di tesseramento e/o acquisto del biglietto; espletamenti che sarebbero proseguiti per buona parte della serata, completando lo smaltimento dell’afflusso di pubblico durante lo show dei Valkyrja. Ma torniamo ai Fiume Nero e al loro black dalle tinte atmosferiche basato sui due full-length finora prodotti: “Mors Liberat” e “Lovecraft Cap.1″. Il terzetto bresciano, attivo dal 2008, guidato dal frontman Simon Desecrator e la chitarrista Enna Cancry porta con sé una caratteristica sicuramente originale nella sua comprensibile complessità, e cioè il cantato rigorosamente in italiano, replicando, con le dovute distanze, quell”IN.SI.DIoso’ trend provinciale. Una scelta che trova comunque la sua giustificazione nell’esercizio delle litanie previste (“Rito di Vita Eterna”, “La Cerimonia”, “Mors Liberat” ed “Erich Zann”) dove la lingua italiana dona sicuramente una migliore spiegazione delle varie liriche. È in particolar modo l’ultimo dei brani menzionati a identificare il sound del gruppo lombardo: quelle fughe chitarristiche, misteriose e a loro modo orrorifiche, accompagnano lo scream da narratore di Simon, intento a raccontare le diavolerie di questa “musica interminabile“. Già on stage in quel di Paderno Dugnano lo scorso primo novembre, i Fiume Nero hanno offerto una prestazione sincera e genuina, portando a casa la soddisfazione di aver aperto una serata importante per molteplici ragioni.
DOODSWENS
C’era curiosità nei confronti delle Doodswens: un monicker dietro al quale si cela il duo formato dalla giovanissima Fraukje Van Burg, nel ruolo di cantante e chitarrista, e dalla batterista Inge Van Der Zon. Una band al femminile fautrice di un black freddo ed oscuro, trascendente le radici forestali della terra norvegese. Qualche dubbio tuttavia sorge spontaneo nel momento in cui sul palco vengono posizionate due aste per microfono: che in sede live il gruppo si avvalga di un terzo componente? Ci può stare. I dubbi si trasformano invece in un grosso e reale punto di domanda quando ad accompagnare la Van Der Zon salgono due chitarristi; della Van Burg nessuna traccia. Scopriamo a fine show, parlando direttamente con la drummer olandese di come la collega abbia sofferto di una sorta di ‘burnout’ durante alcune date precedenti al tour. Da qui la scelta di non partire verso un’esperienza lunga un mese, sì eccitante, ma comunque impegnativa soprattutto per una band, come le Doodswens, non ancora matura per certi ritmi prestazionali. Ecco dunque spiegata l’opzione dell’ultimo minuto con l’entrata in scena della doppia chitarra e del conseguente cambio anche nella sezione vocale. Una soluzione che, fortunatamente, non ha pesato sull’esito finale del concerto: sicuramente meno intimo di quello che sarebbe stato con la presenza della Van Burg ma che ha comunque guadagnato punti in fatto di potenza sonora, offrendo così uno spettacolo di sicuro impatto qualitativo ed emozionale, dal quale spicca la prova della stessa Van Der Zon. Scendendo nello specifico, oltre ad alcuni brani tratti dal primo ed omonimo demo, le (in questo caso i) Doodswens hanno proposto una serie di pezzi che saranno presenti nell’imminente debutto ufficiale per la Svart Records, “Lichtvrees”, la cui uscita è prevista per il prossimo 3 dicembre.
VALKYRJA
Il primo piatto forte della serata arriva da Stoccolma: sul palco dello Slaughter Club salgono i Valkyrja; ed è questo, come accennato in precedenza, il momento in cui il locale milanese si completa in ordine di presenze raggiungendo una capienza più che discreta. Forte del loro ultimo lavoro, “Throne Ablaze”, il quartetto scandinavo conferma quanto di buono già mostrato in sede di registrazione dando l’impressione di aver trovato nuova verve non solo in studio ma anche in versione live. Compatti, arcigni, solidi: questa la percezione lasciata da Simon Wizén e compagni. Il sound ‘watainiano’ dei Valkyrja arriva a volumi altissimi ai nostri padiglioni auricolari concentrandosi soprattutto, oltre che sullo stesso “Throne Ablaze”, sul loro album di punta “Contamination” dal quale spaziano con brani più ferali come “Welcoming Worms” fino ad episodi più sulfurei come “Oceans To Dust”. Un treno in corsa, quello dei quattro svedesi, che non conosce pause, imprigionando gli astanti nella loro ragnatela fatta di riff taglienti e ritmiche eclettiche, senza chiamare in causa chissà quali colpi di scena a livello stilistico o sul piano prettamente scenografico. A dimostrazione della buona riuscita dello show, l’importante flusso di appassionati accorsi al merch della band al termine del concerto.
