Report a cura di Simone Vavalà
È una serata a tinte fosche di alta caratura, quella preannunciata ai Magazzini Generali di Milano. E che, a dispetto dello spirito tetragono e conservatore attribuito ai blackster, unisce a un nome dal blasone unico e a una band di nuova costituzione (ma con un leader di fama indiscussa, e parliamo chiaramente di Gaahl) un giovane e promettente esponente della synthwave tanto cara ai metallari di oggi. Un mix che in realtà non stupisce e che si confermerà vincente e molto più omogeneo, nel complesso, di quanto prevedibile. D’altro canto, quando esattamente ventuno anni fa i Mayhem fecero la loro mitica calata in quel del Rainbow, poi immortalata su “Mediolanum Capta Est”, Hellhammer & Co. erano stati proprio tra le prime formazioni black a flirtare apertamente con l’elettronica, nella loro al tempo più recente uscita discografica. Sono cicli che si ripetono e si evolvono, inevitabilmente, come dimostrato dal numeroso pubblico di evidenti neofiti – per età e stupore rispetto alla scaletta che proporranno i Mayhem – presenti; ma non ci pare troppo il caso di filosofeggiare sui concetti di ‘trve’ e ‘poser’ nel 2019: i tempi del mistero, dell’underground e della purezza sono lontani, e ben venga un nuovo corso di fan appassionati.
GOST
Se, come scritto nell’introduzione, la synthwave è senza dubbio la nuova, turpe passione di numerosi metallari, va anche scritto che Gost è probabilmente l’artista che, nel genere, mostra in maniera più chiara le radici metal, al di là di sterili manifestazioni d’amore. Il suo set mischia, con una sicurezza che cresce esibizione dopo esibizione, pulsioni di pop elettronico e darkwave con robuste e oneste staffilate industrial e black metal; il limitatissimo apparato musicale presente (leggasi: pressoché solo campionamenti e tracce pre-registrate) viene sorretto egregiamente dal basso midi, che dona un fascino ancora più atipico a questa proposta musicale. Dietro il microfono, James Lollar, titolare del progetto, è decisamente più a suo agio nelle parti in scream che non nei passaggi puliti, come nella comunque suadente “Wrapped In Wax”, brano che risulterà anche l’unico estratto dal recente “Valediction”, a dimostrazione che non è la promozione di un disco, ma l’esibizione in sé, a contare particolarmente per il giovane e promettente texano.
GAAHLS WYRD
Accompagnato da un’eccellente band, che vede ex compagni di avventura nei God Seed e il gigantesco Eld, turnista live dei Taake, al basso, Gaahl conferma con facilità sia le eccellenti impressioni date dall’album di esordio di questa sua nuova band, sia le sue doti uniche di frontman. Su una base musicale prettamente selvaggia e insieme ipnotica, con le sue linee vocali passa con naturalezza da momenti folk-apocalittici a sfuriate degne del suo passato nei Gorgoroth, di cui ripesca del resto ben due brani dal vivo. Ma è quando ridà vita alla sua antica e affascinante creatura, i Trelldom, che il ciclo di vita, morte e rinascita, musicale e concettuale insieme, prende piena forma: Gaahl è un perfetto bardo, un officiante di riti panteistici che fluttua sul palco elevandosi e distaccandosi dalla furia dei compagni con una ieraticità che colpisce le orecchie, la vista e l’anima, trasportandoci in luoghi oscuri e mitici con il suo sguardo glaciale e la sua versatile ugola.
MAYHEM
L’eccitazione è alta quando i Mayhem salgono sul palco e bastano le prime note per fugare ogni dubbio: non solo su disco, i cinque norvegesi sono decisamente tornati in grande forma. Con un look all-black, i quattro musicisti accompagnano la performance vocale e non solo di Attila, vero mattatore della serata nel suo completo da sciamano zombie a cui, con qualche variante, ci ha abituato da anni. Il primo set scorre a ben vedere perfino troppo pulito: i brani, estratti principalmente dal nuovo “Daemon” e dal periodo in cui dietro il microfono c’era Maniac, mostrano una band senza falle, come detto, con il solito Hellhammer sugli scudi; ma che, esclusa la parentesi di “Malum”, diabolico e conturbante apice dell’ultimo full-length, sicuramente non incute quella paura ancestrale di cui è iconica bandiera musicale. Ma quando arriva il momento del secondo set, ogni dubbio viene spazzato via; indossato nuovamente il saio che caratterizzava visivamente il precedente tour celebrativo, i Mayhem scaricano sul pubblico una sequenza mozzafiato e perfetta: “Freezing Moon”, “Pagan Fears”, “Life Eternal” e “Buried By Time And Dust”, per riappropriarsi appieno, del loro trono malvagio e delle nostre anime, con un’esecuzione da brividi. E non finisce qui. Lasciato nuovamente e brevemente il palco, sulle note di “Silvester Anfang” viene introdotto un terzo, marcissimo ed esaltante set: Necrobutcher torna sul palco a petto nudo (diventando più simile a Gollum che a un violento hooligan, a dirla tutta), Attila dismette i camuffamenti a favore di un gilet di pelle e di un guanto borchiato, e veniamo letteralmente presi a calci in faccia dalla riproposizione di buona parte di “Deathcrush”. Un “Pure Fuckin’ Armageddon” in piena regola, riproposto con trenta e passa anni di perizia in più, ma con immutato marciume. Quando nelle orecchie ci resta solo il feedback del brano appena citato, ci rendiamo conto di quanto fosse studiata alla perfezione questa esibizione; partendo dall’eccellente ritorno discografico di questi giorni (‘Ecco quello che siamo’), passando per i loro giorni più iconici (‘Ecco quello per cui ci conoscete meglio’) e arrivando alle radici musicali vomitate senza ritegno (‘Ecco da dove veniamo’), i Mayhem dimostrano di aver raggiunto una maturità assoluta, senza rimpianti e nostalgie, ma con ben presente la lunga e tortuosa strada percorsa.