11/02/2025 - MARILYN MANSON + THE BLACKMORDIA @ Alcatraz - Milano

Pubblicato il 12/02/2025 da

2 agosto 2024, Marilyn Manson annuncia il suo ritorno in Europa, con dieci appuntamenti tra cui un’unica data italiana all’Alcatraz di Milano. Ventiquattro ore dopo il promoter MC2 Live comunica che l’evento è sold-out, allo stesso modo di tutte le altre date di questa run europea nei club che sa di rodaggio, vista la durata relativamente breve e il mancato upgrade in locali da capienza maggiore.
Complice il convincente “One Assassination Under God, Chapter 1” – un disco maturo, sobrio e con diversi momenti degni di nota – la voglia di rivedere Brian Warner sul palco è palpabile, considerato anche il desiderio dell’artista di voltare pagina dopo un periodo incredibilmente buio, in cui svariate accuse di abusi sessuali e psicologici hanno minacciato seriamente di mettere la parola fine ad una carriera segnata dalle controversie.
Sotto una pioggia incessante di un martedì di metà febbraio il pubblico attende pazientemente, creando una coda che si prenderà l’intero isolato e attirando l’attenzione delle telecamere di TGR Lombardia per un servizio che rimanda ai tempi d’oro dell’artista: ed è questa l’aria che sembra vogliano respirare un po’ tutti, tra nostalgia, curiosità e desiderio di rivalsa.

La lunga fila fuori dall’Alcatraz si accorcia lentamente, così alle 20 THE BLACKMORDIA si esibiscono in un locale ancora lontano dalla piena capienza. Siamo sicuri che tutti si siano chiesti chi siano e da dove arrivino questi ragazzi poco più che ventenni, che con tremila ascoltatori mensili su Spotify, pochi follower sui social e una manciata di singoli in tasca aprono a giganti come Kiss, Avenged Sevenfold e Marilyn Manson.
I francesi propongono un mix di rock anni ’80 e musica elettronica, molto asciutto, liscio e ben rifinito: in una parola, ‘pop’. Prendono un po’ dai Def Leppard, dagli HIM e dai Van Halen, un po’ dai Daft Punk e dalla new wave, usando chitarre, sintetizzatori, un ritmo solido e una performance vocale ruffiana per definire il loro suono che oscilla tra il nostalgico e il contemporaneo.
Spesso la loro sicurezza sembra vacillare quando si perdono in qualche evidente sbavatura sonora, con il risultato che tra il pubblico qualcuno è incuriosito e qualcuno alza il sopracciglio. La puzza di industry plant è forte, quel che è certo è che per ora, senza nemmeno un successo a trainare la setlist, i ragazzi non lasciano il segno.

Un telone nero copre il palco e, per una ventina di minuti, il pubblico è lasciato in attesa con luci soffuse e cori da chiesa.
Guardandoci in giro, i fan di MARILYN MANSON sono decisamente invecchiati con lui: con un’età media piuttosto elevata e una fortissima presenza femminile è evidente come la rappresentanza goth, almeno dal punto di vista di trucco e vestiario, sia ridotta a una minoranza nemmeno tanto rumorosa rispetto a chi al concerto ci è arrivato, con tutta probabilità, direttamente dal lavoro, senza nemmeno portare le New Rock nel bagagliaio.
L’attesa in ogni caso è molto elevata nei confronti del ritorno sui palchi, del musicista soprattutto dopo un disco che ha stupito per la sua bontà, così questo sold-out istantaneo, insieme a quello di tutte le altre date di questo tour nei club, è segnale che gli ascoltatori non hanno voltato le spalle a Warner.
Il telo cade con “Nod If You Understand”, uno dei brani più rockeggianti ma anche meno azzardati dell’ultimo disco, ma adrenalina, clamore e calore del pubblico sovrastano ogni possibile considerazione. Dietro alla band c’è qualche croce luminosa e pochi fari che andranno a costruire giochi di luce efficaci ma tutto sommato minimali, visto che il focus, come sempre ma soprattutto questa sera, è solamente uno.
Il riff di “Disposable Teens” raddoppia il delirio, con Manson che si toglie la giacca e si mostra in splendida forma fisica, lontano anni luce dai brutti ricordi di dieci anni fa: la sua figura pallida, secca e longilinea sulle note dei grandi successi riaccende passioni mai sopite, così in molti tornano a sognare e a rivivere ricordi indelebili.
E’ evidente come la star della serata sia anche molto propensa a ricollegarsi al proprio pubblico, commosso dal fatto che questo non l’abbia abbandonato, e Manson lo esprime più volte in maniera esplicita, ringraziando tutti con parole di amore e rivalsa, tra i capolavori d’annata “Angel With The Scabbed Wings” e “Torniquet”.
Accanto ai brani di “Antichrist…” e “The Golden Age…” è evidente come la fresca “Meet Me in Purgatory” resti invece più pallida e scarna, ma è solo sull’epica “Death Is Not A Costume” che il sogno si infrange: per qualche motivo uno dei pezzi più viscerale e poetico di “One Assassination…” viene letteralmente massacrato da una prova vocale indegna, spegnendo l’entusiasmo e riportando molti dei presenti alla realtà. Non sappiamo spiegarci il perché, ma a posteriori si uniscono i puntini quando anche la maledetta “As Sick As The Sickness Within” è proposta in maniera davvero poco soddisfacente. Che i brani nuovi non siano abbastanza rodati? Manson ha problemi di audio e riesce a far bene solo i classici grazie a memoria delle corde vocali? Non lo sapremo mai.

