26/05/2011 - MARYLAND DEATHFEST 2011 @ Sonar - Baltimore (Stati Uniti)

Pubblicato il 08/06/2011 da

Maryland Deathfest 2011. A un anno di distanza dalla prima impresa, si torna sul luogo del delitto. L’entusiasmo è quello dell’anno scorso, il fisico purtroppo pare di no, visto che nei pochi giorni di permanenza sul suolo statunitense non riusciremo assolutamente a vincere il fuso orario, cosa che ci costringerà a prenderci delle lunghe pause per ricaricare le batterie e piegare la voglia di dormire. Ma va bene così, alla fine basta essere nuovamente qui, in uno dei festival metal più “cult” al mondo, in compagnia di amici nuovi e di lunga data e con una serie di esibizioni che non vediamo l’ora di seguire (peccato solo per le defezioni “last minute” di Lock Up e Deathbreath!). Anzi, va anche tenuto conto dell’euforia e del sollievo che pervade tutti i presenti, visto che a poche settimane dall’inizio dell’evento, il Sonar, il locale che ospita buona parte del Maryland Deathfest, ha rischiato di chiudere, costringendo l’organizzazione a cercare una soluzione alternativa, per poi tornare sui propri passi e far rientrare l’allarme. Una gioia per tutti, dicevamo; del resto, il locale in sè non è così eccezionale a livello di suoni o capienza, però è decisamente comodo e facile da raggiungere, sia per chi si muove in auto, sia per chi deve fare affidamento sui mezzi pubblici, essendo situato a pochi isolati dal lungomare/centro di Baltimora. E poi ormai ci si è affezionati a questo tanfo di sudore misto ad alcol che pervade le sale del club e al mitico parcheggio antistante, già ribattezzato il “Death Metal Parking Lot”, dove crusties, “punkabbestia”, cani e i soggetti più strambi del circondario si mischiano agli avventori del MDF in un’atmosfera di festa e complicità. Identico all’anno scorso anche l’assetto interno del festival, con il palco “grande” del Sonar a ospitare il grosso delle band e due palchi esterni montati in strada per gli headliner e qualche altro gruppo del pomeriggio. Soluzione pratica e che soddisfa tutti, nonostante ciò implichi qualche sovrapposizione; d’altronde, è ormai raro trovare un festival ruotante attorno a un solo palco e fare delle scelte o vedere set a metà per poi correre altrove a seguire qualcos’altro è ormai prassi comune. Detto che il festival in sè è stato un successo, con un sold out registrato quasi tutti i giorni, e che l’unico vero incidente si è verificato a evento concluso, quando, appena fuori dall’entrata, alcuni tipi della security hanno ingaggiato una mezza rissa con un gruppo di ragazzi (i quali protestavano per un presunto pestaggio ai danni di un loro amico) arrivando persino a usare dello spray al peperoncino, spazio quindi ai report dei concerti che siamo riusciti a seguire con più attenzione…

MIASMAL

C’è già aria di baldoria quando entriamo all’interno del Sonar. È sempre così: quando si è agli inizi di un festival, non importa chi suona… si è talmente “presi bene” per la situazione che praticamente qualsiasi cosa è in grado di aizzare la folla. Non è comunque il caso di sminuire l’operato dei Miasmal, che, presentando il materiale del loro omonimo debutto, fanno senz’altro la loro figura. Death metal svedese nell’accezione più classica possibile, suonato da musicisti magari non espertissimi su un palco, ma sicuramente in grado di riproporre con efficacia le proprie sonorità. Il quartetto di Gothenburg impiega mezzora per portare a termine la propria missione: l’headbanging nella sala è furioso, qualcuno inizia a spingere e il supporto verso il gruppo appare a dir poco incondizionato. Pollice in su!

