12/04/2012 - MELVINS + UNSANE @ Great American Music Hall - San Francisco (Stati Uniti)

Pubblicato il 18/04/2012 da

Per la prima volta da chissà quando si respira nuovamente l’aria della Amphetamine Reptile, e di quegli anni novanta dell’underground americano in cui sono nati un suono e un modo di concepire il rock and roll che non hanno più trovato eguali, e che oggi, vent’anni dopo, a differenza di tanta altra musica di allora ormai morta e sopolta, non solo sono vivi e vegeti, ma impartiscono lezioni su lezioni su lezioni e si dimostrano ancora una volta tremendamente influenti ed attuali. Due dei padri putativi di quella scena noise rock e post-punk deforme erano i Melvins e gli Unsane, due band nate tra l’indifferenza più assoluta e che oggi si permettono un sold out totale, registrato nel giro di ventiquattro ore, in una delle live venues più esclusive e famose di San Francisco. Pionieri sonici, esploratori sempre alla ricerca di qualcosa, distruttori di qualunque concezione della musica come un qualcosa di “gradevole” o “musicale”, influenti ormai quasi al livello di culto, e sorpattuto, ora più di allora, amici per la pelle. Tutti questi elementi, ovvero un suono che non ha mai smesso di evolversi e stupire, una esperienza quasi trentennale, e una amicizia profonda, hanno spianato la strada per uno show emozionante e altamente distruttivo, ospitato nella sempre estremamente affascinante cornice della Great American Music Hall di San Francisco.

UNSANE
Il palco è ancora in fase di allestimento, e il pubblico è ancora ridotto, ma appena scorgiamo il setup degli Unsane ci rendiamo subito conto che qualcosa non va. Le due batterie di Coady Willis e di Dale Crover dei Melvins sono già lì sul palco con la catasta di ampli Fender di Chris Spencer e la montagna di Sunn di Dave Curran. Incuriositi chiediamo al banco del merch il motivo di un tale allestimento live e apprendiamo con sconcerto che Vinnie Signorelli è ricoverato in ospedale in attesa di un trapianto di anca. Lo storico batterista degli Unsane – al quale facciamo ovviamente gli auguri di pronta guarigione – può stare più che tranquillo però, visto che la sua band è in ottime mani, in mani amiche per lo più, e che la sorte ha voluto che a riempire le sue scarpe, non fosse solo un batterista mostruoso, ma ben due batteristi mostruosi, che hanno dato un taglio del tutto nuovo, ma onesto e pertinente alla musica scava-fossi dei suoi Unsane “mutilati”. Un concerto degli Unsane è un rito che si ripete immutato dagali anni Ottanta. Chris Spencer si presenta sul palco come fa da trent’anni. Telecaster nera ormai completamente scartavetrata a tracolla, cappellino degli Yankees alla’arrovescia, Vans, jeans neri, t-shirt nera, stecchino in bocca e il solito ghigno teso sulla faccia ormai rugosa e segnata dagli anni. Solo a livello visivo, quest’uomo è una leggenda. Dave Curran non è da meno: cappellino tirato giù sul volto, cargo pants militari, maglietta dei Rapeman e basso Fender (anch’esso recante i segni di una carriera tutt’altro che pacifica) in braccio. Dietro la batteria si siede un giovanissimo Coady Willis e subito dopo comincia lo sferragliare di uno dei sound più iconici, abrasivi e distruttivi mai esistiti. La setlist degli Unsane è un mix di passato e presente pressocchè perfetto. Si parte subito dalla nuova e polverizzante “Rat”, si girano le boe di “No Chance” e “Ghost” e poi via a ritroso nella discografia dei Nostri come un assurdo vagabondaggio nelle fogne del miglior noise rock mai scritto. “This Stops At The River” e “One Man Standing” non lasciano scampo, come non lasciano scampo le prime scorie infette provenienti direttamente dagli anni Novanta, ovvero  “Killing Time”, “Make Them Prey” e “Hammered Out”. Si continua in un assurdo calvario di rumore, sempre più a ritroso fin nelle origini più viscerali del terrore urbano degli Unsane. “Scrape”, “Alleged”, “Out” e “Blew” sono delle mazzate incredibili provenienti direttamente da un 1995 in cui l’unico carburante degli Unsane era il blues, la bile e il veleno. Immancabile l’armonica, immancabile il collo della telcaster piegato come se fosse un arco, immancabile il basso bulldozer di Curran,  immancabile la pozza di sudore ai piedi di Spencer (con tanto di sudore gocciolante addirittura dalla visiera del cappellino) e immancabile il ghigno di odio e sofferenza sulla faccia annichilita dello stesso, come se dopo trent’anni si soprendese ancora del casino immondo e del dolore che la sua band è in grado di provocare. Un terzo del set con Coady Willis a polverizzare le sue bacchette dietro la batteria, un terzo con Crover, come al solito inimitabile, e un terzo del set con entrambi. Signorelli era assente ma anche se decimati, quando gente di questo calibro sale sul palco, lo spettacolo è servito senza sconti.

