23/05/2024 - MARYLAND DEATHFEST 2024 @ MARYLAND DEATHFEST 2024 -

Pubblicato il 14/06/2024 da

Report di Luca Pessina
Foto di Hillarie Jason / MDF

Lo statunitense Maryland Deathfest (MDF) si conferma ancora una volta un happening imprescindibile per tutti gli amanti del metal nella sua sfera più estrema.
Nonostante la sua denominazione, che potrebbe far pensare a un festival esclusivamente death metal (cosa che era in origine), il MDF da anni ospita una vasta gamma di band black metal, comprese le sue forme più raffinate, e un’ampia varietà di realtà grindcore e affini, sempre con un occhio di riguardo per l’underground di qualità. Quest’attenzione alla diversità e alla qualità musicale ha reso il festival un punto di riferimento per gli appassionati del genere, attratti da un cartellone che presenta puntualmente qualche chicca incredibile, ma anche dall’opportunità di scoprire nuove sonorità e band emergenti.

Quest’anno il festival ha trovato la sua location ideale in un paio di vie vicine al porto turistico di Baltimore: abbandonato il vecchio parcheggio denominato Edison Lot, che fino a due anni fa era il principale teatro di molti show di rilievo, il nuovo assetto è subito apparso più compatto e funzionale. Questo cambiamento ha permesso agli avventori di raggiungere i vari locali e palchi in pochi minuti, contribuendo a una fruizione più agevole e piacevole degli eventi. La scelta di una location interamente centrale ha poi aggiunto un ulteriore elemento di comodità, consentendo ai partecipanti di esplorare anche le attrazioni circostanti.
Il nuovo assetto del festival comprende cinque palchi distinti: uno completamente esterno, il Market Place, uno semi-esterno, coperto da una tensostruttura – il Power Plant Live – oltre a due locali dall’ottima reputazione – il Rams Head Live e il Soundstage – e un piccolo bar chiamato ad ospitare gli show di band locali, l’Angel’s Rock Bar, anch’esso situato all’interno del complesso che ospita i suddetti Power Plant e Rams Head. Questo set-up ha garantito un’ampia varietà di spazi e atmosfere, ognuno con le proprie peculiarità.
Nello specifico, il Power Plant Live! è un centro di intrattenimento che vanta un palco interno riparato da una copertura traslucida, offrendo così protezione dalle intemperie. All’interno dell’area, i fan possono muoversi liberamente e godere di numerose opzioni di ristorazione e bevande. Dal canto suo, il Rams Head, situato praticamente accanto al palco del Power Plant, è una venue multi-livello al chiuso, rinomata per la sua eccellente acustica e ospitalità.
Il Market Place, invece, è stata appunto la vera nuova aggiunta alla struttura del MDF: questa area esterna ha ospitato un palco e un’ampia gamma di venditori di cibo, oltre alla principale tenda per il merchandise dei gruppi partecipanti.
Il Soundstage, un altro locale situato all’altezza del Market Place, da tempo utilizzato dal festival, si è poi confermato uno dei centri nevralgici dell’evento, grazie alla sua ottima acustica e alla posizione centrale.
Infine, l’Angel’s Rock Bar, situato al piano superiore del complesso Power Plant, ha offerto un ambiente intimo e assolutamente azzeccato per le esibizioni delle band locali.
Considerata la varietà delle sonorità protagoniste, dal black metal più malinconico alle peggio nefandezze powerviolence, si può dire che i concerti migliori abbiano avuto luogo all’interno dei locali. I palchi esterni, invece, hanno sofferto a volte di suoni un po’ confusi e di un’atmosfera talvolta poco consona al genere proposto. Ad esempio, gruppi come gli Agalloch non hanno reso al meglio su un palco vicino a una strada trafficata come il Market Place, dove le sirene della polizia e il rumore delle auto hanno a volte interferito con i passaggi musicalmente più soft. Tuttavia, le cose sono andate meglio quando su quel palco si sono esibite band dalle sonorità più dure e compatte, che sono riuscite a mantenere alta l’energia nonostante le difficoltà acustiche.
Rispetto all’edizione del 2022, ci sono state comunque diverse migliorie a livello di contorno, con più stand di dischi e merchandise, cambi palco più rapidi e appunto un assetto generale migliorato grazie all’azzeramento delle distanze tra i vari locali e palchi. Questo ha permesso ai partecipanti di godere di un’esperienza più fluida e piacevole, senza lunghe attese o spostamenti faticosi.
Per il futuro, ci auspichiamo che la collocazione delle band sui vari palchi si faccia ancora più oculata, mantenendo al chiuso i gruppi dal carattere più sofisticato e limitando gli show all’esterno, anche perché il clima di Baltimore può essere molto afoso in questo periodo dell’anno. Comprendiamo che la sopravvivenza di un evento di questo calibro dipenda anche dalla capienza delle aree esterne, che permettono di ospitare più pubblico e di conseguenza di vendere più biglietti. Tuttavia, sarebbe sufficiente collocare band come i succitati Agalloch o gli Arcturus all’interno, in location più raccolte e atmosferiche, mentre gruppi più ‘ignoranti’ come Avulsed o Severe Torture potrebbero continuare a esibirsi all’esterno, mantenendo comunque alta la qualità degli spettacoli.
Nel complesso, l’edizione 2024 del Maryland Deathfest è dunque stata molto soddisfacente: osannata dai fan locali, che come sempre hanno apprezzato l’opportunità di assistere a show di band europee che di rado suonano sul suolo americano, ma anche dai tanti stranieri, che qui ogni volta trovano un mix eccitante di tutto ciò che è estremo, oltre a qualche esibizione da parte di band nordamericane che quasi mai arrivano nel cosiddetto Vecchio Continente. Locali come il Rams Head Live!, infine, si distinguono regolarmente per l’eccellente acustica e accoglienza, spazzando via in questo senso molte venue europee.
Visto che nel 2025 verrà allestita la ventesima edizione del festival, possiamo affermare già da subito di non vedere l’ora di partecipare anche il prossimo anno, per continuare a vivere questa straordinaria esperienza musicale in un contesto ineguagliabile per atmosfera e vera vicinanza all’etica underground.