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TRAGEDY

Il picco di intensità nella prima serata del MDF viene raggiunto nel momento in cui i Tragedy calcano il palco. Il gruppo hardcore/d-beat statunitense è una vera icona nel suo genere, sia per la qualità indubbia delle pubblicazioni discografiche, sia per la scelta di mantenere un profilo basso, lontano da qualsiasi scena anche solo vagamente non underground. I nostri suonano live quasi in segreto, organizzando pochi e selezionati tour, lasciando che sia il passaparola a promuoverli. Un evento ampiamente noto come il MDF ovviamente mette la band nelle condizioni di esibirsi di fronte a un pubblico molto vasto, eppure il quartetto non appare nè infastidito nè tantomeno intimorito da questa cornice insolita. I Tragedy caricano a testa bassa e in pochi minuti si impossessano del Sonar. La sala è stra-colma, i circle pit si sprecano e, in generale, i nostri danno l’idea di essere dei veri dominatori, tenendo il palco con sicurezza e suonando senza alcuna sbavatura. Quasi tutti i classici del repertorio vengono inclusi nella setlist, con un’attenzione particolare per i brani di “Vengeance”, indubbiamente la miglior opera della discografia. Tante le tracce legate fra loro, pochissime le pause… l’esibizione dei Tragedy dura poco più di mezzora, ma risulta così energica da lasciare gran parte del pubblico stremato. Noi in primis corriamo a sederci non appena la band saluta i fan, stanchi ma assolutamente soddisfatti. Culto sempre più radicato!

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CATHEDRAL

Con l’arrivo dei Cathedral si abbassa la velocità delle ritmiche, ma di certo non l’apprezzamento del pubblico. Si tratta di uno degli ultimi show per la band britannica – quasi sicuramente l’ultimo negli Stati Uniti – e, di conseguenza, nessuno vuole mancare all’evento. Nel proprio genere, i Cathedral sono sempre stati un’ottima live band e questa sera ne abbiamo l’ennesima conferma: la setlist, come prevedibile, è un vero e proprio best of del repertorio, e la passione con cui Lee Dorian e soci la interpretano mette letteralmente i brividi. Che venga suonata una “Vampire Sun”, una “Midnight Mountain”, una “Ebony Tears” o una “Corpsecycle”, il fervore che il quartetto trasmette non fa una piega e rimane immutato, rapendo gli astanti in un vortice di suoni pastosi e melodie agrodolci. Tutti si spellano le mani non appena la band si prende una piccola pausa e qualcuno arriva addirittura a fare crowd surfing, cosa decisamente insolita per gli show del gruppo. Ma, d’altronde, questo e altro per far capire ai Cathedral che quanto hanno fatto e stanno facendo in carriera non è certo passato inosservato e che la loro assenza si farà sentire. Il tripudio esplode definitivamente sulle note della conclusiva “Hopkins (Witchfinder General)”, da anni manifesto della formazione sia su disco che dal vivo. È tempo di andare finalmente a dormire, ma per un attimo dimentichiamo la stanchezza per soffermarci sulla dimostrazione di forza, onestà e classe appena messa in atto dai Cathedral. Ci mancheranno tanto.

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NAILS

Visti i continui problemi con il sonno, che non ci dà pace, ci facciamo dare una bella svegliata dai Nails, tra le prime band a esibirsi nella giornata di venerdì. Il terzetto sta sul palco appena una ventina di minuti, ma ciò è sufficiente per constatare ancora una volta l’efficacia del suo materiale. Il gruppo guidato dal chitarrista/cantante Todd Jones non fa letteralmente prigionieri: i nostri si fanno largo a colpi di grind e hardcore metallizzato vecchia scuola, reclamando l’attenzione della folla, che dal canto suo risponde con il primo pogo della giornata e un incitamento continuo. Assolutamente statici on stage, ma con un repertorio di tracce che non lascia campo a fraintendimenti, i Nails conquistano il Maryland Deathfest con il solo impatto dei loro strumenti. Primo grande show della giornata ed ennesima riprova del fatto che questa formazione va tenuta d’occhio.