Dopo essere tornati sulla terra realizzando la vulnerabilità dell’ugola del frontman, non certo una novità, lo spettacolo prosegue comunque spedito, ed anche se formalmente Manson è statico, occasionalmente stecca e boccheggia, appoggiandosi sul sostegno del pubblico e cercando cori, braccia in aria e battimano, la seconda metà della setlist ha brani talmente iconici che anche cantati tra il più che sufficiente e il discreto generano una reazione smodata.
“mOBSCENE”, “Great Big White World”, “The Dope Show” possono essere rallentate ma saranno per sempre tra le preferite dei fan, figuriamoci se si parla di “Sweet Dreams” e “The Beautiful People”, classici che generano letteralmente isteria.
Meritano una parola i musicisti di accompagnamento, gli stessi del tour americano coi Five Finger Death Punch: una squadra di gregari di Serie A che vede l’ottimo Gil Sharone alla batteria (The Dillinger Escape Plan, Team Sleep), Piggy D al basso (Rob Zombie, Alice Cooper) e alla chitarra Reba Meyers (Code Orange) e il braccio destro Tyler Bates, produttore ed autore dietro l’ultimo capitolo discografico. Una team nientemeno che perfetto, che rimane giustamente in disparte ma viene tributato rispettosamente prima che lo spettacolo volga al termine.
L’unico encore, “Coma White”, chiude in maniera più che dignitosa un ritorno attesissimo che, facendo un bilancio, possiamo dire che non ha deluso le aspettative, superando ampiamente quelle brutte esibizioni a cui nostro malgrado ci eravamo abituati. Manson è tornato, splendido cinquantaseienne, ma cosa è stato costretto a lasciare dietro di sé? Non c’è più l’anticristo che strappa la bibbia, tantomeno il ‘God of Fuck’, l’icona glam e il maestro di controversie che ha sconvolto il mondo a più riprese.
Anche la teatralità è ridotta al minimo, con qualche cambio di cappelli e vestiti di scena: sobrio, determinato e grintoso, il Reverendo non è certo la furia iconoclasta e lo spauracchio dei tempi che furono, ma eccolo ancora qui, deciso ad andare avanti e capace ancora di coinvolgere, con episodi brillanti e qualche colpo da maestro.
I nemici pubblici numero uno e supervillain del panorama musicale sono altri oggigiorno, ma artisticamente Brian Warner questa sera esce nettamente a testa alta, sorretto dall’amore di fan entusiasti per cui resta un idolo.

Setlist:
Nod If You Understand
Disposable Teens
Angel With the Scabbed Wings
Tourniquet
Meet Me in Purgatory
This Is the New Shit
Death Is Not a Costume
Say10
Raise the Red Flag
mOBSCENE
Great Big White World
The Dope Show
As Sick as the Secrets Within
Sweet Dreams (Are Made of This)
The Love Song
The Beautiful People

Coma White

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