Report di Bianca Secchieri
Foto di Enrico Dal Boni
Vi raccontiamo luci ed ombre di questa giornata di fine agosto – unica data italiana del tour europeo dei Megadeth, che ha attraversato l’Europa durante l’estate – giunto a conclusione proprio la scorsa domenica nella piccola frazione veneta.
Ad accompagnare Dave Mustaine e soci troviamo un bill eterogeneo ma di alto profilo: Messa, Katatonia e Lacuna Coil, tre band che – ancorché molto diverse tra loro – possono essere accomunate da un generico elemento ‘gotico’, cosa che certamente non possiamo dire degli headliner californiani.
Né questa trasversalità (che potrebbe rappresentare addirittura un valore aggiunto per i non puristi), né la minaccia di pioggia hanno scoraggiato il pubblico, affluito in massa nei pressi della bella cornice storica di Villa Ca’ Cornaro presso Romano d’Ezzelino, comune adiacente a Bassano del Grappa, nel vicentino.
Ma prima di ripercorrere le esibizioni della serata – per quanto possibile, come vedremo – ci sembra importante fare una premessa generale rispetto all’organizzazione, che a tratti non ha funzionato bene quanto avrebbe potuto. AMA Music Festival, nell’ambito del quale si è svolto l’evento, è un ‘contenitore’, sotto la cui egida sono stati organizzati in questi anni diversi concerti e dj-set di artisti molto diversi tra loro, con un cartellone che spazia tra pop, hip-hop, trap, dance, ska-punk e indie rock. Quest’anno – per la prima volta – la sesta e ultima serata del festival è stata consacrata al metal: questa differenza di background può spiegare alcune pecche organizzative che hanno in parte penalizzato l’evento, pur senza rovinarlo, come teniamo a specificare.
Parliamo innanzitutto della scelta di aprire i cancelli quindici minuti – o poco più – prima dell’inizio delle esibizioni, con il risultato di avere un serpentone di centinaia di persone in attesa di superare i controlli e poter accedere all’arena concerti dall’unico ingresso reso disponibile; all’interno il palco è alto ma piccolo, mentre impianto si rivelerà poco potente a fronte del muro di suono sprigionato dalle band. L’impressione, una volta dentro al parco, è che l’immensa area non sia stata sfruttata al meglio delle sue possibilità, e soprattutto non sia stata gestita per agevolare chi è andato principalmente per assistere ai concerti: mixer e stand ufficiale del merch sono stati posizionati appena dietro l’area transennata del pit – esattamente al centro – ostacolando non poco la visuale.
La nostra idea è quindi che organizzazione ed esigenze di un pubblico di appassionati di musica metal non si siano incontrate pienamente, laddove – probabilmente – in contesti diversi le band di apertura sono ritenute dall’utenza più un piacevole sottofondo che un’attrazione fondamentale da seguire con una certa attenzione, tanto che le serate precedenti erano strutturate in maniera differente, con meno gruppi in scaletta e un after party con dj-set.
Fatte queste premesse, che vogliono semplicemente essere uno sprone per fare meglio il prossimo anno, proviamo ad addentrarci nel vivo dei concerti.
MESSA
Sono appena passate le 18:15 quando i Messa, eccellenza originaria della bassa padovana, attaccano – dopo pochi minuti di soundcheck – presumibilmente con “If You Want Her To Be Taken”.
Purtroppo ci troviamo in coda lungo il ciglio della strada che porta all’unico ingresso del festival, come molti altri: da dove siamo ci arrivano solo echi della performance dei ragazzi veneti, brandelli dei riff ipnotici e dell’ammaliante voce di Sara, inconfondibile anche in una lontananza. Il serpentone di spettatori in attesa scorre lentamente e sfortunatamente non riusciamo a carpire molto dei dettagli dell’esibizione, tanto che abbiamo appena il tempo di ascoltare effettivamente solo l’ultimo brano eseguito – quasi certamente “Rubedo” – mentre cerchiamo di orientarci e reperire una bottiglietta d’acqua per riprenderci dal caldo umido opprimente.
In ogni caso l’area del pit appare già gremita e molte altre persone stanno affluendo nell’arena: il pubblico segue con interesse il doom carico di psichedelia, melodie esotiche ed aperture ambient del gruppo, che appare ben a fuoco – oltre che ormai ben rodato da una corposa esperienza internazionale – e snocciola riffoni ammantati di incenso ed heavy rock anni ‘70.
Sicuramente ormai lontani dagli acerbi esordi in quel di Parma come spalla agli Urfaust, dove li abbiamo conosciuti, i musicisti padovani hanno acquisito sicurezza e carattere, tanto da saper affascinare anche una platea non semplice come quella di questo evento.