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PULLING TEETH

Vi è solo un quarto d’ora per rifiatare, perchè subito dopo arrivano i Pulling Teeth, per una doppietta che quest’oggi lascerà senza dubbio il segno sugli astanti. Il quintetto è proprio di Baltimora, quindi quest’oggi gioca in casa… e si vede! Appena i nostri attaccano, il pit si trasforma in una zona di guerra, con gente che vola da ogni parte nel pezzo di pogo e hardcore dancing. La band oggi dà spazio quasi esclusivamente al suo materiale più diretto e feroce, lasciando da parte quegli esperimenti sludge che si sono fatti sempre più insistenti nelle ultime release. Per l’occasione, la parola d’ordine è perciò un thrash-core stuprato da sprazzi grind, che in sede live dimostra di fare letteralmente faville. Assolutamente incisiva la performance dei Pulling Teeth, che in una mezzoretta polverizzano quei malcapitati davanti al palco interno del Sonar sfoderando tutti i loro pezzi migliori, con un occhio di riguardo per la perla “Martyr Immortal”. È stato un piacere…

CRIPPLE BASTARDS

Lunga vita ai Cripple Bastards, chiamati a rappresentare l’Italia in questo prestigioso festival. Avendoli visti di recente al Neurotic Deathfest in Olanda, sappiamo che il quartetto è in forma, quindi non ci sorprendiamo affatto nel vedere la carneficina che il suo set scatena nella sala interna del Sonar. Sono da poco passate le 20, quindi l’orario è ottimale; la sala è gremita e il pubblico per nulla stanco. Giulio e i ragazzi come al solito si presentano senza alcun preambolo: giusto il tempo di controllare che tutto sia ok e parte “Being Ripped Off”. Si capisce subito che la band ha qui un seguito ormai consolidato e che l’esibizione era parecchio attesa: tra pogo e circle pit è un massacro e più i minuti passano, più la massa di persone intenta ad assistere allo show sembra ingrossarsi. Come in tutti i concerti recenti, la setlist è un “best of” della produzione del quartetto. Si va quindi da “Variante Alla Morte” a “Italia Di Merda”, da “I Hate Her” a “Misantropo A Senso Unico”. Il tutto con suoni che, per fortuna, non lasciano a desiderare. Insomma, un successo. Ma diciamo che ce lo aspettavamo, anche a costo di apparire “di parte”.

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AURA NOIR

Abbiamo voglia di ignoranza spiccia, quindi non ci facciamo mancare una capatina all’esterno per vedere all’opera gli Aura Noir. Il gruppo, da sempre alfiere di un rozzo thrash-black, è una sorta di culto underground, potendo vantare nella sua lineup la presenza di diversi nomi noti della scena norvegese. Una fama in larga parte giustificata solo da ciò, dato che, a dire il vero, la proposta dei nostri non è mai stata nulla di trascendentale: basta pensare a dei Sodom iper-vitaminizzati e il gioco è fatto. Tuttavia, avendo aspettative non altissime, ci viene facile godere dello spettacolo della band, che calca il palco con sicurezza e si atteggia esattamente come un gruppo thrash anni ’80, con pose cattivissime ed headbanging forsennato. Il debut “Black Thrash Attack”, di gran lunga la loro opera migliore, viene ampiamente saccheggiato e su canzoni come “Conqueror” o “Wretched Face Of Evil” lo show decolla alla grande, generando un vasto interesse tra tutti coloro che hanno deciso di rimanere all’esterno del Sonar. Semplici ed efficaci.

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DOOM

La storia del crust-punk arriva sul palco interno nella prima serata di sabato. Arrivano i Doom! Ci si aspetta uno show selvaggio dalla formazione britannica e, effettivamente, nessuno rimane deluso. Ovviamente bisogna avere una certa passione per questo genere di musica per apprezzare la prova del quartetto, visto che la formula dei brani è a dir poco limitata. Assalti frontali in d-beat, chitarre e basso sferraglianti, uno zotico che urla senza risparmiarsi. Come ovvio, chi gode maggiormente sono i crusties accorsi all’interno del locale, che si fanno letteralmente a pezzi davanti al palco. Ma, in verità, è davvero tanta la gente accorsa a vedere questo pezzo di storia punk (influentissimo anche per la scena grind): colpisce la genuinità della band, il suo modo di porsi molto umile e – cosa certo non da escludere – la cruda cattiveria della proposta musicale, indubbio frutto della Birmingham proletaria degli anni ’80 che ancora oggi può risultare decisamente attuale. In conclusione, appare quasi superfluo sottolineare come si rimanga molto soddisfatti dal concerto dei Doom, che portano una ventata di estremismo con la E maiuscola all’interno del Sonar, dandoci la carica per affrontare il resto della serata.