GIOVEDÌ 23 MAGGIO

Dopo un classico primo giro di perlustrazione, la nostra attenzione si rivolge ai FOSSILIZATION, tra le prime band a esibirsi in questa prima giornata ufficiale del festival. Il locale è il celebre Rams Head, a questo punto già pieno di curiosi e di gente abbondantemente fomentata per l’inizio di questo weekend metallico.
Il gruppo brasiliano è già passato in Europa per presentare la sua ultima fatica, il debut album “Leprous Daylight”, ma da queste parti si può parlare di battesimo del fuoco per i ragazzi di São Paulo, i quali aprono le ostilità proponendo il loro death-doom atmosferico, fortemente improntato su un mood freddo e caliginoso.
Anche in questa sede, si fa largo l’impressione che alla band vengano meglio le partiture più tetre e avvolgenti, da cui emerge una solennità che talvolta si avvicina ai registri dei finnici Krypts, mentre nei momenti più ‘dritti’ e arrabbiati sembra ancora mancare un po’ di smalto, visto che i riff sono lontani dall’impatto di gente come i Dead Congregation. Nel complesso, comunque, lo show si lascia seguire, anche perché i quattro dimostrano subito di avere una certa presenza scenica e molta confidenza con il palco.
All’interno del Soundstage tocca quindi agli INCINERATE, ormai veterani del panorama ‘brutal’/technical death metal statunitense, autori nel sempre più lontano 2008 del mini-classico “Anatomize”. Negli ultimi tempi, la line-up del gruppo è stata completamente rivoluzionata, tanto che troviamo solo il cantante Jesse Watson a rappresentare la cosiddetta vecchia guardia. Siamo comunque davanti a gente molto esperta e quindi l’impatto dello show non ne risente, anche se ovviamente è necessario avere un minimo di familiarità con il repertorio della formazione per seguire e apprezzare del tutto il parossistico sound proposto.
Il massiccio frontman, in ogni caso, riesce da solo ad attirare su di sé l’attenzione di molti astanti, incarnando appieno quella potenza e quello sviluppo frenetico che realtà come questa e nomi come Deeds Of Flesh, Severed Savior o Antropofagus sanno da sempre ispirare.
Rifiatiamo un pochino rientrando nel Rams Head per l’arrivo dei DERKETA, nome di culto del panorama death-doom statunitense, pienamente riattivatosi nell’ultimo decennio e già protagonista di un concerto a un’edizione del Kill-Town Death Fest di Copenhagen qualche anno fa. La band sta da tempo lavorando a un secondo album e questa sera ci viene proposto un inedito, assieme a una lunga serie di pezzi estratti dal demo del 1990 e dal full-length “In Death We Meet”.
La cantante/chitarrista Sharon Bascovsky appare sempre piuttosto timida, ma il pubblico è tutto con la band, la quale procede senza alcun patema offrendo un set veramente solido e convincente. La riuscita dello show si deve senz’altro anche alla fantastica acustica del locale, ma bisogna dire che l’esecuzione del quartetto è eccelsa, tanto a livello strumentale quanto vocale, con il growl della frontwoman, ormai non più di primo pelo, che regge alla grande fino al termine dell’esibizione.

Maryland Deathfest XIX, Day 1, Baltimore, MD 5/23/2024

Tornando all’interno del Soundstage, ci imbattiamo in un’altra cantante, ovvero Bridget Lynch degli STABBING, quartetto death metal dedito a un death metal a tratti prettamente texano, con parti sincopate alternate a ‘slammoni’ da pogo che in questa sede non possono che fare sfracelli. Se su disco il gruppo deve ancora trovare completamente la quadra, dal vivo la formazione di Houston appare già solida e matura nel tenere il palco e nel dominare la scena, attirando su di sé l’attenzione di una platea sempre più divertita e adorante.
La Lynch è senza dubbio la principale protagonista di questo exploit, ma si può dire che tutta la band faccia il suo nel migliore dei modi, lanciandosi nell’esecuzione dei pezzi con grande convinzione e senza mostrare alcuna sbavatura. Certo, a chi conosce bene il sound di Dying Fetus, Devourment, Guttural Secrete e compagnia affine, risulta piuttosto facile intuire dove i brani andranno a parare, tuttavia bisogna sottolineare come gli inediti proposti – estratti da un album di prossima pubblicazione – mostrino più carattere e lucidità rispetto al vecchio materiale, stuzzicando così la curiosità per le prossime mosse del gruppo.
Alla macelleria degli Stabbing segue il più raffinato show dei CHTHE’ILIST, death metaller canadesi discepoli di visionari come Demilich e Timeghoul.
A livello discografico, la band è ferma al 2018, anno di pubblicazione del mini “Passage into the Xexanotth”, ma sul fronte live le sue sortite non sono rarissime. Dopo averli ammirati al KTDF in Danimarca, siamo felici di replicare quest’oggi, a maggior ragione all’interno di un locale clamoroso come il Rams Head.
A dispetto dei tecnicismi e dei continui cambi di tempo di cui è infarcita la musica, la performance del quintetto è molto fisica e spigliata, anche grazie all’apporto del frontman Laurent Bellemare, il quale non fa parte della line-up da studio. Evidentemente reclutato per dare una spinta in più ai concerti, il Nostro si rende protagonista dominando la scena e dando modo ai musicisti di concentrarsi sulle fitte partiture di lunghi brani come “Into the Vaults of Ingurgitating Obscurity” e “Voidspawn”, per una resa complessiva che in vari punti si avvicina parecchio a quanto ascoltabile su disco.
Più ignorante ma similmente divertente il set degli INTERNAL SUFFERING, un vero cataclisma death metal che si abbatte sugli astanti all’interno del Soundstage. Il gruppo colombiano è noto per la propria proposta serratissima e convulsa, ma se in studio tante cose sono facilmente attuabili, anche grazie all’aiuto della tecnologia, è su un palco che si assiste alla cosiddetta prova del nove. Bastano pochi minuti per rendersi conto che il quintetto sudamericano non scherza nemmeno in questa sede, ‘blastando’ tutto con apparente semplicità e infervorando un pubblico dalla forte componente latina.
È un bel preambolo all’arrivo dei SODOM, chiamati sul palco del Power Plant a eseguire il loro classico “Agent Orange” per intero: da un death metal claustrofobico a un thrash metal d’annata il passo non è brevissimo, ma la tensione resta alta, anche perché da queste parti c’è tantissima gente che non ha mai avuto modo di assistere a un concerto dei tedeschi prima d’ora.
Non a caso, appena partono le prime note della title-track, la platea si apre in un pogo d’altri tempi, facendo arretrare di parecchi metri tutti coloro che hanno a cuore la propria incolumità. Ci vuole un po’ affinché i suoni vengano adeguatamente settati, ma il concerto procede comunque spedito, con Tom Angelripper e Frank Blackfire che talvolta si scambiano i ruoli di frontman e presentatori, denotando sincera affabilità e piacere di trovarsi in quel di Baltimore davanti a un pubblico tanto affamato.
Per gli europei presenti, non certo nuovi a un concerto del quartetto, gli spunti di interesse sono rappresentati da pezzi raramente suonati dal vivo – vedi “Incest”, “Magic Dragon”, “Exhibition Bout” e “Baptism of Fire” – i quali vengono interpretati con mestiere ed efficacia da una formazione che evidentemente non ha sottovalutato l’impegno.
Peccato che il momento amarcord non prosegua nel corso dei cosiddetti bis: a una riuscita ma evitabile cover di “Don’t Walk Away” dei Tank, segue infatti la recente e anonima “Sodom & Gomorrah”, prima che si torni al passato con una manciata di tracce, fra cui l’immancabile “Sodomy and Lust”.

