Introduzione a cura di Lorenzo “Satana” Ottolenghi
Report a cura di Lorenzo “Satana” Ottolenghi e Simone Vavalà
Fotografie di Francesco Castaldo
1998 e.v.: Mediolanum capta fuit. Lo show dei Mayhem di quasi vent’anni fa è perfettamente racchiuso nel titolo del disco live che catturò l’esibizione folle e dannata di una delle band più iconiche di tutto il panorama black metal. La città capitolò, davanti al male sprigionato dal gruppo contro poche centinaia di persone. 2017 e.v.: Trezzo sull’Adda, per estensione Mediolanum, resiste senza troppa fatica. Non entriamo ancora nel merito della performance di Attila, Hellhammer e soci, ma diciamo subito ciò che più ci preme: a molti il concerto è piaciuto (da un rapidissimo sondaggio fatto all’uscita del Live, per lo più persone che non avevano mai visto i Mayhem dal vivo), a molti no (per lo più persone che già avevano assistito agli assalti sonori dei norvegesi, oltre a non pochi ‘reduci’ del Rainbow di quel lontano 1998). Ebbene, siamo tra i secondi: bello o meno che sia stato lo show, non è stato un concerto black metal e non è stato un concerto dei Mayhem. Consci della forza di questa affermazione, andiamo a declinare in dettaglio la serata e spiegare le ragioni della nostra delusione, che non è, ovviamente, una verità assoluta, ma solo la nostra impressione. Buona lettura.
INFERNO
L’apertura del Nero Sipario è affidata ai navigati Inferno, band attiva da circa vent’anni che però non ha mai saputo fare il salto di qualità; e francamente la spiegazione è sotto i nostri occhi. Se inizialmente ci sembra di poter sorvolare sui suoni tutt’altro che perfetti, che anzi paiono riuscire a donare un certo tocco di ignoranza in più all’esibizione, nel complesso il concerto dei cinque cechi è puro mestiere, senza particolare gloria. E un mestiere che sa di naftalina e di déja-vu, sia visivo che musicale: l’impatto sonoro è memore di una certa second wave norvegese, si potrebbero citare i 1349 per quanto tenti di fare il batterista, con una punta di ossessività in più che tanto tira negli anni recenti; così come pare ormai essere un must presentarsi incappucciati, o in questo caso coi volti coperti, portando rapidamente il pubblico alla noia – fatti salvi forse i non pochi accorsi questa sera per l’evento, che paiono apprezzare anche quest’edulcorata restituzione di black metal tanto tanto cattivo. E che dal vivo, rispetto a dischi tutto sommato godibili, diventa una pantomima con timbro del cartellino.
(Simone Vavalà)
DRAGGED INTO SUNLIGHT
Una coltre di fumo impenetrabile alla vista, un enorme candelabro in grado di illuminare al massimo le prime due file, quattro sagome – ma non ne siamo certi, dato il buio quasi totale. Questo l’approccio estetico scelto dal collettivo inglese (o quasi); e se sicuramente così descritti sembrano orpelli poco originali, la resa visuale funziona eccome, complice l’onestà musicale e l’odore di zolfo che emergono dalla loro esibizione. La band offre quasi cinquanta minuti di blackened death metal senza compromessi: la batteria è un metronomo in grado di regalare ritmiche ossessive che ben si sposano alle chitarre cupe e zanzarose, che evocano abissi infernali perfettamente narrati dalla voce al vetriolo dell’incappucciato dietro al microfono. Mancano incenso e candelabri, ma il paragone che viene in mente è con gli svedesi nascosti dietro le cappe degli Irkallian Oracle; decisamente i Dragged Into Sunlight sono stati i vincitori della serata, in grado di officiare l’unica messa nera della serata, che come vedremo nel seguito gli headliner non hanno nemmeno sfiorato.
