Nel grande libro delle reunion di questi anni, effettivamente i The Kovenant di Nagash ed Hellhammer mancavano all’appello. Questo ovviamente fino al 2024, quando è stata annunciata la ripresa dei lavori con una formazione quasi originale; alla fine dello stesso anno è arrivato poi il primo show ufficiale in occasione dell’Eindhoven Metal Meeting con la riproposizione di maggior parte del materiale proveniente dai primi dischi.
Una scaletta simile ci ha invogliato a verificare di persona lo stato di forma di un gruppo che al tempo ha avuto la possibilità di muoversi al di fuori dei confini del black metal ortodosso, lasciandoci una discografia non amplissima ma di grande valore con una punta davvero molto alta, quel “Nexus Polaris” del 1998 che sembra non essere invecchiato più di tanto dopo un quarto di secolo abbondante. L’occasione propizia si è presentata con il mini-festival Meh Suff organizzato in quel di Zurigo presso il Dynamo, locale piuttosto conosciuto.
A convincerci ancora di più alla trasferta in terra svizzera sono stati gli altri nomi coinvolti in apertura: oltra a realtà più semplici da vedere dal vivo come Agrypnie ed Heretoir, nello stesso bill infatti sono state inserite almeno altre due band interessanti e finora non così scontate da incrociare su palco. Stiamo parlando degli Eihwar, duo che segue le orme di Wardruna e Heilung, e le islandesi Kaelan Mikla, terzetto post-punk/wave entrato nel ‘mondo metal’ per le collaborazioni e i tour con i francesi Alcest.
Il Dynamo di Zurigo è un grande Jugendzentrum nel cuore della città, situato nel quartiere della movida sulla riva del fiume Limmat. Impossibile da non notare anche da lontano, questo enorme parallelepipedo di colore nero si rivela essere un locale a più piani con due sale concerto, bar e altre attività connesse (stamperia, officina e biblioteca): la prima impressione è quindi molto positiva, affine ai tanti club tedeschi e austriaci come il Backstage o il Viper Room che di solito ospitano gli appassionati italiani in trasferta. P
untualissimi alle 15.30 prendono il palco dei veterani della scena svizzera, gli EXCRUCIATION, band doom attiva da moltissimi anni (1984!) con due tronconi principali di carriera: un primo periodo fino ai primi anni Novanta e una successiva reunion dal 2005 in avanti. La discografia dei nostri è molto ampia e nel tempo ha avuto anche varie svolte stilistiche: quello che sentiamo noi è un suono chiaramente influenzato dai Paradise Lost e da un doom non particolarmente estremo simile a quanto fatto da Mackintosh e soci in “Gothic”, “Shades Of God” e “Icon”. Seppur la proposta musicale sia tutt’altro che originale, è evidente come gli svizzeri non siano sicuramente musicisti di primo pelo: in tutti si nota un certo entusiasmo e una buona presenza sul palco, su cui spicca l’inossidabile storico cantante Eugenio Meccariello, dalle evidenti origini italiane e dalla lunga chioma bianca.
I presenti nella sala sono per ora poche decine, ma si crea comunque una buona atmosfera.
Dopo di loro tocca ai TAR POND, formazione doom sempre svizzera con due album per la Prophecy, un po’ passata sotto i riflettori. Il nucleo originario comprendeva anche Martin Ain dei Celtic Frost oltre a Tommy Baron e Marquis Marky dei Coroner, ma di quella line-up è rimasto solamente il batterista e onestamente l’approccio sonoro non ci ha entusiasmato più di tanto.
Il loro doom è quadratissimo – ma non particolarmente classico – e si assesta più vicino allo sludge melodico di quanto dovrebbe: ulteriore conferma è la voce, utilizzata in un ipotetico ibrido fra Life Of Agony e Alice In Chains. Se almeno questa particolarità tiene alto l’interesse all’inizio, la lunghezza dei pezzi proposti e le perpetue strutture lineari ci allontanano ben presto dalla zona palco per cercare qualcosa da bere. Tra l’altro, il pubblico sembra essere aumentato di qualche decina di presenti, ma attorno alle 17 del pomeriggio abbiamo l’impressione che l’affluenza non sarà così massiccia.
I cambi palco si susseguono con regolarità ed è il momento dei tedeschi AGRYPNIE, ormai un nome stabile in fascia alta nel post-black tedesco. La formazione dei nostri sembra essersi assestata da qualche anno – e dal contratto con la Art Of Propaganda – e il nuovo disco “Erg”, pur non facendo gridare al miracolo, si conferma solido post-black dalle influenze varie cantato in tedesco.
Per il tempo a loro concesso, la scaletta è di soli sei brani di cui quattro dagli ultimi due lavori e un paio di tuffi nel passato, tra cui la scontata e conclusiva “Der Tote Trakt”. Dalle reazioni in sala è evidente come questo sia il primo gruppo della giornata ad essere atteso dal pubblico.
Magari il gruppo di Torsten (già con i Nocte Obducta, altra band teutonica considerata storica in patria) non sorprenderà più come qualche anno fa, ma sta sicuramente raccogliendo il buon lavoro fatto nel tempo.