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IMPALED NAZARENE

Gli Impaled Nazarene qui non hanno lo stesso seguito che possono vantare nel Vecchio Continente, ma d’altronde, a causa del loro monicker, hanno sempre avuto qualche problema a suonare da queste parti. Cosa comune a un gruppo come i Rotting Christ, che da anni, quando si reca oltreoceano, deve prepararsi ad affrontare fondamentalisti cristiani e altre amenità di questo tipo. Lo show della formazione finlandese è dunque una sorta di “piccolo evento all’interno dell’evento” e non sorprende che ad essa sia stato assegnato uno dei palchi esterni, in modo da dare la possibilità a più gente possibile di seguire l’esibizione. Fortunatamente, Mika Luttinen e compagni si presentano piuttosto in forma e impiegano ben poco a infiammare la folla. Del resto, i brani che si prestano a essere eseguiti live non mancano loro di certo e, in quest’occasione, non si pone nemmeno il problema di dare spazio a un disco piuttosto che a un altro. Sapendo bene che le loro calate in terra statunitense sono rare, i finlandesi sfoderano un “best of” con tutti i loro pezzi più ignoranti e famosi. Inutile stare a citarli per filo e per segno, ma “1999: Karmageddon Warriors”, “Ghettoblaster” e “Total War – Winter War” fanno tutte la loro figura, imponendosi all’attenzione di fan vecchi e nuovi nel segno della conclamata formula “black metal + Motorhead” tanto cara ai nostri. L’età avanza per Luttinen, ma la voce tutto sommato regge ancora, se non altro perchè non gli vengono di certo chieste chissà quali finezze. Gli Impaled Nazarene “la buttano in caciara” e alla fine escono vincitori. Ciò era proprio quello che ci si attendeva da loro.

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EXHORDER

Tutto il MDF apre una parentesi per sonorità più classiche con l’arrivo degli Exhorder, storica formazione power-thrash da molti considerata la vera ideatrice di quel sound groovy che fece la fortuna dei Pantera negli anni ’90. La band di New Orleans è tornata in attività di recente e quest’oggi appare decisamente in forma, anche se, bisogna dirlo, almeno metà dei presenti non appare granchè interessata alla sua proposta. In ogni caso, il quintetto sa bene che non può permettersi di fare brutta figura e così sfodera una prova molto ficcante, che punta tutto sul recupero dei classici dei full-length “Slaughter In The Vatican” e “The Law”. Soprattutto i pezzi del primo album fanno la parte del leone nel set dei nostri, che, grazie anche alla buona qualità dei suoni di uno dei palchi esterni, deflagrano in faccia agli astanti con un tiro invidiabile. La doppietta d’apertura “Death In Vain” / “Homicide”, in particolare, scatena un bel pogo, sorretta anche dall’entusiasmo del frontman Kyle Thomas, ma tutto il set non mostra cedimenti, trattandosi appunto di una selezione dei brani più riusciti e famosi. In sintesi, questo break al di fuori del marasma death / black / hardcore si rivela piacevole: chi segue gli Exhorder assiste a una performance coinvolgente, mentre coloro che seguono solo generi più estremi hanno il tempo di riposarsi.