KATATONIA
Una breve pausa e i Katatonia salgono sul palco: l’inizio non è dei migliori, ci sono problemi tecnici e di missaggio, tanto che durante il brano iniziale – “Austerity”, primo estratto dal nuovo “Sky Void Of Stars” – si sentono praticamente solo voce e batteria. Il problema viene risolto velocemente con un cambio di strumento per il chitarrista Roger Öjersson, e i suoni fortunatamente migliorano e si calibrano nel giro di poco.
La band svedese si presenta con una formazione a quattro elementi, privata cioè sia del cofondatore e chitarrista Anders Nyström – come già annunciato a inizio anno – che del suo sostituto in sede live, Nico Elgstrand (già Entombed ed Entombed A.D.), che ha accompagnato il gruppo durante le date invernali del tour.
Questa assenza pesa in termini di potenza del suono, e conferma la distanza che separa Blakkheim dai Katatonia, nei quali sembra essere diventato – anche in studio – mero esecutore strumentale; gli ultimi due dischi sono stati infatti scritti interamente da Jonas Renske, con un esito che non ha convinto molti fan.
Ed è proprio sul già citato “Sky Void Of Stars” che si concentra la scaletta di questa domenica uggiosa, con esiti altalenanti: infatti i nuovi brani non sembrano essere stati ancora assimilati perfettamente dai fan e le condizioni illustrate non aiutano a fare breccia sul resto dei presenti. Nonostante un Renske tutto sommato in forma alla voce, gli svedesi stentano a coinvolgere un pubblico che non è prettamente lì per loro, e in alcuni momenti dà segno di annoiarsi. Brani come “Opaline” ed “Atrium” appaiono leggeri e piuttosto anonimi, poco adatti al contesto, mentre “Birds” e “Colossal Shade” – più pesanti e ritmati – ottengono un risultato migliore. Ma sono, come prevedibile, brani quali “My Twin”, “Old Heart Falls”, “July” e “Forsaker” ad infiammare gli animi, anche se, soprattutto quest’ultima, non riesce ad avere quella ‘pacca di suono’ che entra nelle viscere e contemporaneamente spettina chi la ascolta dal vivo.
Sicuramente qualche ripescaggio da un passato più profondo avrebbe giovato in questo contesto – al di là dei nostri gusti personali, che vanno comunque in quella direzione – ma Renske ha ampiamente dimostrato di non scendere a compromessi di alcun genere. Il risultato in questo caso purtroppo non convince appieno e ci resta il ricordo di uno show non tra i più memorabili della formazione di Stoccolma. Peccato.
Setlist:
Austerity
Colossal Shade
Lethean
Birds
The Winter of Our Passing
Forsaker
Opaline
My Twin
Atrium
Old Heart Falls
July
LACUNA COIL
Approfittiamo del cambio palco per prendere qualcosa da mangiare, attività che si rivela estremamente lunga e complessa: sono presenti solo due casse alle quale ordinare il cibo a fronte di migliaia di presenti (che alla fine saranno oltre 6.000) e, benché la cucina lavori a pieno ritmo, le ordinazioni sono nel caos. In breve, impieghiamo poco meno di un’ora per ottenere delle patatine fritte (!) , guardando come possiamo l’esibizione dei Lacuna Coil.
I pre-headliner sono una potenza che richiama tantissimo pubblico. Pur avendo inizialmente storto il naso davanti ad una posizione così alta nel bill, a fronte dell’importanza storica incontestabile dei Katatonia, dobbiamo ammettere che il seguito della band lombarda questa sera è accanito e molto più numeroso rispetto a quello richiamato dagli svedesi.
Il cambio di registro rispetto alle atmosfere malinconiche e rarefatte dai guizzi progressive del set precedente è evidente sin da subito: “Blood, Tears, Dust” irrompe con il suo incedere quadrato e groove e ci mostra una band in perfetta forma e una Cristina Scabbia felice di ricordare le origini venete della sua famiglia.
I Lacuna Coil omaggiano prevalentemente il loro album di inediti più recente, “Black Anima”, dividendosi tra brani duri e rocciosi quali “Reckless” e “Now Or Never” ed estratti che mettono in luce il lato più gotico e sinfonico della band come “Veneficum” e l’affascinante “Layers Of Time”.
Naturalmente c’è spazio anche per alcuni pezzi tratti da “Comalies XX”, la recente re-incisione del fortunato disco uscito vent’anni prima, che consacrò i milanesi nell’olimpo internazionale del gothic/alternative metal. Tra queste spicca “Heaven’s A Lie” – impossibile non cantarne il ritornello, anche se non si è fan della band – proposta nella versione ‘aggiornata’ allo stile più aggressivo e tendente all’industrial/new metal che caratterizza il corso più recente del gruppo.
Citiamo infine la cover di “Enjoy The Silence” dei Depeche Mode, diventata ormai un vero e proprio classico della band meneghina. In sintesi una riconferma oltre che una botta di adrenalina in vista degli headliner.