Maryland Deathfest XIX, Day 1, Baltimore, MD 5/23/2024

Amando un po’ tutto lo spettro metallico estremo, ci sentiamo di riprendere fiato dopo l’esaltazione generale marchiata Sodom facendoci ammorbare – in senso positivo – dall’esibizione degli ESOTERIC, paladini indiscussi del movimento funeral doom.
Abbiamo avuto modo di vedere live la band britannica svariate volte, ma si tratta sempre di qualcosa di a suo modo memorabile: ogni nota, prolungata e distorta, risuona come un lamento funebre, mentre le complesse strutture dei brani evocano un senso di eternità e desolazione. Le luci soffuse e i giochi di ombre sul palco del Rams Head, inoltre, intensificano ulteriormente l’esperienza, trasformando la performance di Greg Chandler e soci in una specie rito catartico e in un’odissea sonora che, su tracce come “Stygian Narcosis”, lascia evidentemente il pubblico in uno stato di riflessione profonda e di cupa meraviglia.
Ci piacciono gli sbalzi, così, per concludere la serata, facciamo un’ultima capatina all’interno del Soundstage per seguire il set dei BROKEN HOPE.
A differenza di quello degli Esoteric, come facilmente prevedibile, il concerto dei Broken Hope è un’esplosione di energia e pura aggressività: gli storici death metaller americani, noti per il loro sound crudo e per la rozzezza di opere come “Swamped in Gore” e “The Bowels of Repugnance”, fanno il possibile per scatenare un assalto sonoro e travolgere il pubblico fin dalle prime note.
L’età non è dalla loro parte, ma un frontman come il possente Damian Leski sa sempre il fatto suo, così come è proverbiale l’esperienza del chitarrista e leader Jeremy Wagner, sorta di frontman aggiunto e primo protagonista nell’interazione con la platea. Il modo di porsi molto onesto ed espansivo, rende l’esperienza più coinvolgente, trasformando il concerto in una piccola celebrazione del death metal del gruppo, il quale dà qui ampio spazio al repertorio intransigente del debut, oltre a vari estratti da tutta la discografia, tra cui spiccano “Into the Necrosphere” da “Repulsive Conception” e “The Cloning” da “Loathing”.
Un’ultima spallata prima di rincasare per un po’ di meritato riposo.

 

VENERDÌ 24 MAGGIO

Dopo una prima giornata gestita soprattutto tra Rams Head e Soundstage, l’area esterna e il palco Market Place vengono ufficialmente inaugurati con il set dei DEFEATED SANITY.
Anche se qua e là si rintracciano delle zone d’ombra, alle quattro del pomeriggio, un contesto simile in quel di Baltimore è ancora associabile a una fornace, quindi è con un certo timore che ci avviciniamo al palco. Di certo gli show nel vecchio Edison Lot erano ancora più inospitali a livello di temperature, ma resta forte la sensazione che una band di questa caratura tecnica renderebbe mille volte meglio in uno dei locali. Detto ciò, i death metaller di origine tedesca riescono a trasformare un ambiente ordinario come una strada chiusa al traffico in un’arena di pura devastazione musicale.
La band, rinomata per il suo approccio estremamente tecnico e brutale al death metal, cerca di donare al pubblico la sua tipica scarica di adrenalina, contrapposta al calore implacabile del sole. Le sghembe parti jazzate, alternate alla ferocia di classica marca death metal, si disperdono un po’ in questa condizione, ma viene comunque a crearsi un contrasto surreale tra il caos sonoro e la normalità dell’ambiente circostante.
Il frontman Josh Welshman incita il pubblico a formare circle pit sull’asfalto bollente, pezzi come “Naraka” o “Engulfed in Excruciation” ci strappano più di un sorriso, mentre due inediti proposti a metà concerto ci fanno sicuramente ben sperare per il prossimo album in studio.
Va un po’ meglio agli AURA NOIR, visto che la loro musica infinitamente più grezza e old-school tende a prestarsi a qualsiasi contesto.
La band norvegese, nota per il suo speed-thrash metal annerito, inonda il medesimo ambiente urbano con riff e ritmi incalzanti, creando un’atmosfera di ribellione che connette splendidamente con il focoso temperamento dei fan di origine latina presenti nell’arena. Il sole implacabile non pare scoraggiare né la band né gli astanti, i quali sembrano persino accogliere il caldo come un ulteriore elemento di sfida.
Dal canto loro, Apollyon e tutti gli Aura Noir tengono il palco senza fatica, incitando il pubblico a scatenarsi in una celebrazione anarchica del potere del metal in pieno giorno. Di nuovo, è tutto vagamente surreale, ma si tratta di scene già viste al MDF, che da tempo vive di questi netti contrasti tra musica e ambiente circostante. Almeno in questo caso, il sound in questione non possiede chissà quali elementi da decifrare, tanto che con brani come “Hades Rise” e “Condor” siamo quasi tentati di fare un salto nel pit.
La differenza di impatto e definizione tra aree esterne e locali si percepisce però nettamente una volta entrati nel Soundstage per assistere al concerto dei SIEGE COLUMN. Al chiuso, con suoni più concentrati e un’atmosfera avvolgente, la band del New Jersey riesce a fare una figura migliore su tutti i fronti, o perlomeno a lasciare un segno per certi versi inaspettato.
Il gruppo, autore di un velenoso mix di thrash metal d’annata e proto-grindcore, a tratti accostabile a una virulenta unione di primi Bolt Thrower, Repulsion e Slaughter, sfrutta appieno le capacità del sistema audio del locale, con ogni riff e intervento della batteria che risuonano in modo tagliente e preciso. Il pubblico, stretto in un ambiente maggiormente cupo e ristretto, ha modo di immergersi completamente nell’energia emanata dal palco e di entrare in piena sintonia con i musicisti. Le luci soffuse e i giochi di ombre aggiungono quindi una dimensione visiva che amplifica il senso di caos e di violenza, rendendo lo show dei Siege Column particolarmente efficace a questo punto della giornata.
Ci rechiamo poi presso il Power Plant per assistere all’atteso show di reunion degli OPPRESSOR, a praticamente un quarto di secolo dall’ultima apparizione. Non si può dire che l’eccitazione sia palpabile, ma comunque si respira una certa curiosità tra i fan nel vedere il ritorno di questa vecchia band americana, composta da musicisti che negli anni Duemila hanno trovato successo con i più noti Soil, gruppo nu metal del tormentone “Halo”.
Il quintetto affronta il palco con una certa dissonanza visiva rispetto all’ambiente circostante, ma, nonostante il look di alcuni membri appaia un po’ scollegato dalle attuali tendenze di un festival come il MDF, la performance dimostra un indubbio entusiasmo, oltre alla prevedibile preparazione tecnica. In particolare, i brani tratti dal mini-classico “Solstice of Oppression” vengono eseguiti con una precisione e un’energia confortanti, riuscendo a catturare quell’essenza velenosa e tecnica che ha reso quel disco un piccolo culto nei circuiti underground. La calda risposta del pubblico conferma che questa insperata reunion ha un suo senso, perlomeno all’interno di un ambiente di cultori come questo.
In serata, tocca quindi ai richiestissimi AGALLOCH. La performance degli statunitensi, immersa nel buio della sera, avrebbe senz’altro tutte le carte in regola per trasportare il pubblico nelle atmosfere nostalgiche e suggestive tipiche del loro black/dark metal, ma, come prevedibile, la scelta di far suonare la band presso il Market Place si rivela presto problematica.
I rumori ambientali, inclusi suoni urbani e persino sirene in lontananza (d’altronde siamo a Baltimore, la città più malfamata della East Coast), disturbano infatti l’esecuzione di John Haughm in qualche momento, compromettendo la delicatezza di certi arpeggi e rompendo l’incantesimo musicale che la band cerca di creare. L’esibizione, che a nostro avviso avrebbe trovato una cornice ideale nell’ambiente più raccolto e protetto del Power Plant, viene insomma penalizzata dalla decisione di collocarla più vicino alla strada e al porto, un luogo dunque più esposto a varie distrazioni esterne.
Nonostante questi inconvenienti, gli Agalloch appaiono però in forma smagliante, dimostrando una coesione e un’intensità che riescono comunque a conquistare il pubblico. L’entusiasmo per questa reunion è tangibile, con fan vecchi e nuovi che accolgono la band di Portland con calorosi applausi e partecipazione emotiva, dimostrando che la magia di certa musica – con episodi come “Limbs”, “Ghosts of the Midwinter Fires” e “Falling Snow” a spiccare nel lotto – riesce a brillare anche nelle condizioni meno ideali.

