Un Alcatraz con palco laterale abbastanza gremito in entrambe le date; pubblico over 30, anche over 35. Pubblico d’altri tempi, insomma. Per una band d’altri tempi. Si parla di esperienza più che trentennale per la band. Una band, questa, che ha sfornato capolavori indiscussi del genere neoprogressive (così come venivano definiti a fine seventies, inizio eighties) nell’epoca d’oro di Fish, così come indubbiamente, nonostante i pareri dei più nostalgici, ha prodotto altri grandissimi dischi nell’era di Hogarth, “Brave” e “Marbles” su tutti. Certo, nelle chart britanniche forse non vediamo più il loro nome (anche se era spuntato fuori timidamente con “Somewhere Else” del 2007), ma qui si parla di una signora band, di musicisti che, ancora oggi, si addormentano con la chitarra in mano, che provano ancora, che si rinnovano, che continuano a ricercare sonorità forse difficilmente raggiungibili. “One day I’ll play you sounds that can’t be made” dice la title-track del nuovo lavoro. La ricerca e la vita stessa dei Marillion non è conclusa. Che piaccia o no, i Marillion ci sono ancora. In queste due date nel locale meneghino ne abbiamo avuto la conferma!
MARCO MACHERA
Reduce dal primo lavoro “One Time, Somewhere”, il songwriter nostrano Marco Machera ha l’onore di aprire il concerto dei Marillion in entrambe le date. Il cantautore-bassista si presenta con la sua band e suona i brani di questo suo nuovo lavoro, molto d’atmosfera ed evocativo, dai sentori romantici e da arrangiamenti più che pregevoli. Se su disco aveva riservato qualche piacevole sorpresa, dal vivo appare un po’ timido, forse per l’occasione, forse perché deve ancora affrontare una fase di rodaggio on stage in questa sua veste di protagonista. Aveva infatti già collaborato con diversi artisti di diverso calibro e il palco evidentemente gli è familiare, ma questa è tutt’altra situazione. Mezz’ora di scaletta per entrambe le serate gli permette comunque di farsi conoscere e di racimolare qualche gradito applauso.
MARILLION
Alle nove e mezza, puntualissimi, ecco entrare sul palco i brit. I fedelissimi della community Marillion sventolano le kefiah per “Gaza”, opener del concerto e del disco nuovo “Sounds That Can’t Be Made”. Fin dalle prime note in molti si guardano al limite dell’incredulità per la qualità sonora alla quale sono partecipi, quando sentono che il sound non è in playback, non è da disco, ma è proprio suonato da gente VERA. Raramente si era sentito, soprattutto ultimamente, una pulizia sonora degna di nota nel locale milanese. Eppure ecco qua questi ex-sbarbati, per usare un termine milanese, suonare ancora con l’entusiasmo della prima data all’oratorio o alla prima festa di compleanno. In entrambe le setlist troviamo, oltre a “Gaza”, anche “Pour My Love”, “The Sky Above The Rain”, “Power” e “The Sounds That Can’t Be Made”, praticamente quasi tutto il disco nuovo (sono tenute infatti fuori solo tre tracce, tra cui “Montreal”, peraltro richiestissima dal pubblico nella seconda data). Oltre alle dovute celebrazioni (non diciamo promozioni, altrimenti il frontman si arrabbierebbe) delle tracce del disco nuovo, che guadagnano moltissimo in sede live grazie soprattutto alla teatralità e alla passione di Hogarth, la scaletta della prima serata scorre tra grandissimi brani-culto come la stupenda “Ocean Cloud”, che ondeggia sentimentalmente in tutta la sua lunghezza di oltre dieci minuti, “Man Of A Thousand Faces”, uno dei singoli più riusciti dei Marillion, così come il capolavoro “Easter”; inoltre “Warm Wet Circles” e “That Time Of The Night”, prese direttamente da “Clutching At Straws”, ultimo disco dell’era Fish, e soprattutto una chicca del calibro di “Three Minute Boy”, raramente suonata dal vivo dalla band, estrapolata da “Radiation”. “Neverland” è invece immancabile per entrambe le tappe: una canzone ormai imprescindibile da ogni concerto firmato Marillion, forse il loro pezzo, ad oggi, più riuscito dell’era Hogarth. La seconda tranche regala invece altre tre chicche da “Marbles”, ormai l’album da cui si attinge maggiormente, per ricchezza di idee, varietà e contenuti; chicche che sono “You’re Gone” e “Fantastic Place”, entrambe radiose, e la superba “The Invisible Man” in tutta la sua teatralità, oltre che altri due brani da “Afraid Of Sunlight” del ’95, ovvero “King” e “Beautiful”, e la bellissima “This Strange Engine”, finale culto per l’album omonimo. Entrambe le setlist scorrono piacevolmente per tutte e due le serate, rivelando al pubblico presente lo stato di forma attuale della band. Steve Rothery è uno dei chitarristi che, nella sua impassibilità, ha sempre impersonato lo stato di chitarrista-culto, dotato di un gusto e una classe sopraffini; Pete Trewavas, ‘the coolest man of the band’, come hanno sempre riferito i compagni, ha un sound inconfondibile, plettrate groovose e quasi soliste allo stesso tempo, che gode ad essere sul palco come un ragazzino; Mark Kelly è impeccabile e racchiude in sé quello che farebbe un’orchestra intera; Ian Mosley è un batterista senza età, puntuale come sempre dall’84 e Steve Hogarth è in una forma smagliante, teatrale, coinvolgente, emozionante: un vero leader, che è riuscito a guidare negli anni un progetto così importante, superando critiche e major. Il repertorio in questo tour è ampissimo e i Marillion possono pescare pure a caso in questo sacco, che comunque troveranno qualcosa da suonare per cui la gente delle prime file riuscirà a sorridere, talvolta commuoversi, saltellare. Un rituale quasi eucaristico, di comunione musica-pelle, musicista-spettatore. Un rituale che trova il suo punto di comunione più alto con la già citata “Easter”, suonata con tutto lo charme di un Hogarth teatrale nella prima serata, oppure con il finale della seconda serata con la tirata “This Strange Engine”/ “The Invisible Man”/ “Neverland”, brani che da soli valgono decenni di carriera di moltissime band. Ma, d’altronde, siamo al cospetto di una formazione d’altri tempi, onestamente parlando, di una caratura superiore, che ha calcato innumerevoli palchi, scritto innumerevoli hit (e la si smetta di parlare dei tempi andati, Fish e “Kayleigh”!) e che continua a produrre grande musica. Che lo si voglia o no, i Marillion ci sono ancora e Hogarth, da anni ormai, ne è diventato il burattinaio; e, allo stesso modo, il Pinocchio che ne plasma il mondo a sua immagine. Quelli che pensano che i Marillion non siano morti con Fish (e in queste due serate ne abbiamo avuto la dimostrazione, ancora una volta) allora alzino le mani e proclamino ufficialmente l’immortalità dei cinque!
Setlist 22/01/2013
Gaza
Ocean Cloud
Pour My Love
Neverland
Power
Sounds That Can’t Be Made
The Sky Above The Rain
The Great Escape
Man Of A Thousand Faces
Warm Wet Circles
That Time Of The Night (The Short Straw)
Easter
Three Minute Boy
Setlist 23/01/2013
Gaza
Beautiful
The Sky Above The Rain
You’re Gone
Pour My Love
Fantastic Place
Sounds That Can’t Be Made
Power
Somewhere Else
King
This Strange Engine
The Invisible Man
Neverland