Setlist:
Blood, Tears, Dust
Reckless
Layers of Time
Heaven’s a Lie XX
Our Truth
Now or Never
Veneficium
Enjoy the Silence (Depeche Mode cover)
Never Dawn
Tight Rope XX
Swamped XX
Nothing Stands in Our Way
MEGADETH
I Megadeth tengono sulla corda i fan per dieci minuti abbondanti oltre l’orario previsto di inizio, rendendo la folla – ormai gremitissima – visibilmente ansiosa.
L’intro “Prince Of Darkness” sancisce finalmente la fine delle attese, e lo fa nel modo migliore possibile: la tripletta “Hangar 18”, “Wake Up Dead” e “In My Darkest Hour” è da brividi e il pubblico reagisce con entusiasmo a questa colata di classici thrash metal.
I Megadeth – qualora ci fosse bisogno di ribadirlo – coincidono ormai totalmente con il leader, fondatore e padre-padrone Dave Mustaine, ma il resto della band fa un lavoro perfetto, energico ed implacabile.
I suoni sono molto buoni – ad eccezione di un paio di ‘stop’ dovuti a cali di tensione, ma è questione di un secondo – e il volume risulta adeguato (almeno nel pit). Mustaine è in forma e ben disposto verso il pubblico: più volte nel corso dello show parla alla platea e scherza con chi occupa le prime file (accennando addirittura il motivetto “happy birthday” per un fan che compie gli anni), oltre ad annunciare – tradendo una certa eccitazione – di aver appena acquistato una casa in Italia dove intende trasferirsi in futuro tra lo stupore della platea.
Il frontman, frangettone biondo fragola e camicia bianca ormai d’ordinanza, non ha grossi problemi di voce, soffrendo leggermente solo di tanto in tanto; la scaletta è ottima, pur non contenendo sorprese (comunque molto rare nell’epoca di internet) o rarità. Poco male, quando si ha la possibilità di assistere ad un’ottima performance cantando molti dei propri brani preferiti, soprattutto se è qualche anno che non si incrocia un artista.
Molto simile a quella eseguita la scorsa estate al Rock The Castle di Villafranca di Verona, vede però il ripescaggio del super classico “Tornado Of Souls” (annunciato come “una canzone sul tempo”, in piena ironia Mustaine) e l’inserimento di “We’ll Be Back”, unico estratto dall’ultimo album in studio, l’ottimo “The Sick, The Dying… And The Dead!”, che si inserisce a meraviglia tra i classici del gruppo.
Per il resto i ‘soliti’ pezzi da novanta: “Sweating Bullets”, “Angry Again”, “Symphony Of Destruction”, “Peace Sells” con un’apparizione della mascotte Vic Rattlehead vestita da Triste Mietitore, per la gioia di un pubblico che dimostra di divertirsi parecchio (“non vi devo certo spiegare io come thrasheggiare” afferma un Megadave compiaciuto dal mosh che si crea durante i pezzi più tirati).
.0Segnaliamo ancora “A Tout Le Monde”, che viene eseguita in duetto con Cristina Scabbia, definita un “tesoro nazionale da preservare” dal frontman californiano. E’ curioso constatare come – a quasi trent’anni dalla sua uscita – questo pezzo sia entrato nel novero dei classici, considerando la risposta tiepida (se non piccata) che “Youthanasia” ebbe all’epoca della sua uscita, quando la band fu accusata dallo zoccolo duro dei fan di essersi ‘rammollita’ e svenduta al mercato.
Anche brani ‘minori’ come “Dystopia”, “Trust” (dal controverso “Cryptic Writings”) e “Dread And The Fugitive Mind” (in rappresentanza di “The World Needs A Hero”) girano molto bene in sede live, mentre la chiusura della serata è affidata ancora una volta ad “Holy Wars… The Punishment Due”, che non ha certo bisogno di presentazioni.
Ci resta così un concerto emozionante, potente e vissuto in un’atmosfera bella e gioiosa, sotto e sopra il palco, e che ha il potere di spazzare via tutto il resto – problematiche, stanchezza, caldo e in buona parte anche le band apripista – oltre che unire generazioni diverse in una bellissima speranza per il futuro. Anche il meteo è stato clemente, riservando alla notte fresche gocce di pioggia, senza intralciare lo svolgimento delle esibizioni.
Tornati a casa siamo andati immediatamente a rispolverare i nostri dischi dei Megadeth, contiamo sia lo stesso anche per voi.
Setlist:
Hangar 18
Wake Up Dead
In My Darkest Hour
Sweating Bullets
Dread And The Fugitive Mind
Angry Again
We’ll Be Back
Dystopia
Trust
A Tout Le Monde (con Cristina Scabbia)
Tornado Of Souls
Symphony Of Destruction
Peace Sells
Holy Wars…The Punishment Due