Maryland Deathfest XIX, Day 2, Baltimore, MD 5/24/2024

Dal canto suo, lo show dei BRODEQUIN – il quale si tiene al chiuso, all’interno del sempre apprezzato Soundstage – beneficia invece di un’atmosfera azzeccata, garantendo una resa sonora impeccabile e soprattutto potente. Dopo pochi minuti e qualche aggiustatina al volo, il suono assume consistenza e lucidità, trasformando il concerto degli storici death metaller americani in un vero uragano death metal.
Del resto, la precisione tecnica e la proverbiale brutalità della band si esprimono al meglio in un ambiente in grado di esaltare ogni dettaglio delle esecuzioni. Il trio crea in breve tempo un muro sonoro impenetrabile, avvolgendo il pubblico in un’esperienza che non esitiamo a definire totalizzante. Jamie Bailey, affabile ma molto concentrato sull’esecuzione, non perde troppo tempo in chiacchiere, lasciando che siano i classici del gruppo a parlare.
E, in questo senso, assistiamo a un vero trionfo, con “Infested With Worms”, “Judas Cradle”. “Trial by Ordeal”, “Slaves to the Pyre”, “Spinning in Agony” e molti altri episodi resi in maniera tanto furiosa quanto precisa. Ogni brano contribuisce a rendere il concerto un evento memorabile, andando a sottolineare la potenza e l’efficacia del death metal quando supportato da un’acustica adeguata e un ambiente controllato.

Maryland Deathfest XIX, Day 2, Baltimore, MD 5/24/2024

Non siamo stati granché all’interno del Rams Head quest’oggi, ma facciamo una capatina per seguire parte del set dei 1349.
La black metal band norvegese è da sempre parecchio quotata negli Stati Uniti, forse perché sin dai suoi esordi si è ritrovata a suonare spesso da queste parti, a differenza di altri colleghi anche molto celebri. Il repertorio di Ravn e soci tuttavia continua a non essere paragonabile a quello dei veri grandi del genere e la performance della serata finisce per rispecchiare le impressioni avute in passato: i membri della band sono grandi professionisti, capaci di creare un suono avvolgente e tecnicamente impeccabile, tuttavia, a livello sonoro e stilistico, i 1349 continuano a mostrare una sostanziale mancanza di personalità distintiva.
Lo show si rivela perciò onesto e ben eseguito, con momenti di intensità a livello ritmico che indubbiamente coinvolgono il pubblico – vedi “Aiwass-Aeon” – ma a nostro avviso pare mancare quel qualcosa in più per poter parlare di un’esperienza memorabile.
Il concerto dei WEEKEND NACHOS, riformatisi lo scorso anno e ora al loro primo evento di alto profilo dopo la reunion, è invece un’esplosione di potenza grezza e incontrollata. Tra powerviolence, sludge e classico grindcore, gli statunitensi offrono al pubblico un’ultima sberla sonora prima di andare a dormire.
È il Soundstage ad ospitare questa ennesima sferzata di energia, location ideale per dare sfogo all’ultima vitalità rimasta: la componente ‘fun’ tra il pubblico è sempre importante da queste parti, anche in tarda ora, tanto che troviamo i soliti palloncini gonfiabili pronti a rimbalzare in ogni angolo del locale, ma, dal canto suo, il gruppo quando suona è assolutamente serio e compatto.
Il repertorio viene eseguito in modo impeccabile, con i puntuali spunti frenetici che al solito si mescolano a passaggi più lenti e pesanti, tipici dello sludge, generando un pogo ignorantissimo. Il suono potente e definito rende il tutto ancora più possente, facendoci nuovamente apprezzare l’acustica di questo locale, la quale sembra gasare anche lo stesso frontman, John Hoffman. È “Worthless” il disco più saccheggiato per la scaletta, ma, a conti fatti, la band pare proporre brani da ogni album, finendo per concedersi davvero poche pause. Se i Weekend Nachos dovessero decidere di tornare a tempo pieno, non avremmo nulla da ridire.

Maryland Deathfest XIX, Day 2, Baltimore, MD 5/24/2024

 