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DEFEATED SANITY

Lo show al MDF segna la separazione tra i Defeated Sanity e A.J. Magana, che, per ovvie questioni logistiche (lui basato negli USA, la band in Germania) ha deciso di farsi da parte al termine di questo tour statunitense. Il palestrato frontman vuole chiudere in bellezza, così come il resto del gruppo, e lo show in pochi minuti prende la piega di una vera carneficina. Anche dal vivo, colpisce la preparazione tecnica dei nostri, che sanno come raffinare un death metal altrimenti molto classico: la sezione ritmica non sbaglia niente e, al contempo, si produce in numerosi virtuosismi, mentre la chitarra ha il compito di imbastire trame heavy e compressissime, che ripetutamente omaggiano i maestri Suffocation senza farsi mancare un pizzico di ignoranza più moderna. Grande spazio agli episodi di “Chapters Of Repugnance”, maggiormente fruibili rispetto al resto del repertorio e molto adatti a far esaltare Magana, che si dimostra davvero a suo agio sul palco e nell’interagire con i fan. Mancava ancora una razione di death metal brutale, nudo e crudo, e in questo senso l’arrivo dei Defeated Sanity ha rappresentato una vera manna dal cielo. Una botta che non dimenticheremo.

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INQUISITION

I black metallers Inquisition sono la band chiamata a chiudere il programma di sabato. Il gruppo è colombiano, ma si è trasferito da tempo negli USA, dove oggi risiede la maggior parte del suo seguito. Non stupisce quindi vedere la sala interna del Soner quasi al completo. Davanti a noi vi è un duo (Dagon alla chitarra/voce e Incubus alla batteria) che sembra spesso e volentieri una sorta di versione “non nordica” degli Immortal: ritmiche e numerosi riff sono infatti decisamente simili a quelli della band norvegese, così come il cantato, anche se qui spesso assume i connotati di un parlato nasale piuttosto che di un vero e proprio screaming. In ogni caso, apprezziamo la prova degli Inquisition, che generano un entusiasmo contagioso all’interno del locale e si fanno valere nonostante il colpo d’occhio sul palco non sia dei migliori, dato che il solo Dagon può muoversi un minimo. Le composizioni, tuttavia, godono di un buon tiro e possono vantare un andamento coinvolgente, che esula dalla corsa al blast-beat a oltranza. Ci sono midtempo che inducono all’headbanging, aperture epicheggianti e anche qualche parentesi di melodia pura, che viene esaltata da dei suoni nitidi e corposi. In definitiva, gli Inquisition fanno il cosiddetto colpaccio, chiudendo la serata in grande stile e attirando su di essi l’attenzione di una grossa fetta dei presenti. Una sorpresa in positivo.

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REPUGNANT

Ultimo giorno del MDF 2011: siamo a pezzi, ma riusciamo a tirarci su per assistere a qualche concerto di grande interesse. Il primo di questi è quello dei Repugnant, realtà svedese ormai divenuta una sorta di “cult band” nell’underground, grazie al suo sound fieramente radicato nella tradizione proto-death metal e thrash-death della fine degli anni ’80 e dei primi ’90, con riferimenti che vanno dai Grotesque ai Merciless, passando per i primissimi Morbid Angel. Gira voce che il cantante/chitarrista Mary Goore sia anche il frontman dei chiacchieratissimi Ghost, ma per il momento non ne abbiamo conferma, anche se i due personaggi certamente si somigliano. Si vede che la band non è abituata a suonare live molto spesso, quindi sul palco di certo non fa follie; ciò nonostante rimaniamo favorevolmente impressionati dalla buona esecuzione e dalla carica che il materiale trasmette pure in questa sede. È ovviamente l’unico full-length “Epitome Of Darkness” a dominare la setlist: lo show è breve, ma piuttosto intenso e vede il pubblico – inaspettatamente molto nutrito – esaltarsi soprattutto sulle note di “From Beyond The Grave” e “Spawn Of Pure Malevolence”. Imprevisto anche l’atteggiamento di Mary Goore… tutto sommato loquace, il Nostro regge le redini della performance da frontman scafato, denotando anche una certa simpatia che non ci saremmo esattamente aspettati.