(Simone Vavalà)
MAYHEM
Dopo un support act di tutto rispetto, che ha saputo creare la giusta atmosfera e preparare il pubblico ai Signori del black metal, un Live gremito di blackster e non, è pronto e carico per quello che si annuncia l’evento dell’anno, almeno per l’ambito del Metallo Nero. Un breve messaggio, ignorato dai più, invita a non usare luci e smartphone, poi una musica diffusa dà finalmente il via alla celebrazione di “De Mysteriis Dom Sathanas”. Il palco è dominato dall’impressionante drumset di Hellhammer, davanti al quale si presentano quattro individui in tunica e cappuccio, che emergono dal fumo come quattro demoni alle porte dell’Inferno stesso: Attila (che, val la pena ricordarlo, è l’unico sul palco, oltre Hellhammer, che quel disco lo registrò), Necrobutcher (che comunque suonò a lungo molti dei pezzi presenti nel disco e partecipò alla loro composizione), Teloch (mastermind dei Nidingr) e Ghul. La scelta scenica è un po’ spiazzante: l’abbigliamento rende in qualche modo l’idea di celebrazione (perché di questo si tratta), come se i Mayhem fossero officianti di un culto arcano e maledetto, ma – allo stesso tempo – ricorda troppo l’impatto visivo di altre band, dando l’impressione che i creatori di un genere vogliano adeguarsi a ciò che oggi va per la maggiore. Si parte con la ferocia empia e notturna dell’accoppiata “Funeral Fog” / “Freezing Moon”. Attila guida il culto blasfemo, come lo spettro di un antico officiante, ma è subito chiaro che qualcosa non funziona: i volumi (vicino al palco) sono completamente sballati, la batteria è altissima, le due chitarre si impastano, il basso di Necrobutcher è pressoché assente e la voce malata e trasognante pare andare a intermittenza. Non sembra, però, che questo fermi la frenesia del pubblico che attende, in molti casi da anni, di poter assistere a un concerto di tale portata; si forma subito un moshpit di medie dimensioni, il pogo è violento e senza sosta e il sing-along incessante. Questa è la prima, enorme, differenza tra il 2017 e il 1998: all’epoca di “Mediolanum Capta Est” non c’erano moshpit, in fedele ottemperanza ai dettami di Euronymous (‘no fun, no core, no mosh, no trends’); oggi il pubblico è differente (e per fortuna! Sarebbe stato triste vedere solo blackster attempati, come chi vi scrive), le aspettative sono diverse, il comportamento è diverso e ciò che era per pochi allora, oggi è più ‘di massa’. Tante persone presenti al Live non hanno vissuto gli anni della nascita di questo genere e certi messaggi, come è naturale che sia, si sono persi. Si prosegue con “Cursed In Eternity”, i volumi migliorano leggermente, compare il basso che dà corpo al sound e districa le due chitarre che, finalmente, risultano distinguibili. Purtroppo la pulizia del suono evidenzia qualche errore della band – escluso Hellhammer che, eccezion fatta per un paio di minime sbavature, ci regala una performance inumana, arrivando ad aggiungere fill-in non presenti nel disco, a dimostrazione che quello che era vent’anni fa un batterista impressionante, oggi è un musicista in grado di suonare a livelli irraggiungibili dalla maggior parte dei batteristi del panorama estremo. E’ il turno di “Pagan Fears”: nonostante le pause tra i pezzi, i Mayhem macinano “De Mysteriis Dom Sathanas” con mestiere, ma danno l’impressione di essere entità separate: spesso più che una band ci sembrano cinque musicisti impegnati a fare ognuno il proprio compitino, senza troppo trasporto. Certo: è giusto che una band come i Mayhem si presenti gelida e distante nei confronti del pubblico, fa parte del genere e dell’attitudine black metal, ma ci pare che i norvegesi si disinteressino anche a ciò che accade sul palco, come se ognuno dovesse recitare la sua parte, vada come vada. Ci allontaniamo un po’ dal palco, inizia “Life Eternal”, e finalmente i suoni diventano più che accettabili: non è chiaro se il fonico