11/12/2024 - MAYHEM + MASTER BOOT RECORD @ Live Music Club - Trezzo Sull'Adda (MI)

Pubblicato il 18/12/2024 da

Introduzione e report di Roberto GuerraGiuseppe Caterino
Fotografie di Simona Luchini

In quel del Live Club di Trezzo sull’Adda sta per celebrarsi la commemorazione di una delle black metal band più storiche ed iconiche della storia, il cui show in programma promette di ripercorrere in maniera ottimale tutto l’arco della loro lunga e discussa carriera.
In loro compagnia trovano posto i nostrani Master Boot Record, la cui collocazione all’interno del bill ha generato più di qualche lamentela, nonostante i Mayhem stessi abbiano espresso la loro ammirazione per il suddetto progetto.
In poche parole, stiamo parlando di un freddo mercoledì sera in cui a farla da padrone saranno l’estro più nerd e la blasfemia più genuina, sperando in uno stato di forma, da parte degli headliner migliore che in passato. Fortunatamente, le occasioni recenti ci permettono di essere ottimisti. Buona lettura!

Il ‘computer metal’ dei MASTER BOOT RECORD non ha più bisogno di presentazioni, trattandosi di uno dei progetti più interessanti e particolari emersi negli ultimi tempi all’interno del nostro sottobosco musicale, peraltro con un animo squisitamente rètro, come dimostrato dalle numerose menzioni ai videogiochi vintage e a supporti multimediali ormai antiquati.
Il loro leader Vittorio D’Amore non è assolutamente un dilettante e lo dimostra benissimo ad ogni rintocco della sua folle proposta musicale, vicinissima al metal così come alla synthwave, con un risultato che si presta benissimo all’headbanging più sfrenato e persino al ballo, qualora ci si volesse cimentare.
I pezzi sono infatti adrenalinici e fomentanti, così come la gestione della scenografia (fatta di cabinati e veri e propri cimeli di archeologia tecnologica), senza contare la preparazione tecnica dei musicisti coinvolti: Giulio Galati è un batterista esperto e poliedrico, mentre il chitarrista Edoardo Taddei è una garanzia nel momento in cui c’è da parlare di sweep picking e fiumi di note sciorinati sulle sue Ibanez dai colori sgargianti, per la goduria di ogni aspirante shredder presente in sala.
Ci fa inoltre piacere notare che la selezione messa in piedi stasera viene accolta in realtà con un entusiasmo notevole dai presenti, in barba ai commenti negativi apparsi nei giorni precedenti la data di esibizione sui vari social.
Chiaramente parliamo di una setlist che fa della coerenza stilistica e delle soluzioni elettroniche il proprio cavallo di battaglia, in chiave puramente strumentale, e questo ci permette di nutrire la speranza di veder evolvere ulteriormente le composizioni dei Master Boot Record in ottica futura, anche con il sopraggiungere di una popolarità in costante crescita nei lidi di tutto il mondo.
Magari Vittorio potrebbe valutare l’idea di convocare dei cantanti per la sua prossima opera e relative esibizioni live. Chi può dirlo? Per il momento, ci sentiamo di promuovere quanto fatto stasera con entusiasmo e gaudio. (Roberto Guerra)

Sono circa le 21.15 quando intuiamo che è arrivata l’ora di assistere alla celebrazione per i quattro decenni dei MAYHEM, quarant’anni di attività che hanno avuto i loro momenti tormentati e maledetti, ma che ultimamente appare comunque abbastanza sostanziosa e stabile.
Sebbene ormai con internet sia difficile avere una totale sorpresa sulla scaletta di un concerto, quando si sono abbassate le luci e si è illuminato il retro del palco, è sceso un certo silenzio: immagini d’epoca della band sono apparse sullo schermo, con protagonisti tanto Euronymous e Dead quanto immagini di concerti con teste di maiale e altri reperti d’epoca, tra cui foto ormai divenute parte fondante di certo immaginario metal.
Hellammer arriva sul palco con un cenno verso il pubblico, la grafica di “Daemon” prende il posto del bianco e nero e si dà il via al concerto con “Malum”, tra le migliori dell’ultimo disco della band.
La setlist è strutturata per ripercorrere tutta la storia dei Mayhem, pescando due canzoni per disco, che verranno riproposte in ordine cronologico inverso, con la consueta parte centrale dedicata a “De Mysteriis Dom Sathanas”, e il finale a riproporre l’era immediatamente precedente, quella di “Deathcrush”.
Se le ultime due sezioni, obiettivamente più accattivanti e ‘popolari’, sono un po’ scontate, visti i live del periodo semi-recente dei Mayhem, la prima parte rende il concerto interessante anche per chi li ha già visti diverse volte, se non altro perché alcuni brani sono stati suonati certamente meno nella storia dei norvegesi e perché la sensazione di concerto per spettatori ‘occasionali’ che abbiamo avuto qualche volta, sembra qui ben livellata.
La forma del gruppo comunque sembra abbastanza buona, il tiro è sicuramente notevole, in bilanciamento con le chitarre zanzarose quanto si confà loro: se è vero infatti che non si può dire che si capisca tutto quello che succede sul palco, i suoni ogni tanto si assestano, e soprattutto nei momenti più cadenzati si riesce a seguire abbastanza bene il concerto.

