Report a cura di Simone Vavalà
Fotografie di Daria Manganaro
A due anni esatti di distanza dal loro ultimo concerto milanese, i Melvins tornano nella per loro inedita cornice del Live Club, che segna decisamente una gran differenza rispetto alla media dei piccoli club e centri sociali che da sempre rappresentano il loro palcoscenico naturale. Ma è anche e soprattutto l’occasione per vedere dal vivo la nuova (ed ennesima) formazione con Steven McDonald al basso, la cui band storica, ossia i Redd Kross, fa da ospite d’eccezione in apertura, a quasi venticinque anni dalla loro unica esibizione in terra italiana. L’affluenza e la risposta del pubblico sono di tutto rispetto, ma vediamo più da vicino come sono state queste due ore abbondanti di musica ad alto contenuto energetico!
REDD KROSS
Come scritto, nella loro lunga ma altalenante carriera, che ha visto anche un lungo periodo di assenza totale dalle scene, la band dei fratelli McDonald era passata finora solo una volta dal Belpaese, e il pubblico pare decisamente in curiosa attesa; bastano per fortuna i pochi minuti dell’iniziale “Lady In The Front Row” per fugare dubbi e timori: i Redd Kross hanno ancora molto da dire e lo sanno fare alla grande. Jeff e Steven, i due fondatori, occupano chiaramente in larga parte la scena, dividendosi le parti vocali e il ruolo di frontman in modo egregio; se il primo appare come un punk scanzonato e (ben) invecchiato, spetta al funambolico bassista il ruolo di primadonna, che interpreta secondo i canoni del glam anni Settanta: camicia psichedelica e pantaloni attillati, continui salti che farebbero l’invidia di una ginnasta… si presta anche a pose da vera vamp a favore di ventilatore gigante. E il tutto senza mai sfiorare il ridicolo, anzi: la band è quadratissima e coinvolgente, complice anche il buon lavoro del chitarrista Jason Shapiro e dell’instancabile Dale Crover dietro le pelli, e riesce davvero a portarci indietro nel tempo con gusto. Se da una parte il loro sound è stato in questi lunghi anni una grossa influenza per le derive più melodiche del punk e dintorni – brani come “Stay Away From Downtown” o “Neurotica” sembrano le matrici di fabbrica dell’intera discografia degli Weezer, per esempio – è evidente come le loro radici risiedano nei grandi classici, a cui dedicano l’intera seconda parte del concerto; riprendendo i brani del loro album di cover, i Redd Kross sciorinano infatti funamboliche versioni di piccoli gioielli ‘minori’ dei Beatles, di Bowie, degli Stooges, oltre che dei sempiterni Kiss, la cui “Deuce” sembra scritta proprio per il quartetto californiano. Forse è un po’ troppo lo spazio offerto a queste restituzioni altrui, ma il pubblico non pare farci caso e batte il piede, canta e agita le chiome (ove disponibili) con gioia. Sperando che non sia un ritorno sulle scene solo occasionale.
MELVINS
Con la naturalezza dei pesi massimi, ecco che come da copione Crover e McDonald ritornano sul palco per un altro concerto intero, il secondo di nero vestito, quasi a sottolineare la differenza di stile e atmosfere tra le due band. Dopo l’esibizione fulminante con la band madre, eravamo decisamente curiosi di capire come Steven avrebbe approcciato il palco coi Melvins, e la risposta è veramente al di là delle più rosee aspettative: l’energia e la vitalità dimostrate nella precedente ora vengono infatti trasformate dal bassista in una presenza scenica comunque forte ma meno ingombrante, quasi rispettosa dei due affiatatissimi compari, e al tempo stesso in grado di candidarlo al ruolo di miglior bassista visto finora coi Melvins in sede live. La sezione ritmica viaggia infatti a orologeria e si concede un paio di derive strumentali sludge notevoli; e anche l’intesa con Buzzo è impeccabile. Lo stesso frontman pare concedersi un po’ di respiro nella guida della band, lasciando proprio a McDonald uno spazio rilevante e alcune linee vocali; particolarmente divertente il loro duetto su “I Want To Hold Your Hand”, secondo omaggio ai Baronetti di Liverpool nella serata, resa in una versione piacevole e intensa. Per il resto la scaletta, aperta da un’altra cover (“Sacrifice” dei seminali Flipper), spazia agevolmente in quasi tutta la loro sterminata discografia; viene dedicato un pizzico di attenzione in più all’ultimo “A Walk With Love & Death”, da cui scelgono anche un estratto del secondo cd, alias la colonna sonora dell’omonimo film, perfetta per una dilatazione frangitimpani (“Scooba”). Poi classici più o meno recenti come la splendida “Queen”, “Anaconda” o “The Kicking Machine”, quest’ultima in grado di mettere sugli scudi un Dale Crover davvero in stato di grazia… non che servissero conferme. Nel complesso va scritto come, incredibilmente, i Melvins siano sembrati non solo molto coesi ma anche in grado di esprimersi con una rilevante dimensione melodica – certo con tutte le sfumature del caso, data la loro proposta. E la sensazione è proprio che la new entry in formazione, oltre alla pulizia del suono del Live Club rispetto alla media delle venue da loro frequentate, abbia contribuito a questo concerto da incorniciare.