MARDUK
1990-2020. Da trent’anni colonne storiche della fiamma nera, i Marduk sono tornati a calcare i palchi europei cercando di riportare anche quel senso di normalità concertistica a cui tutti auspicavamo. Quattordici album all’attivo in sei lustri di carriera: al comando sempre lui, Morgan Hakansson, padre padrone di una band che ha saputo mantenere negli anni un tasso qualitativo relativamente alto. Dal primo “Dark Endless” all’ultimo “Viktoria”, il carro armato svedese ha dimostrato di saper cambiare timbro propositivo confermando comunque il proprio trademark, riuscendo a convincere anche i conservatori più intransigenti. Un gruppo che è stato in grado di mettere d’accordo le due fazioni venutesi a creare nel tempo in tema di frontman. Meglio Legion? No, meglio Mortuus! Più ferale e glaciale il primo, più marcio e cattivo il secondo. Poco importa: Morgan e compagni hanno cancellato le divisioni tra i supporter semplicemente con i fatti: sia con il lavoro in studio sia, soprattutto, con le prestazioni live, da sempre loro marchio di fabbrica. Niente giochi, niente scenografie: black metal nudo e crudo. Fine.
La storia che si è ripetuta venerdì sul palco dello Slaughter Club: pescando a piene mani da quasi tutti i loro lavori (ad esclusione di “Nightwing”, “La Grande Danse Macabra”, “Rom 5:12” e “Wormwood”) in una sorta di greatest hits, appagando così sia i fan della prima ora sia gli adoratori più giovani. Dalla marziale “Werewolf”, opener perfetta, alla superba “Materialized In Stone”, dalla vecchissima “The Funeral Seemed To Be Endless” (è previsto tra le altre cose uno show speciale il prossimo 17 dicembre in quel di Norkkoping, durante il quale verrà suonato l’intero “Dark Endless” con la line-up originale) alle pesantissime “Bleached Bones” e “World Funeral”. L’occasione di rivedere i Marduk in azione è coincisa con la possibilità di assistere al primo tour con il nuovo bassista Joel Lindholm, già all’opera con gli In Aeternum e gli Ondskapt. Di lui ricordiamo, oltre ad una prova più che buona, un (crediamo) fastidioso mal di schiena, evidenziato dalle operazioni di stretching effettuati tra una canzone e l’altra, alleviato comunque (e in questo caso ne siamo certi) da un socievolissimo aftershow trascorso a ‘chiacchierare’ con alcuni presenti rimasti all’interno del locale. Ah certo, Morgan: cosa aggiungere? Gli anni passano anche per lui ma la carta d’identità sembra l’ultimo dei suoi problemi; semplicemente impeccabile. Altrettanto devastante infine la prova di Mortuus, nonostante un aspetto fisico leggermente appesantito (qualche chiletto di troppo?) – cattivo, cattivissimo, anche quando partecipa ai coretti da stadio dedicati alla divinità più alta di livello. I Marduk hanno cancellato in un’oretta due anni o quasi di silenzio live, alla loro maniera: lanciando il monito “Christraping Black Metal” prima del loro inno ufficiale, quella “Panzer Division Marduk” che, ad ogni tornata, diventa sempre più breve, tanto fulminea è la sua esecuzione. Ed è con un ronzio infinito nelle orecchie che lasciamo Paderno Dugnano, con la soddisfazione di aver vissuto finalmente quella sensazione di normalità che avevamo quasi perduto.
Setlist:
Werewolf
The Hangman Of Prague
Seven Angels, Seven Trumpets
Those Of The Unlight
Frontschwein
Materialized In Stone
Beyond The Grace Of God
The Funeral Seemed To Be Endless
Viktoria
Bleached Bones
The Sun Has Failed
World Funeral
Wolves
Christraping Black Metal
Panzer Division Marduk