Nello scorrere della serata vediamo le grafiche cambiare in base al disco proposto, e ci rendiamo conto di quanto i Mayhem abbiano effettivamente osato e sperimentato soluzioni differenti in alcuni momenti della propria vista; il viaggio a ritroso ci fa percorrere la strada di un gruppo black metal ‘normalizzato’ o consueto, come quello odierno, che ha invece, in precedenza, flirtato con una certa elettronica, con l’industrial, con momenti anche sfidanti (la ieraticità di una “Illuminate Eliminate”, unico estratto da “Ordo Ad Chao”, ha sicuramente creato un’atmosfera piacevolmente morbosa) sino a scendere pian piano negli Novanta, non senza uno stop nei pressi di “Chimera”, con “My Death” e la title-track, e nei loro abissi, letteralmente: la parte dedicata a “Wolf Liar’s Abyss” trasuda ancora malignità – ed è la parte che ci è piaciuta di più, con la doppietta (preceduta da una convincente “Views Form Nihil”, questa da “Grand Declaration Of War”), ad opera di “Ancient Skin” e “Symbols Of Bloodswords” coadiuvate da una celebrazione visiva di altri personaggi che hanno reso lustro e a modo loro rifondato la band, come Maniac e Blasphemer.
Band che fa un lavoro più che discreto, con Attila in particolare che emana come sempre un’aura di malvagità studiata molto bene nella teatralità e nella prova vocale. Certo, non possiamo sorvolare su alcuni momenti praticamente cacofonici, che fanno comunque parte della proposta, ma secondo noi sono risultati proporzionali al pathos delle composizioni più estreme, magari meno note a parte dei presenti, che hanno concorso a creare una gran serata fino a qua.
I video sullo schermo hanno un culmine alla ‘fine del primo tempo’, quando arriva il momento del già citato disco simbolo del black metal anni Novanta, da cui verranno estratti quattro brani, con la title-track, “Freezing Moon” (qui i suoni – glaciali – ci sembravano ottimi in realtà), “Life Eternal” (qualche brividino ci è corso sulla schiena anche per il visual, con i testi della canzone scritti a mano, che scorrevano assieme alle foto di ‘Pelle’ Yngve Ohlin) e a chiudere il sipario di questa fase una “Funeral Fog” suonata dalla band, ma non cantata da Attila: la parte vocale è stata infatti affidata ad una registrazione di Dead, mentre sullo schermo vengono proiettati video del cantante, ma anche della band ad esempio in sala prove che suona. Onestamente, per chi scrive è stato un gran bel momento.

Dopo una pausa un po’ più lunga del dovuto e che spezza un po’ troppo l’atmosfera (considerando che siamo a circa un’ora e mezzo o più di concerto suonato ai mille all’ora), le luci cambiano tonalità, diventano calde, lo schermo si tinge del rosso dello storico EP “Deathcrush”, con le mani mozzate che campeggiano in copertina, mentre ci pensa l’ossessivo ritmo di “Silvester Anfang” a scandire il ‘quattro’ per la partenza della traccia eponima: sempre un bel sentire, anche se qui, durante la parte più veloce, siamo fortunati a conoscere la canzone per riuscire a capire mezzo riff. Poco male, il risultato è devastante, e in genere questa sezione finale non delude mai, anche se le due ore di concerto iniziano a farsi sentire. I brani di questa terza parte sono abbastanza ovvi, con “Necrolust”, “Chainsaw Gustsfuck”, “Pure Fucking Armageddon” a fare la loro figura di grandi classici di un intero movimento più che di un genere.
Come dicevamo, la seconda metà è, pur al netto dell’importanza delle composizioni, diventata un po’ più ‘facile’ da digerire, è entrata abbastanza dell’immaginario anche per l’ascoltatore ‘casuale’ dei Mayhem, mentre abbiamo molto apprezzato molto la scelta della prima parte, dedicata a chi ha seguito maggiormente le gesta della band in queste quattro decadi anche al di fuori dell’immagine.

Il concerto si conclude lasciando un certo senso di straniamento, e bisogna dire che la performance è stata senza dubbio intensa, con Attila che sembra sempre uscire trionfante da qualche fetido buco infernale e dei musicisti che hanno pestato come fabbri per due ore secche, senza pietà alcuna.
Certo, sono passati molti anni, e lo spirito non può essere per forza di cose lo stesso, ma la capacità di rievocare disagio e morbosità ci è sembrata ancora presente e viva, trionfante nella celebrazione di tutti questi anni di orride nefandezze. (Giuseppe Caterino)

MASTER BOOT RECORD

MAYHEM

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