Sono ormai le 19 quando tocca agli EIHWAR, duo francese che si sta facendo largo tramite il supporto della Season Of Mist e uno stile molto simile a quanto proposto da Heilung e Wardruna. Il duo, formato da Mark e Asrunn, sul palco è però più dinamico e semplice da assorbire dei nomi appena citati, e riesce ad essere piuttosto coinvolgente fin da subito.
Gli Eihwar visivamente sono caratterizzati dal costume sciamanico, dalle percussioni e dalle danze di Asrunn a cui si contrappone il look da guerriero mascherato di Mark che si occupa del drumpad e delle basi. Il risultato è godibile, anche se sembra un po’ artificioso e fin troppo danzereccio rispetto alla ritualità di quanto proposto dalle due altre formazioni prese poc’anzi a paragone, ma ci riserviamo di rivederli ancora in futuro.
E’ oramai sera e per il Dynamo si aggirano un paio di centinaia di persone, mentre la movida serale di Zurigo è letteralmente esplosa all’esterno del locale. Tocca alle islandesi KAELAN MIKLA, altra band attesa dal pubblico che le accoglie con un certo calore. Nella sala, non poi così gremita come ci aspettavamo, si liberano sonorità finora inedite sullo stile wave: dal post punk all’ambient, dall’indie più rarefatto alla cold wave.
Le tre ragazze sicuramente riescono a ricreare un’atmosfera molto densa e sognante, principalmente grazie a due modalità stilistiche: momenti più gotici e distesi che si alternano ad altri dove la voce dissonante in stile punk della cantante Laufey Soffìa sale in cattedra. Il resto del gruppo include una bassista ed una tastierista (che si occupa anche delle basi).
Il risultato complessivo ci è parso interessante, ma a dir il vero anche piuttosto monotono dopo un po’, ma forse è arrivato il momento di approfondire e studiare al meglio la discografia delle nostre, visto che stanno per ripartire in tour con gli Alcest ancora un volta nei prossimi mesi e la loro ‘presenza’ nel settore metal potrebbe non essere conclusa.
Poco prima delle dieci i THE KOVENANT salgono sul palco e bastano poche note di “The Sulphur Feast” per ripiombare idealmente all’inizio degli anni Duemila. La fedeltà del suono e di esecuzione dei nostri è veramente alta in tutti i settori: la batteria di Hellhammer, le tastiere di Sverd, le chitarre di Astennu e le voci di Nagash e Sarah Jezebel Deva.
Certo, i costumi di scena di Hellhammer e Sverd sono quelli degli Arcturus, ma per il resto è tutto interpretato al meglio: appena concluso il primo pezzo partono “Bizarre Cosmic Industries” e “Planetarium” e la speranza di sentire un tributo al disco che riteniamo migliore, ovvero “Nexus Polaris” diventa sempre più forte.
Così sarà: in un set di poco più di un’ora i norvegesi eseguono tutto “Nexus” per concludere poi con un estratto dal primo “In Times Before The Light” e uno da “Animatronic” e salutare le circa duecento persone entusiaste all’interno della sala. Personalmente siamo stati soddisfattissimi di come i The Kovenant hanno deciso di rientrare: la ripresa del vecchio materiale è stata fatta in maniera onesta e fedele, si è scelto di coinvolgere anche Sarah Jezebel Deva (invece che utilizzare semplici basi, per esempio) e la formazione, Blackheart a parte (sostituito da Knut dagli Arcturus) è quella di un tempo.
Riguardo alla prestazione in sè, ciò che abbiamo visto sono stati musicisti di grande caratura a loro completo agio che sono sembrati divertirsi moltissimo e hanno suonato a memoria.
Attendiamo ora di capire cosa potrà succedere in futuro, ripensando a quanto ‘avanti’ fosse alla fine un disco barocco e sinfonico come “Nexus Polaris”.
Passato l’headliner, viene dato il compito ai sempre più rodati HERETOIR di chiudere la serata davanti però a meno di un centinaio di persone rimaste in sala. Conosciamo bene la band ma decidiamo di assistere comunque alla loro esibizione anche solo per godere della voce di Eklatanz, probabilmente il miglior cantante della scena post-black di questi anni, in grado di gestire scream e una voce pulita piena di timbro praticamente unica, paradossalmente più vicina a quella di Manuel Gagneux (Zeal and Ardor) che a quella di JJ degli Harakiri For The Sky.
La scaletta proposta è piuttosto nota, bilanciata tra gli album “The Circle”, “Heretoir” e “Nightspere”. Si nota subito come gli Heretoir suonino con un grande ardore, come se la sala fosse piena: sorretto da una band tecnicamente molto puntuale, aggressiva e dallo stile essenziale, Eklatanz può realmente permettersi di concentrarsi sulla presenza da palco fra headbanging, incitamenti e quant’altro.
I tre quarti d’ora a loro concessi passano velocemente e concludono la nostra trasferta svizzera nel migliore dei modi. Abbiamo assistito ad una serie di esibizioni molto diverse fra loro, in un locale molto bello (anche con un’affluenza non particolarmente alta); nello stesso locale, in autunno, passerà un’altra reunion che vorremmo rivedere, ovvero gli Old Man’s Child di Galder. Se queste sono le premesse, ci viene già voglia di fare il pieno e macinare chilometri.