MELVINS
Cosa dire di King Buzzo e company? Nulla. Semplicemente un concerto dei Melvins sfugge alle parole. Un loro show trascende un vasto numero di concetti e idee che si possono avere di un live show e la descrizione del loro modo di suonare non è affatto facile. Intanto va fatta menzione alla presenza scenica senza eguali di King Buzzo, vestito in vestaglia nera, bavaglino a pois colorati, con in testa il solito afro elettrizzato alla Telespalla Bob e con in mano la sua nuova gemma, ovvero una chitarra custom al %100 del liutaio Kevin Burkett, fatta in plexi glass e completamente trasparente. Che sia un musicista che da quasi trent’anni cerca il sound perfetto lo si evince subito da questo dettaglio. Fin dalle prime note della opener “Nude With Boots ” poi, si intuisce subito che grazie a Buzzo i Melvins sono in possesso di uno dei sound più particolari, colossali, lavici e fottutamente pesanti mai uditi. Semplicemente, iniziato il concerto, l’intero locale è stato imbottito fino al collasso da una valanga di watt che no ha lasciato scampo, da parte di una band caratterizzata da un sound talmente bizzarro da lasciare storditi. A metà strada tra un ronzio infernale, uno scorticare insopportabile e un ruggito bellicoso, il sound di King Buzzo si mostra essere un work in progress che si eveolve e migliora senza sosta da tre decenni a questa parte. Impossibile da decifrare e assolutamente da non affrontare se non muniti di tappi per le orecchie. Ovviamente i suoi compagni di viaggio gli reggono il gioco in maniera stellare. Jarred Warren al basso brilla quasi di più che nei sui Big Business e le sue vocals spirititate non fanno altro che donare ancor più verve e comicità alle urla strambissime di Buzzo. Il “dipartimento” percussivo di Willis e Crover è talmente ben sincronizzato, organizzato, potente ed eclettico che sembra quasi che i due siano macchine tarate in simultanea per non sbagliare mai una sola battuta. Semplicemente fenomenali. Va menzionato che, oltre alla compatezza esecutiva, alla potenza del suono tutto, al volume pachidermico, alla perizia tecnica e ad una originalità nei suoni e nelle struttue musicali veramente fuori dal comune, un concerto dei Melvins è una goduria assoluta anche per il senso di divertimeto cazzone e positività totale che trasmette, con tutti i membri della band sempre pronti ad interagire in modo assurdo col pubblico e a sparare le peggiori cazzate senza sosta dal palco. Quando si è seri a non finire, ma non ci si prende sul serio affatto, il risultato non può che essere fenomenale. E i Melvins dal vivo sono proprio questo.

SETLIST:
Nude With Boots
Dog Island
Hung Bunny
Roman Dog Bird
The Water Glass
Evil New War God
Manky
A History of Bad Men
(Canzone Sconosciuta)
Youth of America (Wipers cover)
The War on Wisdom
We Are Doomed
Friends Before Larry
A Really Long Wait
National Hamster
The Bit

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