abbia finalmente trovato la quadra o se la posizione sia migliore: purtroppo resta sempre un po’ latitante la voce. Attila alterna momenti più ‘potenti’ ad altri più atmosferici, quindi è fisiologico che il volume del suo cantato straziante e angosciante cambi, ma ci sembra che, a tratti, urli nel microfono ma che ci arrivi solo una minima parte della sua esibizione. Il pubblico, comunque, non si ferma un attimo e la simbiosi malefica con la band riesce: certo, i Mayhem sono ormai dei professionisti e hanno imparato a dominare un palco ed ammaliare i propri fan; lo stesso Attila, figlio ormai di una lunga esperienza coi Sunn O))), è un frontman ipnotico, anche se quel senso di malvagità e insana follia che tante volte gli abbiamo visto rilasciare sugli astanti, qua sembra mitigato o indebolito. “From The Dark Past” tiene beffardamente fede al suo titolo, rafforzando in noi la convinzione che i cinque signori sul palco arrivino sì da un oscuro passato ma che giungano a noi mutilati e affaticati. Non stiamo, ovviamente, parlando di Dead e Euronymous, ma di un gruppo che abbiamo visto molte volte dal vivo, da piccoli club come l’Indian’s Saloon a grandi open-air come Wacken o Hellfest, e che ci ha sempre colpito per l’oscurità, la potenza e l’insana malvagità che è in grado di sprigionare. Si avvicina la fine ed ecco “Buried By Time And Dust”: ormai la nostra opinione sullo show è piuttosto chiara e la memoria corre alla versione presente su “Live In Leipzig”. Il paragone è tremendo, non tanto per la presenza di Euronymous o per le vocals di Dead, diverse ma non per forza migliori di quelle di Attila, quanto per l’oscura energia carica di odio misantropo e anti-umano che trasuda dai solchi di quel vecchio disco e che qua è totalmente assente. I Mayhem si riuniscono intorno ad una sorta di altare, una base registrata ed i vocalizzi di Attila, mutuati, ancora una volta, dalle esibizioni con i Sunn O))), danno il via alla conclusiva “De Mysteriis Dom Sathanas”. Forse il gruppo si è trattenuto per l’ultimo pezzo, forse la carica esoterica e maledetta della canzone ha una sua forza intrinseca, ma – finalmente! – intravediamo i veri Mayhem. Poi tutto finisce. Ci sono tanti aspetti da valutare: più di venti date in meno di un mese non sono poche e una band non può essere sempre al 100%, sopratutto vista l’intensità fisica ed emotiva del dover suonare un pezzo di storia della musica. Forse l’eredità di “De Mysteriis Dom Sathanas” è troppa per chiunque e soddisfare le aspettative che si creano con un evento di questa portata è un’ impresa fuori dalle capacità di chiunque. La nostra impressione, più semplicemente, è che questo disco (ma potremmo estendere il discorso a tutta la musica estrema) non è nato per la celebrazione; il black metal è un genere di rottura, che nasce per sgretolare le convenzioni, un genere che deve e vuole disturbare. Quando tutto questo si trasforma (appunto) in celebrazione, difficilmente funziona, perché diventa in qualche modo l’antitesi di ciò per cui è nato. Ce ne andiamo delusi, pensando ad un’occasione sprecata; ma, a qualche ora di distanza, ci chiediamo se davvero poteva andare diversamente, se davvero possa esistere un modo di riproporre per intero un disco come “De Mysteriis Dom Sathanas” differente da questo. Probabilmente no e probabilmente i Mayhem hanno fatto il meglio che si poteva fare con questo show. E, forse, questo tour non andava proprio fatto. Chi ha visto la band di Necrobutcher dal vivo altre volte può trarre le sue conclusioni: noi ci sentiamo di consigliare agli entusiasti della serata di Trezzo di provare a rivedere Attila, Hellhammer, Necrobutcher e soci in un contesto differente, meno celebrativo e (forse) più sentito dalla band stessa. Vi assicuriamo che i Mayhem sono tutt’altra cosa e che questo concerto non è stato Black Metal (permetteteci le maiuscole).
(Lorenzo ‘Satana’ Ottolenghi)