SABATO 25 MAGGIO

Il concerto degli AVULSED apre la giornata di sabato, in un Market Place in cui il sole mette a dura prova gli astanti anche dopo metà pomeriggio. Lo show si svolge quindi in una situazione simile a quella dei Defeated Sanity del giorno prima, ma beneficia della natura più semplice e diretta del death metal del gruppo spagnolo.
Esibendosi all’esterno e in pieno giorno, gli Avulsed sanno sfruttare l’ambiente con la loro musica tutto sommato accessibile, lasciando al frontman Dave Rotten il compito di aizzare la platea – in particolare la frangia latina – e lanciandosi in una quarantina di minuti a base di old-school death metal che sa tutto sommato superare le difficoltà ambientali.
Mentre i rumori circostanti e le condizioni esterne avevano impattato piuttosto negativamente sulla performance più tecnica e complessa dei Defeated Sanity, gli Avulsed giustamente la buttano in caciara e così facendo riescono a mantenere alta l’energia e l’attenzione del pubblico. L’approccio più diretto e meno intricatamente strutturato di pezzi come “Gorespattered Suicide” o “Carnivoracity” si dimostra efficace in questo contesto, trasformando il concerto in un piccolo party open air che coinvolge e soddisfa i fan presenti.
A questo punto, il Rams Head non solo ci regala un po’ di gradevole aria condizionata, ma ci mette anche nelle condizioni di godere al meglio della prova degli IMPURE, black-death metal band statunitense che ormai da qualche anno si sta facendo segnalare nel circuito underground della East Coast. Li abbiamo visti aprire per i Negative Plane solo pochi giorni prima ed è un piacere ritrovarli qui.
In particolare, è degna di nota la performance del cantante/batterista Jesse Balgley, anche responsabile dell’etichetta Stygian Black Hand: per abilità e attitudine, il Nostro ricorda Proscriptor, ma arriviamo anche a dire che gli stessi Absu come band siano un’influenza per tutti gli Impure, visto che la loro proposta sembra muoversi su canovacci simili, con una componente heavy metal tradizionale che emerge spesso e che fa da ponte tra i passaggi più estremi.
Sopra ogni altra cosa, sembra che il gruppo abbia la giusta sostanza nelle canzoni e che poco o niente sia lasciato al caso, di conseguenza è facile entrare subito in sintonia con la loro performance e trovare spunti di interesse.
Torniamo quindi all’esterno e constatiamo che lo show dei SEVERE TORTURE segue praticamente in tutto l’esempio degli Avulsed di un paio d’ore prima, visto che i veterani olandesi si trovano a esibirsi nel Market Place sotto il sole cocente. La band, nota ovviamente per il suo death metal brutale e diretto, sa infatti capitalizzare sulle stesse caratteristiche che hanno reso efficace l’esibizione dei loro predecessori.
Nonostante le sfide rappresentate dalle condizioni ambientali, il quintetto tira dritto e cerca di non concedere respiro alla platea; l’esecuzione energica e senza fronzoli cattura presto l’attenzione del pubblico, offrendo un’esperienza coinvolgente e appagante. Brani recenti come “Fisting the Sockets” e “Torn from the Jaws of Death” si alternano a episodi del vecchio repertorio, con chicche come “Feces for Jesus” a scatenare i soliti circle pit nei quali più di una persona inciampa e cade rovinosamente sull’asfalto.
È tutto previsto e tutto normale da queste parti: the show must go on, e alla fine sia band che fan si fanno un grande applauso.
Lo show dei PERDITION TEMPLE sul palco del Power Plant invece beneficia dell’ambiente più raccolto e riparato, nonostante ci si trovi sempre all’aperto. Questo contesto permette alla band di esprimere al meglio il proprio sound feroce e tecnico, creando sin dalle prime battute un’esperienza coinvolgente per il pubblico.
Anche in questo caso, siamo al cospetto di veri e propri veterani dell’underground, con il chitarrista/cantante Gene Palubicki ovviamente noto soprattutto per il suo passato negli Angelcorpse. Proprio da questi ultimi bisogna partire per comprendere la proposta del trio, autore di una miscela di death-thrash e black metal che fa leva tanto su una vigorosa componente old-school, quanto su un approccio tecnico e rifinito in sede di esecuzione, con il batterista Ron Parmer a farsi immediatamente segnalare per la sua prestanza.
Ogni riff e ogni assolo risuonano con chiarezza, sottolinenando come il contesto un po’ più protetto del Power Plant sia in grado di amplificare l’energia di una performance. La band riesce a offrire un’esibizione impeccabile, dimostrando una padronanza assoluta del palco e del proprio repertorio, rendendo lo show una delle prove più apprezzate della giornata.
A questo punto ci tocca rimettere piede nel Market Place, ma lo facciamo ben volentieri visto che sta per arrivare il momento dei FORBIDDEN. È ormai tardo pomeriggio, quindi la temperatura esterna inizia a dare tregua a band e astanti, ma, al di là delle condizioni climatiche, è tanta la voglia di vedere dal vivo una thrash metal band importante come questa.
Dal canto suo, la magistrale prova dei Forbidden dimostra perché sono considerati veterani e maestri assoluti del loro genere, almeno se si considerano gli imprescindibili “Forbidden Evil” e “Twisted Into Form”.
Pur esibendosi all’esterno, la band non soffre delle difficoltà che, come visto in questi giorni, spesso accompagnano le performance all’aperto: la loro professionalità e padronanza del palco brilla dal primo all’ultimo brano, con ogni passaggio eseguito con precisione impeccabile. Craig Locicero e compagni sanno sfruttare al meglio l’acustica e l’atmosfera del contesto, coinvolgendo il pubblico con un’energia travolgente e una presenza scenica estremamente carismatica.
In questo senso, va segnalata l’ottima prova del recente acquisto Norman Skinner al microfono: come gli Exodus con Rob Dukes qualche anno fa, pure i Forbidden sono riusciti a scovare un fan che è capace di interpretare al meglio il loro repertorio, esprimendo una verve e una passione che è cosa rara tra gente ormai non più di primo pelo.
La resa di brani come “Twisted Into Form” o “March Into Fire”, supportata da una tecnica strumentale di altissimo livello (notevole anche la prova dell’ex Machine Head Chris Kontos alla batteria), fa del concerto un’esperienza memorabile e che lascia impressionati per la capacità del quintetto di mantenere una qualità sonora eccellente e di connettersi profondamente con il pubblico.