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SKINLESS

L’ultimo concerto della carriera degli Skinless fortunatamente riesce alla perfezione. La band newyorkese si presenta con la lineup storica, quella guidata dal frontman Sherwood Webber, e in poco meno di quaranta minuti fa felici tutti i death metallers accorsi al Sonar. I suoni sono pastosissimi, con una chitarra enorme a dominare su tutto pur senza nascondere il resto. Webber è indiavolato e il pubblico lo segue come un messia. Già dopo un paio di pezzi il pit è un campo di battaglia: quello a cui assistiamo è il pogo più feroce dell’intera edizione, e non mancano stage diving e crowd surfing, a rendere la cornice ancora più eccezionale. La band ci tiene a ringraziare tutti e a congedarsi senza dimenticare nessuno, ma, giustamente, per lo più pensa a suonare, tanto che la setlist si trasforma ben presto in un treno in corsa, che investe tutto e tutti. Moltissimi i classici proposti, da “Crispy Kids” a “Tampon Lollipops”, da “Smothered” a “The Optimist”, i cui rallentamenti fanno quasi cedere le fondamenta del Sonar. Death-core? Prima di mettervi in bocca questo termine per definire la solita “new sensation” del momento date un ascolto agli Skinless o vedete come si poneva sul palco questo gruppo: questa è la vera essenza del death-core, inteso come “death metal + hardcore”. Ce ne andiamo con i lividi, ma tributare un ultimo saluto a questa grande formazione era d’obbligo.

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CORONER

Quello dei Coroner è sicuramente lo show più atteso di questa edizione del MDF. Ci sono persone accorse al festival solo per vedere all’opera gli svizzeri e non è un caso che, anche diversi minuti prima dell’inizio dello spettacolo, l’aerea antistante al primo palco esterno sia già gremita di fan. Rivedremo i Coroner prossimamente all’Hellfest in Francia, ma naturalmente non ci lasciamo sfuggire l’opportunità di seguirli già questa sera, anche perchè siamo proprio curiosi di vedere come il gruppo si comporterà sulle assi di un palco dopo tanti anni di assenza. Dopo una manciata di brani possiamo già constatare che quella dei Coroner non è la classica reunion all’insegna della nostalgia per i vecchi(ssimi) tempi e dell’accontentare i fan: al gruppo di Zurigo non interessa rispolverare in toto i trascorsi thrash e ri-accattivarsi le simpatie di chi è cresciuto a pane e “R.I.P.”. Certo, una “Reborn Through Hate” trova il suo spazio nella setlist e fa scatenare il pubblico, ma, per il resto, gli svizzeri puntano in gran parte sul materiale degli ultimi due full-length, quei “Mental Vortex” e “Grin” che, agli inizi degli anni ’90, segnarono una decisa evoluzione verso lidi musicali prog e industriali. Lo spettacolo, insomma, non è incentrato su rabbia thrash e ritmiche galoppanti: qualche parentesi-tributo agli esordi si apre – vedi “Masked Jackal” – ma si tratta appunto di episodi isolati. A questo punto, si notano le reazioni più disparate tra il pubblico: c’è chi segue con interesse (perchè evidentemente è fan di tutte le anime della band), chi girovaga qua e là, incuriosito ma non del tutto rapito, e chi letteralmente si incazza come una bestia. Addirittura, notiamo un fan palesemente di vecchia data prendere una t-shirt del gruppo, scaraventarla in una pozzanghera e andarsene. Ciò nonostante, va detto che Tommy Vetterli e soci suonano con precisione chirurgica e che, a livello formale, non vi è proprio nulla che non vada nello show dei nostri, suoni compresi. Noi, in verità, questa sera li troviamo un pochino freddi, ma non ci sentiamo di muovere vere e proprie critiche, sia perchè va tenuto conto della lunga assenza dai palchi, sia perchè siamo oggettivamente un po’ stanchi e poco lucidi. Nel complesso, comunque, i Coroner fanno senz’altro la loro figura. Ora attenderemo conferme nei prossimi appuntamenti live estivi.

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