EVILE
Sono i thrasher inglesi Evile ad aprire per i Megadeth, e questo onore lo devono a chi li ha votati in un sondaggio, effettuato proprio per definire chi sarebbe stato il supporto della band di Dave Mustaine. I quattro giovani ragazzi sono da poco usciti con il loro esordio “Enter The Grave”, un disco derivativo ma anche fresco e dannatamente aggressivo. Partenza a chiodo con “First Blood”, brano che palesa tutte le influenze che Slayer, Testament e Metallica hanno sul gruppo. Matt Drake, cantante e chitarrista, appare abbastanza intimorito all’inizio e la sua voce esce un po’ troppo pulita e meno cattiva che su disco. Anche i suoni sono scadenti, con un volume ridicolo e una doppia cassa ovattata. Se dal punto di vista audio le cose non migliorano molto, al contrario la band col passare dei minuti si scalda, viene applaudita e anche Matt scioglie le sue corde vocali. Tocca quindi alla tiratissima “Thrasher” e a “We Who Are About To Die”, brani che fanno agitare le prime file, occupate in gran parte da fan parecchio giovani. Il gruppo suona convinto, fiero di riproporre un sound che affonda le sue radici negli anni Ottanta e bisogna ammettere che le similitudini con le band di cui sopra appaiono più evidenti dal vivo che su disco. “Bathe In Blood” e “Enter The Grave”, riffatissimi omaggi al thrash metal più incontaminato, concludono il breve concerto tra gli applausi della platea che, due secondi dopo l’ultima nota, già invoca i Megadeth. Sebbene non sia mancata l’inesperienza tipica di una band al primo grande tour, gli Evile hanno comunque dimostrato di saperci fare sia strumentalmente che come modo di tenere il palco.
MEGADETH
Dopo una costante affluenza, un Alcatraz sufficientemente colmo e quasi asciutto (l’acquazzone ha inzuppato quasi tutti i presenti) è pronto a venerare Dave Mustaine: innumerevoli cambi di line-up (l’ultimo dei quali vede il subentro di Chris Broderick in luogo di Glen Drover), la chimica di gruppo e le confidenze on stage completamente inesistenti e la forma fisica smagliante del frontman, obbligano tutte le attenzioni del pubblico in una sola direzione (sembra una situazione pianificata da un despota ,vero sig. Mustaine?). Sfortunatamente non è la serata migliore per il fulvo frontman: l’audio mette costantemente i bastoni tra le ruote, la voce scompare più volte sin dall’opener “Sleepwalker” e obbliga Megadave a sforzare le corde vocali; così, assestati successivamente i suoni, sulla tre-quarti l’ugola diventa pesantemente affaticata. Pure nella telegrafata comparsa della bella Cristina Scabbia, che duetta in “À Tout Le Monde” con vestiario sempre più castigato, la voce dell’ospite è praticamente inudibile; una delusione che si poteva francamente evitare. Passiamo ad analizzare il nuovo chitarrista Chris Broderick: chi scrive non l’ha mai visto all’opera con Jag Panzer o Nevermore, ma l’impressione, peraltro condivisa, è quella di un energumeno tecnicamente preparatissimo ma intento più che altro a rispecchiare la sua bellezza ed abilità nella folla, cercando a più riprese il consenso visivo, uscendone spocchioso quasi quanto le inclinazioni peggiori del suo grande capo; non pensiamo rimarrà a lungo nella formazione. Tralasciando questi difetti, lo spettacolo milanese è da considerarsi soddisfacente per la scaletta ben bilanciata, il ritmo sostenuto e la qualità esecutiva ineccepibile; certo Mustaine non è un gran comunicatore, le parole al pubblico infatti sono dosate col contagocce ma, una volta levati i capelli dalla lunga frangia e dimesso il piglio ingrugnito, basta uno sguardo per creare empatia e strappare urla ed applausi, dimostrando che il carisma del leader è assolutamente intatto. Dopo una “Peace Sells…” cantata da tutto il locale, il gruppo esce di scena per poi tornare e concludere con una richiestissima “Holy Wars…The Punishment Due”, che lascia tutti soddisfatti. Andrà meglio la prossima volta, perché – siamo sicuri – una prossima volta ci sarà: tra tutti questi thrasher di mezza età, Dave è di sicuro uno dei più in forma.