Maryland Deathfest XIX, Day 3, Baltimore, MD 5/23/2024

Dal picco di professionalità a quello di lordura: i protagonisti in questo caso sono i DEATHHAMMER, responsabili, all’interno del Rams Head, di un set sguaiatissimo e genuinamente ignorante. Il frontman Salsten, visibilmente alterato, sembra spesso sul punto di collassare sul palco, ma la performance procede comunque, nutrendosi di questo fomento misto a fumi alcolici che sembra inebriare tanto il gruppo quanto il pubblico.
Come i colleghi Aura Noir, i Deathhammer sventolano con fierezza il vessillo del blackened speed-thrash made in Norway, attirando su di sé l’attenzione degli astanti più ‘true’ e oltranzisti con pezzi come “Satan is Back” e “Rapid Violence”, nei quali di rado si esce fuori da un canovaccio estremamente codificato e prevedibile, ma in cui è possibile allo stesso tempo percepire una grande e coinvolgente genuinità.
Nel Market Place tocca quindi a un altro gruppo di thrasher d’altri tempi: dopo i Forbidden, ecco i SACRIFICE.
Il concerto si tiene nel Market Place, quindi nelle stesse condizioni della prova dei californiani, ma vede un inizio più timido rispetto al set dei colleghi. I canadesi inizialmente soffrono di suoni più bassi e di una minore risposta da parte del pubblico, tanto che si percepisce un certo impaccio nelle prime battute, soprattutto da parte del chitarrista/cantante Rob Urbinati, il quale dà l’impressione di non essersi ancora del tutto calato nella performance.
Tuttavia, con il passare del tempo, la band si scalda, riuscendo a trovare la giusta energia e a offrire una prova decisamente buona. L’esibizione vede in effetti un crescendo di intensità, culminando in un set sa coinvolgere gli spettatori – i quali si fanno più numerosi con il passare dei minuti – e soddisfare i fan più accaniti. Con numerosi estratti dall’acclamato “Forward to Termination”, i Sacrifice dimostrano la loro capacità di recuperare terreno e di lasciare un’impronta positiva. Probabilmente, invertire gli slot di Sacrifice e Forbidden avrebbe potuto migliorare la risposta del pubblico e la percezione della resa complessiva dello show dei canadesi, ma alla fine si può dire che i cosiddetti die hard fan del thrash rimangano soddisfatti.
Restiamo in territori (crossover) thrash con i giovanissimi NINTH REALM, band locale che un paio di anni fa ha rilasciato il debut album “A Fate Unbroken”, un disco ispirato a gente come Power Trip e High Command che ha trovato terreno fertile tra i grandi appassionati di queste sonorità. I ragazzi si nutrono di un immaginario pseudo-epic/fantasy, tanto che vengono brandite spade e si ostentano pose plastiche, ma il sound è sostanzialmente di anima hardcore, tanto che il piccolo Angel’s Rock Bar si trasforma presto in un divertente circle pit, con molti astanti che sembrano tenerci parecchio a mostrare il loro supporto ai ragazzi. Una prova molto piacevole, quella del quintetto, forse non ancora pronto per palchi di grandi dimensioni, ma certamente a proprio agio in un contesto più raccolto e punk come questo.
Torniamo quindi ad avere a che fare con dei pesi massimi: è il turno dei DISMEMBER, finalmente da queste parti dopo la dolorosa cancellazione del 2022.
Il concerto dei death metaller svedesi, convocati in un Market Place ormai avvolto dalle ombre della sera, parte in sordina, complice una leggera pioggia e suoni confusi che penalizzano parecchio le chitarre, rendendo difficile per la band esprimere al meglio la propria potenza.
Tuttavia, superati i primi intoppi tecnici e con il miglioramento delle condizioni atmosferiche, lo show prende quota. Il quintetto sa trasformare la situazione iniziale in un crescendo di intensità e precisione. Con brani martellanti come “Skin Her Alive” o “Casket Garden”, i Dismember conquistano rapidamente una platea già comunque adorante, creando un’atmosfera ‘da stadio’ che tutto sommato fa dimenticare i problemi iniziali.
Brano dopo brano, la band trova ritmo e quadra a livello di suoni, arrivando nel finale al massimo della forma e sorretta da un pubblico che sta animando il pit senza concedersi una pausa. Rispetto ad altri concerti degli svedesi a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi, quest’oggi notiamo comunque qualche indecisione di troppo a livello esecutivo, soprattutto in canzoni del repertorio ‘recente’ come “Europa Burns”, nei quali i cinque vanno anche fuori tempo, ma da queste parti è in ogni caso tutto grasso che cola, visto che Matti Kärki e soci erano attesi da anni.
Un altro set molto atteso è quello dei SOILENT GREEN. I quattro di New Orleans, tornati sulle scene dopo parecchi anni di assenza, sono ormai un nome per pochi: negli ultimi tempi il frontman Louis Benjamin Falgoust II si è infatti dedicato esclusivamente ai Goatwhore, tanto che il nome Soilent Green è lentamente finito nel dimenticatoio, assieme a un repertorio che oggi andrebbe rivalutato.
Un festival come questo è comunque la situazione ideale per compiere un tuffo nel passato: l’accoglienza del pubblico del MDF è infatti calorosa e piena di entusiasmo, nonostante si inizi a percepire un po’ di stanchezza tra gli spettatori. La band, dal canto suo, si presenta con molta spontaneità, lanciandosi in una performance carica di energia e passione, in cui spiccano numerosi estratti dal celebre “Sewn Mouth Secrets”, album invecchiato bene e che ancora oggi può servire da perfetto biglietto da visita per presentare il caratteristico mix di sludge, grindcore e death metal degli americani.
Ogni brano risuona con potenza, rivitalizzando il pubblico e creando un’atmosfera vibrante che rende visibilmente emozionato il frontman.

Maryland Deathfest XIX, Day 3, Baltimore, MD 5/23/2024

Non si può invece vedere nulla delle reazioni degli SPECTRAL VOICE perché, come al solito, la death-doom metal band statunitense si sta esibendo completamente al buio, in un Rams Head stracolmo di gente.
Lo show si tramuta come previsto in un’esperienza immersiva e avvolgente, con il gruppo completamente immerso nelle tenebre evocate dalla propria musica. Questo ambiente amplifica l’atmosfera lugubre e intensa che caratterizza il recente repertorio, rendendo la performance ancora più suggestiva. Proponendo il loro ultimo album “Sparagmos” per intero, gli Spectral Voice dimostrano anche in questa sede tutta la loro personalità e maestria nel rielaborare i temi e le varie sfumature del mondo (funeral) death-doom.
In un locale eccellente come il Rams Head, ogni traccia risuona con una profondità e una potenza che lasciano in estasi il pubblico, consolidando la reputazione dei quattro, che a maggior ragione dopo stasera si impongono come una delle band più fresche e al contempo autentiche del genere.
Spostandoci all’interno del Soundstage, iniziamo quindi a seguire lo show dei BEHEADED, ormai dei veterani del death metal europeo, che questa sera offrono una performance compatta e coinvolgente, confermando la loro solidità anche in situazioni impreviste.
Formalmente basati a Malta, ma ormai con una formazione prevalentemente italiana, questa sera i Nostri appaiono ancora più ‘tricolori’: al microfono, infatti, in sostituzione last minute del frontman Frank Calleja, impossibilitato a viaggiare, troviamo infatti Nicolò Brambilla (Aphotic, Fuoco Fatuo, Blasphemer), che sa raccogliere la sfida con grande professionalità.
La sua presenza scenica e la potenza vocale contribuiscono a mantenere alto il livello dello show, nonostante il cambio per certi versi improvviso. La scaletta è divisa tra episodi recenti e ‘hit’ del passato, soprattutto dall’acclamato debut “Perpetual Mockery”, e il pubblico dà l’idea di rispondere con entusiasmo a ogni traccia, colpito dalla compattezza della formazione, la quale appare ben rodata e solida sotto ogni aspetto. Dal canto suo, il Soundstage si dimostra ancora una volta il locale perfetto per ospitare questo genere di sonorità, con un’acustica che esalta ogni riff.
La giornata di sabato si chiude quindi con il solito party grottesco firmato HAEMORRHAGE. Abbiamo visto la band moltissime volte in passato e nei contesti più disparati, ma il MDF è probabilmente la situazione migliore per gli spagnoli, ormai cinquantenni, assieme ovviamente all’Obscene Extreme in Repubblica Ceca. Solitamente il pubblico qui attende le ultime performance della giornata per fare festa e dare fondo alle ultime energie, quindi non sorprende vedere il Soundstage trasformarsi in una sorta di beach party con canotti, vari oggetti gonfiabili e luci fluorescenti in ogni dove, mentre in sottofondo il goregrind ‘carcassiano’ del quintetto innesca un circle pit dopo l’altro.
Al di là della goliardia generale, la band suona con attenzione, rendendo giustizia al proprio materiale, ma è chiaramente il frontman Lugubrious il vero mattatore, come al solito completamente ricoperto di sangue e perfetto ballerino sulle strutture claudicanti della musica, che come sempre evoca operazioni andate storte, licantropia e vari temi horror di serie B. Si chiude con leggerezza, ma ci vuole un certo talento anche per fare questo genere di cose.

Maryland Deathfest XIX, Day 3, Baltimore, MD 5/23/2024

DOMENICA 26 MAGGIO

Il tempo vola e siamo già giunti alla giornata conclusiva di questo Maryland Deathfest 2024.
Iniziamo alla grande andando a rivedere i RIPPER, una delle band più rinomate della sempre più chiacchierata scena death-thrash cilena. Il concerto si tiene nel pomeriggio presso il Market Place e vede il quartetto affrontare con curioso entusiasmo questa canicola pre-estiva. Nonostante le – almeno per noi – difficili condizioni climatiche, i Ripper si dimostrano chiaramente entusiasti di esibirsi in un festival così prestigioso, mettendo in campo tutta la loro energia e passione.
Il loro techno-thrash, eseguito con grande precisione, impiega poco tempo per catturare l’attenzione del pubblico, con vari astanti che danno l’idea di prendere nota per la prima volta di questa piccola grande realtà.
A livello di full-length, il gruppo è sempre fermo al magnifico “Experiment of Existence” (2016), ma nel frattempo sono usciti degli EP e degli split che hanno mantenuto vivo il nome della formazione guidata dal chitarrista/cantante Patricio Spalinger. Si spazia da episodi più tecnici e articolati ad altri in cui la componente thrash ottantiana è più forte: in questo set molto concitato, entrambi i registri paiono fondersi perfettamente, dimostrando la competenza tecnica e l’abilità compositiva del gruppo. La risposta del pubblico è quindi calorosa, tanto che si può tranquillamente parlare di un’esperienza importante nella carriera internazionale dei giovani sudamericani.
A seguire, andiamo a tastare il polso ai DAEVA: il concerto della formazione black-thrash – che annovera tra le sue fila tre membri della acclamata doom band Crypt Sermon, oltre al carismatico cantante Edward Gonet – è uno degli highlight della giornata al Rams Head.
Esibendosi in un ambiente più raccolto, i Daeva riescono a sfruttare al meglio l’acustica del locale, offrendo una prova potente e coinvolgente già dalle prime battute. La loro fusione di elementi black e thrash metal risuona con intensità, sottolineando il notevole equilibrio alla base del songwriting, il quale evita di eccedere in rozzezza e sfrontatezza, nonostante una indubbia componente anni Ottanta. Più simili agli Absu che agli Aura Noir, gli statunitensi mostrano una coesione e una precisione esecutiva notevoli, frutto dell’esperienza e della tecnica dei suoi membri. I brani scorrono piacevolmente, sciorinando più di un ruff particolarmente accattivante, confermando così il potenziale del gruppo, il quale oggi può dire di avere ulteriormente consolidato la propria reputazione come una delle formazioni più promettenti e interessanti nel panorama black-thrash contemporaneo.
Dal canto loro, gli ARTIFICIAL BRAIN, esibendosi all’esterno nel Market Place come i Ripper, ci tengono invece a dimostrare che la loro proposta techno-death sa acquistare una grande verve dal vivo. Nonostante l’ambiente non sia dei migliori per sonorità così complesse e tecniche, la band americana – guidata dal nuovo frontman Mike Paparo (Inter Arma) appare in ottima forma.
Il sound, ricco di intricati passaggi strumentali e cambi di tempo vertiginosi, risuona qui con inedita potenza, riuscendo a coinvolgere e impressionare il pubblico soprattutto all’altezza dei brani estratti dall’ultimo, omonimo, album. Gli Artificial Brain evidentemente sanno trasformarsi, adattandosi alle condizioni esterne e superando le difficoltà ambientali con una esuberanza che fortunatamente non compromette affatto l’esecuzione. Questa capacità di rendere al massimo dal vivo, tipica delle band americane, permette loro di brillare, facendo emergere più il cosiddetto cuore che la complessità della loro musica.
Da segnalare, inoltre, l’apparizione durante il concerto della mascotte dei Baltimore Orioles, squadra di baseball della città, per un momento a dir poco surreale. Il crossover Major League Baseball/death metal ancora ci mancava.
Rifacciamo quindi la strada verso il Rams Head per non perderci i temibili SPIRIT POSSESSION.
Il concerto degli americani, tenutosi ovviamente al chiuso, è una vera esplosione di energia, paragonabile per intensità a quello dei Daeva: il duo dimostra una furia e una determinazione che raramente si vedono in una formazione numericamente così limitata. Sarà anche per i giochi d’ombra utilizzati e per la tipica acustica d’eccezione del locale, ma gli Spirit Possession riescono a interpretare il loro black metal vagamente venato di metal classico con una forza travolgente, catturando immediatamente l’attenzione del pubblico.
La passione e l’energia sprigionata sul palco dal frontman Steve Peacock risulta quasi palpabile, rendendo lo show – durante il quale spicca l’esecuzione della lunga “Enter the Golden Sign” – uno dei più memorabili del pomeriggio. La capacità del duo di riempire lo spazio con un sound così ricco e potente dimostra una indubbia abilità e coesione musicale che vanno ben oltre qualsiasi tipo di presenza scenica.
Per i SINMARA, succedere al monolitico show degli Spirit Possession non è semplice, ma gli islandesi – convocati in sostituzione dei Misþyrming, che per qualche motivo non possono entrare negli USA – riescono comunque a conquistare la platea grazie a un repertorio di grande valore. La loro esibizione, priva di sbavature, irretisce il pubblico con una precisione impeccabile. Meno viscerali rispetto agli americani, i Nostri si distinguono per la loro attenzione ai dettagli e la capacità di creare atmosfere fredde e avvolgenti.
Portando un piacevole gelo all’interno del Rams Head, la band fa riscoprire ai presenti i suoi sofisticati intrecci melodici, che si dipanano con eleganza e potenza. Il loro black metal, apprezzatissimo su un album come l’ultimo “Hvísl stjarnanna”, ma carico di sfumature e profondità da sempre, risuona con una forza tranquilla ma inesorabile, catturando l’attenzione degli astanti e offrendo un contrasto affascinante rispetto alla furia degli Spirit Possession.
A questo punto il palco del Power Plant è pronto ad accogliere i maestri GORGUTS. Lo show – attesissimo, dato che si tratta dell’unica apparizione live del 2024 per il quartetto – è un evento memorabile che indubbiamente soddisfa le aspettative di tutti i presenti. Con la presentazione del nuovo batterista Michel Bélanger, la band si lancia in una performance esaltante che passa in rassegna praticamente l’intera discografia, offrendo ai fan un viaggio completo attraverso la sua evoluzione musicale. L’umiltà di Luc Lemay, leader carismatico e fondatore del gruppo, stringe il cuore del pubblico, ma ciò che davvero emoziona è naturalmente la qualità dell’esecuzione, sia sulle partiture prettamente death metal di “Considered Dead”, sia su quelle più contorte e al contempo espansive di opere come “From Wisdom To Hate”, “Obscura” e “Colored Sands”.
Ogni brano viene in effetti suonato con una precisione e una passione incredibili, dimostrando la continua dedizione della band alla propria arte. Certo, almeno all’inizio i suoni non sono perfetti, ma la resa complessiva riesce comunque a mantenersi sopra la media, mettendo in luce l’abilità del quartetto nel coniugare complessità tecnica e intensità emotiva. Difficile trovare un cosiddetto highlight, ma senza dubbio brani come “Inverted”, “Condemned to Obscurity”, “An Ocean of Wisdom” e “Inoculated Life” esaltano particolarmente la maestria strumentale di ciascun membro, per una performance di death metal progressivo che resta a dir poco impressa.
Dopo avere osannato una realtà leggendaria, torniamo a dedicarci all’underground e il nome sul nostro taccuino è quello dei NUCLEAR TOMB. Il concerto dei ragazzi americani avviene nel piccolo Angel’s Rock Bar e conferma le promesse fatte dal loro debut album “Terror Labyrinthian”, offrendo un approccio interessante e spigliato al death-thrash.
Nonostante la giovane età, la band mostra una certa maturità sul palco, imbastendo una performance energica e coinvolgente. Dal vivo, la loro verve più thrash oscura in parte la vena maggiormente progressiva di certi pezzi, ma questo non intacca la qualità complessiva dello show. Ogni brano della breve scaletta viene suonato con intensità e precisione, mettendo in luce le capacità tecniche dei membri e la loro coesione come gruppo.
Dal canto suo, il pubblico del piccolo locale risponde con entusiasmo, apprezzando l’energia e per certi versi anche la freschezza della band, che cerca di mantenersi lontana da certi riferimenti ormai triti, prediligendo un approccio tecnico ma non inutilmente cervellotico. Anche in questa sede il quartetto dà quindi l’idea di essere una formazione promettente, capace di coniugare influenze diverse in un sound che potrebbe farsi ancora più riconoscibile con qualche aggiustatina.
Il concerto dei BLOODBATH sul Power Plant stage, poco dopo i Gorguts, viene invece purtroppo martoriato da gravi problemi tecnici. Nonostante la band – in cui si segnala l’assenza di Jonas Rekse al basso, evidentemente ormai ‘separato in casa’ dall’altro membro katatonico Anders Nyström – decida di non interrompere mai lo show, strani feedback, fischi e rumori vari vanno spesso coprire l’operato dei musicisti, che evidentemente faticano a sentirsi sul palco.
Nick Holmes si lamenta in più occasioni della situazione, ma nessun intervento riesce a rettificare veramente i suddetti guai, tanto che con il procedere dei minuti la rassegnazione sembra prevalere su quella che in principio era un’atmosfera di festa. Nonostante queste difficoltà, i Bloodbath provano a fare buon viso a cattiva sorte, continuando a suonare con professionalità e impegno il loro death metal.
Peccato, perché la scaletta preparata per l’occasione appare davvero gustosa, con vari pezzi tratti da “Nightmares Made Flesh” e altre chicche del repertorio, come “Weak Aside”, “Breeding Death” e “Mock the Cross”. La prestazione della band, a conti fatti, si può comunque considerare apprezzabile, ma i problemi tecnici – decisamente invasivi nella prima metà del set – impediscono di godere appieno di quella che avrebbe potuto essere una performance memorabile.
In netto contrasto con quanto accaduto sul Power Plant, il concerto degli EXTORTION – di recente tornati con il nuovo “Threats” – trasforma il Soundstage in un campo di battaglia sonoro, dove la fusione di hardcore e tendenze powerviolence della band australiana trova la sua massima espressione.
Con una disinvoltura estrema, il gruppo imbastisce tracce intensissime e piene di energia, richiamando alla mente una versione moderna dei leggendari Siege o Infest, ma con dinamiche più pronunciate. La loro musica ha evidentemente un grande appeal su vari tipi di pubblico, tanto che la platea sembra raccogliere sia la frangia più hardcore/grind che quella metal degli avventori del festival.
Sebbene di norma questi concerti serali all’interno del Soundstage si trasformino in grandi party, gli Extortion chiedono espressamente di limitare l’uso di palloni gonfiabili e altre amenità, mantenendo un approccio il più caustico possibile: questa scelta contribuisce a creare un’atmosfera ancora più intensa e concentrata, permettendo al pubblico di immergersi completamente nella controllata furia sonora del quartetto.
Siamo quasi ai cosiddetti titoli di coda e il concerto dei MORTUARY DRAPE all’interno del Rams Head rappresenta una chiusura memorabile per un’edizione del MDF.
La band italiana – che in carriera ha sempre saputo giocare bene le proprie carte, con apparizioni mirate a festival prestigiosi e pubblicazioni discografiche di alta qualità – dimostra ancora una volta il suo valore in questa tarda serata. Su un palco come quello del Rams Head, i Mortuary Drape e il loro black/horror metal possono ovviamente contare su un’acustica eccellente e un impatto visivo notevole, elementi che amplificano la presenza scenica e la potenza del sound.
In questo contesto, certe band possono quasi apparire come i Metallica della situazione, e il gruppo italiano non fa eccezione, mettendo in piedi una prova che lascia davvero il segno, protraendosi anche oltre l’orario concordato. Carisma, precisione tecnica e un grande trasporto da parte del pubblico caratterizzano il concerto, il quale parte con una celebrazione del recente “Black Mirror” per poi sciorinare classici come “Evil Death”, “Necromaniac”, “Vengeance From Beyond”, “Primordial” e tanti altri.
Da queste parti c’è sempre parecchia fame per formazioni di culto della scena europea e infatti, nonostante l’ora tarda, il locale si rivela gremito di gente con gli occhi puntati su una performance molto animata, con i membri del gruppo che coprono bene il palco, denotando grande esperienza e disinvoltura nell’interpretare una proposta che da sempre acquista grande verve dal vivo. Altre band italiane dovrebbero prendere esempio da questi veterani, non solo per la qualità della musica, ma soprattutto per l’attitudine e la professionalità dimostrate.

Maryland Deathfest XIX, Day 3, Baltimore, MD 5/23/2024

 

Maryland Deathfest XIX, Day 1, Baltimore, MD 5/23/2024

 

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